11 giugno 1944, la strage nazista di Onna
A Onna, l'11 giugno 1944, si scatenò la furia tedesca. In una casa, poi fatta crollare, vennero fucilate 17 persone. Altre dieci abitazioni vennero distrutte
Nel giugno del 2004, in occasione dei 60 anni dalla strage nazista di Onna, la Pro loco organizzò una serie di iniziative commemorative. Furono invitate tutte le autorità istituzionali. Alla fine gli onnesi dovettero «accontentarsi» di un assessore comunale che in fretta e furia aveva preparato un discorso pieno delle solite vuote e retoriche parole. Oggi il mondo politico ha scelto Onna per ricordare la Liberazione e gli eventi tragici che la precedettero.
Sono serviti altri 40 morti, causati stavolta dal terremoto, per commemorare degnamente i 17 morti di 65 anni fa.
Con amarezza: meglio tardi che mai.
Per raccontare la strage nazista di Onna bisogna avere un quadro essenziale della situazione in Abruzzo fra la fine del 1943 e il 13 giugno del 1944 quando all’Aquila arrivarono le truppe alleate.
Nel settembre del 1943 i tedeschi con un blitz militare da terra e dall’aria liberarono Benito Mussolini prigioniero del Re e del governo Badoglio nell’albergo di Campo Imperatore sul Gran Sasso.
Gli storici oggi ci raccontano che non ci fu grande opposizione da parte di chi doveva vigilare sul prigioniero.
L’esercito tedesco, preso atto dell’armistizio firmato dall’Italia con gli Alleati, invase la penisola.
Proprio in Abruzzo fu creata la cosiddetta linea Gustav sulla quale si combattè nell’inverno del 1943 e nella primavera del 1944.
Onna fu individuata dall’esercito tedesco come sede di una compagnia di sussistenza.
Nel palazzo Pica Alfieri (oggi distrutto dal terremoto) furono realizzati i forni dove veniva cotto il pane da inviare al fronte, nella zona di Castel di Sangro.
Tutti i testimoni raccontano come la convivenza fra i tedeschi e la popolazione onnese fosse stata per circa 8 mesi tutto sommato buona, priva di episodi violenti.
Quando, dopo la battaglia di Cassino (ricordata anche per il bombardamento da parte alleata della storica Abbazia) la linea Gustav fu sfondata, l’esercito tedesco iniziò la ritirata verso nord.
I testimoni ricordano che da fine maggio a Onna ogni giorno si fermavano decine di soldati della Wermacht per rifocillarsi e poi riprendere di notte la marcia.
Nel corso della ritirata spesso venivano requisiti animali, cavalli in particolare, per il trasporto di armi e masserizie. Il mattino di venerdì due giugno 1944 due soldati tedeschi requisirono i cavalli di Silvio Papola che erano al pascolo nella zona di Masergi, guardati a vista dal figlio Mario Papola (morto tre giorni fa per le conseguenze del terremoto).
Mario saltò su una bicicletta e corse ad avvertire il padre che era in paese insieme alla figlia Cristina, che all’epoca aveva 17 anni.
Fu proprio Cristina, ricordata come ragazza dalla forte personalità, a convincere il genitore e il fratello a recarsi a palazzo Pica Alfieri, dove i cavalli erano stati portati, per farseli riconsegnare.
I tedeschi intanto avevano requisito altri cavalli fra cui quelli di un giovane onnese.
Anche lui corse a palazzo Pica Alfieri per riavere indietro i suoi animali.
Arrivò prima della famiglia Papola, ebbe una discussione con un militare tedesco, ci fu uno scontro fisico e nel parapiglia partì anche un colpo di pistola.
Non ci furono né morti e né feriti, ma i tedeschi misero in giro la voce che un loro militare era deceduto. Scattò dunque, immediata, la vendetta.
Il giovane si era dato alla fuga ed era sparito nelle campagne (più tardi si recherà con i partigiani sul Gran Sasso).
I militari se la presero allora con la famiglia Papola.
Silvio e Mario si infilarono in una stalla e per poco non furono colpiti da una raffica di mitra.
