letteratura
«Non c’è più l’arte di saper perdere»
Pino Roveredo oggi all’Aquila con il suo nuovo libro “Tira la bomba”
L’AQUILA. Torna oggi all’Aquila, lo scrittore friulano Pino Roveredo, stavolta per presentare il suo libro Tira la bomba (Bompiani). «Dal 2009, quando visitai il centro distrutto dal sisma insieme a Roberto Vecchioni», sottolinea, «cerco di ‘timbrare il cartellino’ da queste parti almeno una volta l’anno, perché nella lotta di questa comunità verso la possibilità di una rinascita, rivedo tanto dei trascorsi della mia terra d’origine».
Roveredo è nato a Trieste nel 1954 ed è autore di romanzi e testi teatrali. Dopo l’esordio nel 1996 con Capriole in salita ha vinto il premio Campiello nel 2005 con Mandami a dire. Stavolta, l’appuntamento è alla libreria Maccarrone – InMondadori, alle 18, in un appuntamento moderato da Stefano Carnicelli che vede Marianna Angelini come voce narrante, per un accompagnamento musicale a cura del duo Entremetz. Roveredo si è sempre occupato di situazioni di marginalità, dai reclusi per decenni negli ospedali psichiatrici ai tossicodipendenti.
«La mia esperienza a contatto con i Sert locali mi aiuta a far luce su dinamiche individuali di questo tipo», spiega lo scrittore che è anche garante dei detenuti del Friuli Venezia Giulia.
La sua penna è discreta ma incisiva. Uno stile semplice, asciutto e vivo che regala ai personaggi voce, forza e presenza. Tira la bomba non fa eccezione. Un libro che racconta dell’amicizia di tre adolescenti attraverso varie vicende. Il pretesto che rafforza il rapporto è la scoperta casuale di un ordigno bellico nella collina dell’ex Italsider a Trieste. Giuliano, Mirko e Stefano interagiscono con questo oggetto pericoloso ma anche molto affascinante, questo segreto che li unisce: la bomba diventa il loro scudo, l’oggetto magico a cui ricorrere tutte le volte che si sentono insicuri o in difficoltà.
«In queste pagine ho voluto parlare dell’amicizia», dice Roveredo, «un sentimento trascurato e sottovalutato, specie in un’epoca in cui viene spesso banalmente confuso con la conoscenza o i contatti su Facebook. Invece l’amicizia, quella vera, va oltre qualsiasi barriere, creando legami superiori a quelli di un’unione coniugale».
I tre personaggi hanno caratteri diversi. C’è lo sfigato, deluso e arrabbiato dalla vita e il belloccio «costretto ad arrivare sempre primo» fino a quando l’ingiuria degli anni detterà nuove regole. «Quella di dover essere primi è una fatica indescrivibile», ironizza l’autore.
«Questa società non accetta l’arte di saper perdere. Il mio carattere, fortunatamente, mi ha protetto dalla tentazione di ostentare un’immagine vincente a tutti i costi. Alla conferenza stampa che ha fatto seguito al Premio Campiello ebbi modo di dire: “Per una volta, sono arrivato penultimo”».
E poi, c’è l’idealista, ex comunista, che poi sarà tradito dal suo stesso idealismo e si troverà a fare anche «qualcosa di fascista».
Un riferimento voluto alla generazione dei sessantottini che si sono traditi, facendo poi vite totalmente diverse da ciò che avevano idealmente sognato e ciò per il quale combattevano da giovani. Un’amicizia che ha il sapore e il disincanto di una bellezza decadente che è poi quella di un Paese da troppi anni avvitato su se stesso e sui fasti di un passato sempre più distante.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Roveredo è nato a Trieste nel 1954 ed è autore di romanzi e testi teatrali. Dopo l’esordio nel 1996 con Capriole in salita ha vinto il premio Campiello nel 2005 con Mandami a dire. Stavolta, l’appuntamento è alla libreria Maccarrone – InMondadori, alle 18, in un appuntamento moderato da Stefano Carnicelli che vede Marianna Angelini come voce narrante, per un accompagnamento musicale a cura del duo Entremetz. Roveredo si è sempre occupato di situazioni di marginalità, dai reclusi per decenni negli ospedali psichiatrici ai tossicodipendenti.
«La mia esperienza a contatto con i Sert locali mi aiuta a far luce su dinamiche individuali di questo tipo», spiega lo scrittore che è anche garante dei detenuti del Friuli Venezia Giulia.
La sua penna è discreta ma incisiva. Uno stile semplice, asciutto e vivo che regala ai personaggi voce, forza e presenza. Tira la bomba non fa eccezione. Un libro che racconta dell’amicizia di tre adolescenti attraverso varie vicende. Il pretesto che rafforza il rapporto è la scoperta casuale di un ordigno bellico nella collina dell’ex Italsider a Trieste. Giuliano, Mirko e Stefano interagiscono con questo oggetto pericoloso ma anche molto affascinante, questo segreto che li unisce: la bomba diventa il loro scudo, l’oggetto magico a cui ricorrere tutte le volte che si sentono insicuri o in difficoltà.
«In queste pagine ho voluto parlare dell’amicizia», dice Roveredo, «un sentimento trascurato e sottovalutato, specie in un’epoca in cui viene spesso banalmente confuso con la conoscenza o i contatti su Facebook. Invece l’amicizia, quella vera, va oltre qualsiasi barriere, creando legami superiori a quelli di un’unione coniugale».
I tre personaggi hanno caratteri diversi. C’è lo sfigato, deluso e arrabbiato dalla vita e il belloccio «costretto ad arrivare sempre primo» fino a quando l’ingiuria degli anni detterà nuove regole. «Quella di dover essere primi è una fatica indescrivibile», ironizza l’autore.
«Questa società non accetta l’arte di saper perdere. Il mio carattere, fortunatamente, mi ha protetto dalla tentazione di ostentare un’immagine vincente a tutti i costi. Alla conferenza stampa che ha fatto seguito al Premio Campiello ebbi modo di dire: “Per una volta, sono arrivato penultimo”».
E poi, c’è l’idealista, ex comunista, che poi sarà tradito dal suo stesso idealismo e si troverà a fare anche «qualcosa di fascista».
Un riferimento voluto alla generazione dei sessantottini che si sono traditi, facendo poi vite totalmente diverse da ciò che avevano idealmente sognato e ciò per il quale combattevano da giovani. Un’amicizia che ha il sapore e il disincanto di una bellezza decadente che è poi quella di un Paese da troppi anni avvitato su se stesso e sui fasti di un passato sempre più distante.
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