A teatro la storia di Paolina, vittima di femminicidio nel 1911 

Oggi allo Spazio Rimediato, il testo di Centofanti che narra la storia della chanteuse aquilana uccisa da un ammiratore

L’AQUILA. Una donna, bella, giovane, intelligente, elegante e famosa che in un pomeriggio del gennaio del 1911 entra in uno dei luoghi alla moda di Genova e lí viene assassinata da un innamorato respinto. Si faceva chiamare Paolina, era nata all’Aquila e fu il femminicidio piú clamoroso della Belle Epoque italiana, raccontato per giorni e giorni da tutti i quotidiani nazionali. Chi era Paolina? Da dove veniva? A raccontare una storia che all’Aquila è praticamente sconosciuta è oggi Errico Centofanti. Il suo testo verrà messo in scena dalla Compagnia della Contessa oggi alle 21 a Spazio Rimediato in via Fontesecco. La regia e la scenografia sono di Fabrizio Pompei, i costumi di Iaia Centofanti. Gemma Maria la Cecilia interpreta Paolina con Elena Floris al violino. Musiche di Gustav Mahler e tradizionali elaborate da Elena Floris.
Paolina era Francesca Chiodi alla nascita. Era venuta alla luce all’Aquila il 28 gennaio 1883. Venne assassinata a Genova il 13 gennaio 1911. Ebbe sepoltura provvisoria a Genova, nel cimitero di Staglieno, e quella definitiva nel cimitero monumentale dell’Aquila. I genitori (Camillo Chiodi, 28 anni, muratore, e Chiara Di Giuseppe, 23 anni, di Tossicia, cucitrice) si erano sposati nel municipio dell’Aquila l’8 agosto 1876. Ebbero cinque figli: Amalia, la secondogenita Francesca e poi Giustino, Ernesto e Camillo Antonio.
«Era una donna bella, giovane, elegantissima», scrive Centofanti, «era pure famosa grazie al travolgente successo della sua professione di star internazionale del cafè-chantant, che fu una sorta di via di mezzo tra teatro e musica leggera, al suo apogeo nei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento. In un pomeriggio di gennaio del 1911 viene assassinata da un innamorato respinto».
Centofanti racconta anche come è nata la sua curiosità su quella giovane donna. «Ero un bambino curioso come tutti i bambini, forse un po’ di piú. Lei mi sorrideva, da quel suo ritratto che splende tra le tombe del cimitero dell’Aquila, dove con mia madre s’andava per le visite protocollari a nonni e quant’altri. Io chiedevo chi fosse quella bella signora, ma mia madre, sempre generosa nell’insegnare e spiegare, si mostrava reticente. Cambiò, quando raggiunsi l’età che le parve quella giusta affinché potessi comprendere bene il senso di quanto, infine, di Paolina volle raccontarmi. Prima d’allora, aveva assecondato volentieri solo il mio infantile innamoramento. M’aveva lasciato immaginare come il sorriso di Paolina fosse uguale a quello degli angeli. Sulla fascinazione emanata dal misterioso sorriso di Paolina, aveva fatto fiorire il mio primo ardore per il melodramma, cantando quella sognante aria del Don Pasquale che tuttora, come già in quegli anni lontani, sembra la prefigurazione del volto di Paolina. La luce di quel volto, la sua grazia, quello sguardo dolcemente altero, quel legame profondo con il mistero della realtà, hanno fatto nascere la mia voglia di saperne di piú. Cosí, dopo un secolo di impudente silenzio della comunità, all’inizio del 2008 ho pubblicato i primi risultati delle mie ricerche in archivi e biblioteche di mezza Italia. In realtà, per primo a venir stampato fu il monologo che soltanto adesso s’è fatto un vero e proprio spettacolo. Tuttavia, Paolina è un universo ancora non abbastanza esplorato: le ricerche proseguono. Anche altri, finalmente, concorrono a disegnare nuovi tratti della vicenda che riguarda Paolina e non solo lei».