Dacia Maraini: per le donne tira un’aria oscurantista, dal mondo viene verso noi 

La scrittrice chiude Madri di Parole, ciclo di incontri letterari a Pescara «Senza memoria siamo vegetali. Per questo le dittature la detestano»

PESCARA. Il ruolo della memoria, i cambiamenti della condizione femminile, l’impegno contro la violenza, il percorso dei diritti. Questi i temi al centro dell’appuntamento conclusivo del ciclo di incontri letterari “Madri di Parole”, organizzato dal Centro Antiviolenza Ananke di Pescara con il contributo di Maristella Lippolis e Maria Rosaria La Morgia. Protagonista dell’incontro, in programma questo pomeriggio alle 17,30 nella Fondazione La Rocca di Pescara, sarà la scrittrice e poetessa Dacia Maraini. Le sue parole, in particolare attraverso i libri “In nome di Ipazia” e “Vita mia”, guideranno il pubblico in un percorso di approfondimento delle tematiche proposte.
Signora Maraini, Ipazia di Alessandria, nel V secolo dopo Cristo, è stata vittima del fanatismo religioso, aggravato dal suo essere donna e dall’avere un pensiero libero. Cosa vuol dire essere donna oggi?
Certamente abbiamo fatto molta strada. Oggi abbiamo donne ricercatrici molto brave e anche rispettate per il loro ingegno. Il problema è che il mondo si è rimpicciolito in seguito alla globalizzazione e non possiamo più pensare in termini di piccoli giardini privilegiati. Il fatto che a poche centinaia di chilometri ci siano ancora donne che non hanno accesso alle scuole superiori, che non hanno diritti legali, che subiscono la mutilazione sessuale o il matrimonio precoce, ci fa capire che il mondo intero è in preda ancora a un patriarcato che al momento sembra vinto, ma poi torna a farsi vivo con molta violenza. E dobbiamo stare attenti perché l’aria che tira potrebbe togliere anche a noi che ci consideriamo Paese emancipato alcuni diritti fondamentali.
Nel 2023 si sono contate 120 donne uccise e il 2024 non è iniziato meglio. Il fenomeno dei femminicidi è sempre più preoccupante. Una sua opinione.
Il femminicidio riguarda alcuni uomini deboli e impauriti che identificano la loro identità virile con il possesso e il dominio. Quando le due cose vengono messe in discussione entrano in un tale stato di frustrazione e furore che possono trasformarsi in assassini della donna che dicono di amare e, a volte, purtroppo anche dei figli che dicono di volere proteggere.
Secondo lei, come si potrebbe raggiungere davvero la parità di genere?
Se guardiamo solo all’Occidente, dobbiamo ammettere che la parità, almeno sul piano legale, è stata raggiunta, ma una cosa è cambiare una legge, una cosa è cambiare una mentalità pietrificata da millenni. Per molti uomini la perdita di privilegi che consideravano naturali ed eterni significa la morte spirituale. E reagiscono con violenza. Il mondo cambia in continuazione. Le persone sagge, uomini e donne, accettano e si adeguano ai cambiamenti, cercano di guidarli. Mentre chi non riesce ad accettare i cambiamenti, perde la ragione e si avventa contro la realtà. Se non fosse doloroso e pericoloso per la comunità, sarebbe da considerare grottesco.
In “Vita mia” ha scelto di raccontare un periodo molto doloroso della sua vita: la prigionia nel campo di concentramento giapponese, quando era soltanto una bambina. Cosa significa per lei il ruolo della memoria?
La memoria è la nostra coscienza, come dice Bergson. Senza memoria siamo vegetali. Non è un caso che le dittature abbiano tanto in antipatia la memoria, perché costruisce responsabilità e autonomia. I tiranni bruciano i libri, odiano le scuole e scoraggiano ogni tipo di memoria.
Fiorentina di nascita, abruzzese di adozione. Cos’è per lei la nostra regione?
L’Abruzzo è nato da un’amicizia con Ettore e Gigliola Scola, che mi invitavano spesso a casa loro a Pescasseroli. Ho imparato da loro ad amare quel paesaggio, quel Parco, quelle persone. I pescasserolesi sono chiusi e diffidenti come tutti i montanari, ma una volta che ti hanno conosciuto e accettato diventano persone di grande ospitalità e capaci di amicizie profonde.
Ha visto il film “Un mondo a parte” di Riccardo Milani? Cosa pensa della situazione dei piccoli borghi della regione?
Penso che il film sia molto bello e giusto. Ha toccato un argomento grave e attualissimo con passione e ironia. Ho trovato Virginia Raffaele straordinaria. Di Albanese sapevo già che era bravo, ma di lei non sapevo fosse capace di creare un personaggio così vivo, divertente, intelligente e originale. La chiusura delle scuole nei piccoli centri è un fatto gravissimo. Le scuole, come gli ospedali, dovrebbero rimanere sempre aperti. Lo Stato deve investire sul futuro. La scuola è sacra proprio perché crea il futuro. Ma tira un’aria di regressione. Si pensa che la formula Made in Italy sia più importante della dura e giornaliera pratica scolastica. E mi dispiace davvero perché noi abbiamo sempre avuto un’ottima scuola di cui andare orgogliosi.