Bonanni, dieci anni di arte nel nome di Andy Warhol
Da oggi nel palazzo Pica Alfieri all’Aquila la mostra del pittore abruzzese «Nelle mie opere Mao diventa Gino Strada, Lenin Saviano, Liz Taylor la Merini»
L’AQUILA. Il viaggio a ritroso nei dieci anni di produzione artististica di Vincenzo Bonanni potrebbe partire col conto alla rovescia lanciato dalla torre di controllo di Space Oddity. La voce di Bowie te la immagini come una nuvola passeggera, a ricoprire ogni colore, ogni angolo di luce. Eppure, la mostra antologica che accompagna la riapertura post-sisma di palazzo Pica Alfieri all’Aquila, uno dei più celebri esempi di Barocco aquilano, si presenta come un percorso silente. Suggestioni e riferimenti musicali non sono poche, ma si affidano allo sguardo, alla memoria e all'immaginazione di chi visita. La sinestesia è nel ricordo. Il resto è silenzio, interrotto solo dal rumore dei cantieri dei palazzi vicini. Una novità per l'artista aquilano quarantenne capace in passato di “costringere” il violinista Fabrizio De Melis a entrare in una teca e suonare in abiti eleganti nell'arco di tutta una performance.
Del resto, anche riferimenti alle canzoni del Duca Bianco, oppure alla psichedelia dei Velvet Underground, gli accordi di Tom Waits, così come agli amplificatori vibranti dei Marlene Kuntz (ma anche i pensieri stupendi di Patty Pravo) sono nelle corde di Bonanni. Un fil rouge tra le sue esposizioni raccontate in un percorso espositivo su tre livelli a ripercorrere le tappe salienti della sua carriera nel decennio 2008/2018. Un itinerario che va da Rebel rebel a StramBò, da Kyrie Eleison a Solitudini/Loneliness, passando per Anamnesi – La pietra, la carne, lo spirito e Warholism.
Più di 250 opere di Bonanni, reduci da mostre allestite anche a Londra, Venezia, Innsbruck, Roma e Firenze, a decorare le stanze del palazzo. Oggi alle 17 il vernissage. L'esposizione resterà allestita sino a domenica 4 novembre con apertura al pubblico in questi orari: martedì - venerdì dalle 17 alle 19.30, mentre nel weekend 10.30 - 12.30 e 17 - 19.30. È Andy Warhol a indicare la strada. L'impatto visivo ed emotivo lo si ha nella sezione “Selfies” ed è curioso quanto la somiglianza fisica e l'uso dei colori avvicinino gli autoritratti dell'artista aquilano a Warhol, figura predominante del movimento della Pop art.
Bonanni, i primi passi nel palazzo mettono il visitatore davanti al suo omaggio all'arte di Warhol, figura tra le più influenti del XX secolo. Quanto è difficile poi prenderne le distanze?
Quello che viene spesso percepito come un punto di partenza, per me rappresenta uno dei capitoli più recenti della mia esperienza artistica. Ho voluto far riferimento alla simbologia warholiana, a partire dalle sue icone, dando a queste un'interpretazione che guarda all'Italia e alla nostra epoca. Così Mao diventa Gino Strada, Lenin Roberto Saviano, Liz Taylor Alda Merini.
E Marilyn?
Ho tirato in ballo anche lei, ma la trasposizione è personale, legata a una figura della mia famiglia. Non vorrei dire altro. La simbologia non è solo nei ritratti, ma anche negli oggetti. Così ho utilizzato lattine e altri riferimenti al consumismo per accendere i riflettori sugli allarmi ecologici della Terra dei Fuochi, ad esempio.
Non solo, la sua opera è anche densa di riferimenti alla questione migranti, come ha scelto di raccontarla?
I riferimenti sono i più disparati, a partire dal “Quarto stato”. Impossibile chiudere gli occhi di fronte a un'emergenza umanitaria così grande. Mi hanno da sempre colpito i racconti di Lampedusa, le tragedie che si lascia alle spalle chi ha la fortuna di uscire vivo dalla traversata del Mediterraneo. Per me era importante utilizzare la mia arte per evocare questi viaggi.
Nei piani superiori, tratti e stili sono diversi. L'atmosfera è più intima, come nell'immagine di Gesù e la Vergine, su uno sfondo che riproduce i testi della buona novella di De André. che rapporto ha con la spiritualità?
Non posso non interrogarmi, ma la mia è più una ricerca orientata verso tutto quello che trascende. Nel quadro a cui fa riferimento ho voluto raccontare anche la solitudine e non c'è solitudine più grande di una madre che perde un figlio. Così come capitò ad Alda Merini, a cui le figlie vennero tolte.
Che rapporto ha col dolore?
Kyrie Eleison mi ha consentito di rendere omaggio alle vittime del sisma e alla mia città. Però, la mia arte è anche una ricerca verso la rinascita, una luce nel grigio.
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