L'intervista, Antonio Razzi: "La mia Corea del Nord pulita e tifosa di calcio"
Il senatore abruzzese è stato alle celebrazioni per i 60 anni della pace con Seul: "Dicono che è una dittatura, noi ci crediamo e gli altri ci fanno gli affari". Poi su Berlusconi: "Il Pdl ha un solo capo. È l'unico Dio del nostro partito e Alfano dopo la sentenza piangeva come un bambino"
PESCARA. Si gode uno scampolo di mare allo stabilimento l’Adriatica di Pescara prima di tornare nella Roma infuocata dal sole e dalle polemiche. Seduto davanti a una cedrata con ghiaccio Antonio Razzi, senatore del Pdl, non è per nulla ottimista. «Si andrà al voto a ottobre». Siamo qui per parlare del suo viaggio in Corea del Nord con la delegazione parlamentare che ha partecipato alle celebrazioni dei 60 anni della pace tra Pyongyang e Seul, ma l’attualità politica ruba gli argomenti. Oggi Razzi sarà di nuovo a Roma alla manifestazione in via del Plebiscito. «Certo lo facciamo per la grazia. E come si fa a perdere un leader? Lui è tutto perché nel Pdl c’è un capo solo e questo è un bene per il partito. Negli altri ci sono le correnti, ma le correnti si sa che fanno male». Venerdì Razzi ha partecipato all’assemblea dei gruppi parlamentari: «Emozionante. C’era Angelino Alfano che piangeva come un bambino. Anch’io a vederlo mi sono emozionato. Ma si può capirlo: lui è nato con Berlusconi, gli deve tutto. Lui è il figlio, l’altro il padre».
Spera nella grazia?
«E come si fa a perdere il nostro leader? Lui è tutto il Pdl. Nel senso religioso del termine il Pdl ha un dio solo, non ce ne solo 7 o 8, abbiamo solo lui».
Allora, senatore, veniamo alla Corea del Nord. Lei è tornato pochi giorni fa da Pyongyang.
«Ci sono stato sei volte».
Come mai è così legato a quel Paese?
«Per via dell’Unione interparlamentare. Abbiamo un legame di amicizia tra Corea del Nord e Parlamento italiano. Dobbiamo dire grazie a Luciano Violante che nel 2000 ha riaperto questa amicizia con Pyongyang».
Quando c’è andato la prima volta?
«Nel 2007 con l’allora presidente della bilaterale Osvaldo Napoli. Era gennaio e c’erano 30 gradi sotto zero, ma sono rimasto affascinato da quel paese, perché ho scoperto che non è tutto quello che si dice».
Cioè che è una delle dittature più feroci?
«La gente è semplice, normale. Poi si dice che c’è il lupo, ma dove sta il lupo?»
Si è sentito controllato? Ha avvertito la presenza della polizia?
«Ci sono militari in giro, però non ho mai avuto la sensazione di qualcosa di opprimente. La gente cammina tranquilla in strada e, come ho detto scherzosamente, se perdi il portafoglio non solo lo ritrovi, ma se c’erano 100 euro ne ritrovi 150. Lì puoi andare tranquillo, nessuno ti tocca. Mica è Roma. Forse è la nazione più sicura che conosca».
Ammetterà che è un paese molto chiuso.
«Dal 2007 a oggi c'è stato uno sviluppo impressionante».
Da che cosa lo vede?
«Nel 2007 la corrente elettrica c’era solo per 3 o 4 ore al giorno. Nelle strade non c’erano nemmeno i semafori ma molte vigilesse a dirigere il traffico. Erano tutte belle e si muovevano come marionette».
C’era molto traffico?
«Macché un centinaio di macchine. Era un lavoro facile».
Aveva gli stessi problemi in albergo?
«No, all’Hotel Koryo dove sono sempre stato non è mai mancata la corrente. Ma se mi affacciavo alla finestra vedevo il buio totale, non c’era neanche una luce».
E oggi?
«Oggi è cambiato tutto. Ci sono i semafori e le strade sono belle e molto pulite. Non si vede una cicca per terra. Sembra di essere nella Svizzera dell’Oriente. E poi fanno impressione i palazzi, i musei, ma c’è un traffico...».
Che macchine circolano?»
«Un po’ di tutto. Però noi italiani su questa storia della Corea facciamo bla bla bla e alla fine ci fregano gli altri».