Cristina fu catturata, spinta e malmenata lungo le strade del paese con l’obiettivo di farle dire il nome di quel giovane che aveva osato ribellarsi al sopruso.
Cristina non parlò e, mentre faceva notte, fu raggiunta da due colpi di pistola al petto. Crollò senza vita al Pinnerone, all’incrocio fra via dei Martiri (allora via del Fiume) e via dei Calzolai dove oggi il terremoto ha cancellato tutto.
La ragazza di 17 anni fu la prima vittima di quei giorni di follia. Ma la sete di sangue evidentemente non era stata soddisfatta.
Nove giorni più tardi i tedeschi, che il 7 giugno avevano dato fuoco al paese di Filetto e ucciso 17 persone, pianificarono la strage di Onna.
L’operazione fu con molta probabilità condotta dagli uomini della 114 divisione cacciatori comandata dal generale Hans Boelsen.
L’obiettivo strategico era quello indicato dal generale Kesserling, comandante supremo dell’esercito tedesco in Italia, in una direttiva del 7 aprile 1944 con la quale si invitavano i sottoposti a usare il pugno di ferro contro le popolazioni civili che si dimostravano ostili o che aiutavano i partigiani in montagna fornendo loro viveri e materiali.
Secondo la logica nazista gli onnesi erano colpevoli sia perché uno di loro si era ribellato (la vicenda dei cavalli) e sia perché da Onna partivano aiuti a quelli che loro definivano ribelli.
Intorno alle 17 di una domenica calda ma piovosa Onna fu circondata. Venti uomini furono catturati e portati in una zona all'ingresso del paese (dove oggi ci sono le macerie della scuola elementare).
Il prezzo della loro liberazione doveva essere la consegna di quel giovane ribelle.
Ma in realtà la richiesta era solo una scusa. La strage ci sarebbe stata comunque. Le donne del paese per salvare i loro uomini condussero dai tedeschi la madre e la sorella del «ricercato».
Anche loro furono unite al gruppo delle persone da fucilare. L’esecuzione avvenne nell’abitazione di Biagio Ludovici. La casa fu fatta crollare con le mine.
Altre dieci abitazioni, individuate grazie alla complicità di esponenti del fascismo locale, furono distrutte.
I tedeschi lasciarono a Onna vittime e macerie.
Ci sono voluti 65 anni per ricostruire.
Il 6 aprile la violenza del terremoto ha distrutto di nuovo tutto.
I tedeschi sono tornati: questa volta per aiutare.
Ecco i nomi dei 17 martiri di Onna uccisi l’11 giugno 1944: Alfredo Paolucci (25 anni); Antonio Evangelista (18 anni); Ermenegildo Di Vincenzo (38 anni); Domenico Paolucci (31 anni); Giuseppe Marzolo (29 anni); Mario Marzolo (24 anni); Osvaldo Paolucci (21 anni); Zaccaria Colaianni (38 anni); Gaudenzio Tarquini (19 anni); Renato De Felice (44 anni); Pio Pezzopane (17 anni); Igino Pezzopane (16 anni), Cristina Papola (17 anni); Bartolina De Paulis (53 anni); Rosmunda Ludovici (25 anni), Luigino Ciocca (15 anni), Pasquale Pezzopane (18 anni).
Sono serviti altri 40 morti, causati stavolta dal terremoto, per commemorare degnamente i 17 morti di 65 anni fa.
Con amarezza: meglio tardi che mai.
Per raccontare la strage nazista di Onna bisogna avere un quadro essenziale della situazione in Abruzzo fra la fine del 1943 e il 13 giugno del 1944 quando all’Aquila arrivarono le truppe alleate.
Nel settembre del 1943 i tedeschi con un blitz militare da terra e dall’aria liberarono Benito Mussolini prigioniero del Re e del governo Badoglio nell’albergo di Campo Imperatore sul Gran Sasso.
Gli storici oggi ci raccontano che non ci fu grande opposizione da parte di chi doveva vigilare sul prigioniero.
L’esercito tedesco, preso atto dell’armistizio firmato dall’Italia con gli Alleati, invase la penisola.
Proprio in Abruzzo fu creata la cosiddetta linea Gustav sulla quale si combattè nell’inverno del 1943 e nella primavera del 1944.
