Presi i grossisti della droga in affari con le famiglie rom 

Sgominato un traffico da 6 milioni di euro: 13 arresti, gli indagati sono 76

CHIETI. I materassi servivano per trasportare quintali di marijuana. Per spostare i carichi di cocaina, invece, avevano persino costruito un nascondiglio segreto dentro un’Audi A3: si apriva solo con un telecomando. La squadra mobile teatina ha azzerato due gruppi criminali, capeggiati dalle famiglie albanesi Beharaj e Shametaj, che si dividevano lo spaccio di droga nelle province di Chieti, Pescara e Teramo, con proiezioni anche fuori Abruzzo. All’alba di ieri, in un’inchiesta con 76 indagati coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia dell’Aquila, 13 persone sono finite in carcere (4 sono ancora ricercate). È stato solo l’ultimo atto di un’attività investigativa, durata più di due anni, che ha portato a 25 arresti in flagranza e al sequestro di 300 chili di marijuana, 90 chili di hashish e un chilo di cocaina che, al dettaglio, avrebbero fruttato fino a 6 milioni di euro. Gli indagati, in affari anche con storiche famiglie rom locali come quella degli Spinelli, erano in grado di procurarsi con facilità armi e, per ottenere il pagamento di partite di droga arretrate, erano pronti anche a organizzare sequestri di persona-lampo.
IL PRIMO GRUPPO. Gli uomini della prima e della quarta sezione della Mobile, diretti dal vice questore aggiunto Miriam D’Anastasio e coordinati dall’ispettore superiore Stefano Bini, hanno scoperto due associazioni per delinquere che «potevano contare su una struttura organizzativa assai consistente, fino alla distribuzione ai consumatori finali», con luoghi di deposito dello stupefacente e auto di grossa cilindrata per la «staffetta» ai corrieri e le consegne. «La famiglia Beharaj», scrive il gip Giuseppe Romano Gargarella, «non solo provvedeva a smistare ingenti partite di stupefacente ma si faceva anche carico della sua produzione, avendo appezzamenti agricoli in Albania coltivati a marijuana da Kastriot Beharaj. Lo stupefacente, dopo aver raggiunto il periodo del raccolto, veniva trasportato via mare da Elton Beharaj». È lui, «la mente dell’associazione», che si occupava anche «dei contatti con gli acquirenti e delle consegne». Il fratello minore Bushi, suo diretto ausiliario, era invece impegnato «a gestire ulteriori sodali e provvedeva a curare in prima persona i viaggi riguardanti i ritiri e le consegne sia di marijuana che di cocaina». La casa colonica della famiglia romena alleata degli Staicu, in contrada Venna di Tollo, era «costantemente presidiata»: si trovava lì il «sito di stoccaggio, lavorazione, confezionamento e smistamento» della cocaina “in pietra”, ovvero purissima. Un altro deposito c’era a Guardiagrele.
IL SECONDO GRUPPO. Nel febbraio del 2017, con l’arresto di Bushi Beharaj e il rientro in Albania del fratello Elton, veniva lasciata scoperta «una parte di mercato relativa al traffico di droga» tra Montesilvano, Silvi e zone limitrofe. «Proprio in questo contesto emergeva la figura di Fatjon Shametaj (detto Toni) che, oltre ad avere importanti rapporti con i fratelli Beharaj, si poneva quale nuovo leader del gruppo già esistente in loco e facente capo a un altro albanese, Orgest Dashi». Quest’ultimo, una volta finito in carcere, non era «più in grado di gestire la sua rete di spaccio». La famiglia Shametaj, dopo l’interruzione dei rifornimenti di droga a causa dell’arresto di Bushi, «mostrava una spiccata capacità di muoversi riuscendo ad individuare nuovi canali di approvvigionamento»: uno di questi portava a Tivoli. E il gruppo poteva contare su una serie di pusher che, per sfuggire ai controlli, utilizzavano biciclette e «si spostavano in zone pedonali». Alcuni affiliati della famiglia Shametaj, dopo gli arresti dei “capi”, avevano aperto un canale al nord, dove la droga arrivava dalla Spagna. In questo contesto si colloca il sequestro di 300 chili di marijuana «orange» (una delle qualità migliori) in un appartamento di Milano: quando sono arrivati i poliziotti, i trafficanti erano pronti a nascondere il carico dentro alcuni materassi.
PERICOLOSI CRIMINALI. I membri delle due associazioni, conclude il gip, devono essere rinchiusi in carcere perché hanno mostrato «una notevole indole delinquenziale» e «una pericolosità sociale evidente».
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