Giannangeli, il poeta-scrittore che amava la civiltà contadina 

La carriera, le opere, le idee e i ricordi dell’intellettuale di Raiano scomparso nel libro dall’amico Walfrido Del Villano. Oggi la presentazione a Pescara

PESCARA. «Ha scritto sull'Abruzzo sempre con una nota bucolica, nostalgica e fu per questo accusato dai critici, in particolare da Vittorio Sereni, di populismo. Lui rispose che se populismo voleva dire farsi portavoce di un popolo, ebbene sì, era populista. Ma sempre con una visione di rimpianto di una civiltà quella contadina che batte in ritirata e che poi non vede prospettive». Walfrido Del Villano traccia così un ricordo di Ottaviano Giannangeli, una delle figure più rappresentative della cultura abruzzese del Novecento.
Scrittore, creatore di opere dialettali abruzzesi, critico, poeta e anche pittore, scultore, perfino lapidiere, a Giannangeli, scomparso nel silenzio della notte tra il 16 e il 17 dicembre dell'anno scorso a Raiano nella sua amata Valle Peligna, Del Villano dedica il libro “Ottaviano Giannangeli tra il culto e il popolare” (Elibri editor). Il volume viene presentato oggi a Pescara nel liceo Da Vinci. Quel liceo dove il professor Del Villano ha ricoperto per ben 23 anni il ruolo di preside.
Un libro che vuole essere un invito alla lettura e quindi alla celebrazione di un artista che, come rileva l'autore, è stato troppo spesso relegato tra stereotipi provinciali che, in varie stagioni, gli hanno impedito l'attribuzione di giusti e più che meritati riconoscimenti.
Ed ecco allora l'idea di una pubblicazione su di lui che illustri per bene la carriera, le tappe fondamentali della vita e delle opere dell'artista originario di Raiano legato a Del Villano da profonda amicizia e da condivisione di studi e cultura. L'impostazione e il taglio della pubblicazione sono stati infatti discussi e concordati con lo stesso Giannangeli, come anche le fotografie inserite rispecchiano un suo desiderio poi portato avanti dalla sua amatissima moglie Betta.
«Le tappe fondamentali della vita e delle opere dell'amico Giannangeli», spiega il professore, «sono state ricostruite con il solo scopo di far conoscere la portata del suo lavoro e come egli abbia interpretato la funzione della poesia e il modo in cui comunicare la sostanza in essa inserita».
Tra una pagina e l'altra affiorano ricordi sbiaditi, ma irripetibili e ricchi di pathos legati agli anni Settanta, periodo in cui l'artista raianese insegnava Letteratura italiana nella facoltà di Lingue dell'Università “D'Annunzio” di Chieti e aveva stretto un forte sodalizio umano con il critico e storico Mario Sansone, per anni presidente del Premio di poesia dialettale di Lanciano fondato proprio da Giannangeli insieme con l'amico Rosato.
Un cenacolo di artisti e studiosi intorno al quale ruotavano personaggi come Piero De Tommaso, Vitilio Masiello, Arcangelo Leone De Castris e lo stesso Walfrido Del Villano. «Già allora», ricorda, «dominavano le battute ironiche e qualche volta sarcastiche di Ottaviano. Era il periodo in cui in piazza Salotto prima di cena si radunavano i professori di ogni ordine e grado. Ora non più... forse non c'è più tempo», aggiunge con rammarico.
Di Giannangeli il professore ricorda l'umanità, il rapporto con gli altri sempre solidale e quello con gli studenti, di quando insegnavano insieme: «I ragazzi lo corteggiavano per il suo approccio, lui li trattava alla pari degli adulti».
Il saggio mette in evidenza la poliedricità degli interessi letterari di Ottaviano Giannangeli che si barcamena agilmente tra il versante poetico in lingua nazionale e quello in dialetto, attribuendo ad entrambi pari dignità. Ma che allo stesso modo non traccia mai una linea di demarcazione tra i vari generi letterari come la lirica, il poema, la satira, l'epigramma, la poesia d'impegno e la canzone della tradizione popolare.
«Si immedesima nel popolo», spiega Del Villano, «ne usa lo stesso linguaggio, rimpiange il tempo trascorso secondo le secolari regole del paese, e vive con identica naturalezza il mondo accademico e quello contadino, quello dell'uomo ricurvo sull'arida terra e con la fronte matida di sudore».
Per l’occasione, l'autore ha ricevuto il sostegno e la collaborazione «su questioni di italianistica» dell'amico e collega Fernando Calati, «nei tempi andati valoroso avversario nella querrelle tra i due licei pescaresi, il Galilei, il suo, e il Da Vinci, il mio».
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