In che senso?
«Per esempio non abbiamo l’ambasciata, che è a Seul. I tedeschi hanno invece l’ambasciata e un ufficio commerciale».
E allora?
«Di recente c’è stato il rinnovo di tutto il parco auto dello staff del partito comunista. Si tratta di centinaia e centinaia di macchine. Be’ sono tutte Volkswagen. La Germania fa affari e noi...Dicono: ma quelli c’hanno la bomba, è una dittatura...».
È un fatto.
«Non è assolutamente così. Quella non è una dittatura. Ho stretto la mano a Kim Jong-un, quello che chiamano dittatore. Mi è sembrato un ragazzo molto semplice e molto alla mano».
Che cosa vi siete detti?
«L’ho ringraziato per l’invito e gli ho fatto i complimenti per quello sta facendo per i giovani e per quello che sta facendo per l'Italia».
In che lingua avete parlato?
«In Italiano. C’era con me Ring-un-Giul, responsabile del partito per l’Europa. Lui parla l’Italiano meglio di me perché, come dice Crozza, io parlo "lu dialett abruzzes" perché vengo dalla scuola di Di Pietro. Ma lo dico simpaticamente».
Dunque aveva un interprete.
«Io so che Kim Jong-un parla tedesco come me, perché ha studiato a Berna. Ma ho evitato, perché uno davanti alle televisioni di mezzo mondo non è che si mette a parlare in tedesco».
Diceva dei complimenti...
«Sì, lui ha delegato un-Giul di trovare in Spagna e Italia scuole di calcio dove mandare i giovani nordcoreani».
Sono così tifosi di calcio in Nord Corea?
«Hanno ancora il ricordo del famoso Pak Doo-Ik che nel 1966 ci eliminò dai mondiali d’Inghilterra. Ma devo dire che il nuovo leader, il maresciallo Kim, ama tutto lo sport, in particolare la pallacanestro e il pallone e vorrebbe che questi giovani si inserissero, perché lo sport porta fratellanza».
E lei li ha aiutati?
«Abbiamo fatto qualche giro in Italia. All'Inter ci ha pensato Paolo Romani. Al Milan, Juve e Perugia ci ho pensato io. I giovani nordcoreani, tutti tra i 10 e i 14 anni, potranno studiare sia l’italiano che il calcio. Loro amano la nostra cultura ma noi non sappiamo approfittarne e gli altri ci stanno fottendo. I tedeschi con l’industria, i francesi con i vini».
Ma il paese non è troppo povero per muovere un export interessante?
«Non è vero, si tratta di un mercato interessantissimo dove si possono fare affari. E d’altra parte se vai in un paese soprasviluppato loro ti hanno già copiato e le cose se le fanno da soli. Quando ho detto al maresciallo Kim che sono italiano il viso gli si è illuminato».
Lei era lì con Romani. In Italia ci sono state polemiche per la vostra presenza.
«Eravamo 155 delegazioni da tutto il mondo».
Dov’era durante la cerimonia?
«Io non ero nel palco perché lì c'erano solo i capi delle delegazioni. Ero da un’altra parte».
Anche lei ha applaudito?
«E certo. Lo spettacolo era bellissimo. C’erano 150 mila comparse. Lo ripetono da aprile fino a ottobre per due o tre volte alla settimana, io consiglio a tutti di andarlo a vedere».
Ci sono imprenditori italiani in Corea?
«A Pyongyang c’è una ditta trentina che ha mille ettari a mele e una ditta di Pesaro specializzata nella trasformazione industriale delle mele.Ci sono anche due luna park fatti dagli italiani. Con la delegazione italiana c’era un imprenditore di origine abruzzese che però vive in Brianza, Gabriele Sabbatini, fa case antisismiche. E ce n’era un altro di Torino, Carlo Messina, che fabbrica sigarette. Io gli ho detto: Carlo perché non vieni a mettere una fabbrica in Abruzzo?La sua l’ho visitata. Sul muro ha appeso un cartello che riprende una battuta di Berlusconi sulla sinistra: “Chi fuma Marlboro è un coglione”.
Per concludere, un viaggio in Corea del Nord lo consiglierebbe?
«Io lo ripeto sempre: non sentite le cazzate che dicono, andate e vedere e poi parlate».
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