Onna fu individuata dall’esercito tedesco come sede di una compagnia di sussistenza.
Nel palazzo Pica Alfieri (oggi distrutto dal terremoto) furono realizzati i forni dove veniva cotto il pane da inviare al fronte, nella zona di Castel di Sangro.
Tutti i testimoni raccontano come la convivenza fra i tedeschi e la popolazione onnese fosse stata per circa 8 mesi tutto sommato buona, priva di episodi violenti.
Quando, dopo la battaglia di Cassino (ricordata anche per il bombardamento da parte alleata della storica Abbazia) la linea Gustav fu sfondata, l’esercito tedesco iniziò la ritirata verso nord.
I testimoni ricordano che da fine maggio a Onna ogni giorno si fermavano decine di soldati della Wermacht per rifocillarsi e poi riprendere di notte la marcia.
Nel corso della ritirata spesso venivano requisiti animali, cavalli in particolare, per il trasporto di armi e masserizie. Il mattino di venerdì due giugno 1944 due soldati tedeschi requisirono i cavalli di Silvio Papola che erano al pascolo nella zona di Masergi, guardati a vista dal figlio Mario Papola (morto tre giorni fa per le conseguenze del terremoto).
Mario saltò su una bicicletta e corse ad avvertire il padre che era in paese insieme alla figlia Cristina, che all’epoca aveva 17 anni.
Fu proprio Cristina, ricordata come ragazza dalla forte personalità, a convincere il genitore e il fratello a recarsi a palazzo Pica Alfieri, dove i cavalli erano stati portati, per farseli riconsegnare.
I tedeschi intanto avevano requisito altri cavalli fra cui quelli di un giovane onnese.
Anche lui corse a palazzo Pica Alfieri per riavere indietro i suoi animali.
Arrivò prima della famiglia Papola, ebbe una discussione con un militare tedesco, ci fu uno scontro fisico e nel parapiglia partì anche un colpo di pistola.
Non ci furono né morti e né feriti, ma i tedeschi misero in giro la voce che un loro militare era deceduto. Scattò dunque, immediata, la vendetta.
Il giovane si era dato alla fuga ed era sparito nelle campagne (più tardi si recherà con i partigiani sul Gran Sasso).
I militari se la presero allora con la famiglia Papola.
Silvio e Mario si infilarono in una stalla e per poco non furono colpiti da una raffica di mitra.
Cristina fu catturata, spinta e malmenata lungo le strade del paese con l’obiettivo di farle dire il nome di quel giovane che aveva osato ribellarsi al sopruso.
Cristina non parlò e, mentre faceva notte, fu raggiunta da due colpi di pistola al petto. Crollò senza vita al Pinnerone, all’incrocio fra via dei Martiri (allora via del Fiume) e via dei Calzolai dove oggi il terremoto ha cancellato tutto.
La ragazza di 17 anni fu la prima vittima di quei giorni di follia. Ma la sete di sangue evidentemente non era stata soddisfatta.
Nove giorni più tardi i tedeschi, che il 7 giugno avevano dato fuoco al paese di Filetto e ucciso 17 persone, pianificarono la strage di Onna.
L’operazione fu con molta probabilità condotta dagli uomini della 114 divisione cacciatori comandata dal generale Hans Boelsen.
L’obiettivo strategico era quello indicato dal generale Kesserling, comandante supremo dell’esercito tedesco in Italia, in una direttiva del 7 aprile 1944 con la quale si invitavano i sottoposti a usare il pugno di ferro contro le popolazioni civili che si dimostravano ostili o che aiutavano i partigiani in montagna fornendo loro viveri e materiali.
Secondo la logica nazista gli onnesi erano colpevoli sia perché uno di loro si era ribellato (la vicenda dei cavalli) e sia perché da Onna partivano aiuti a quelli che loro definivano ribelli.
Intorno alle 17 di una domenica calda ma piovosa Onna fu circondata. Venti uomini furono catturati e portati in una zona all'ingresso del paese (dove oggi ci sono le macerie della scuola elementare).
Il prezzo della loro liberazione doveva essere la consegna di quel giovane ribelle.
Ma in realtà la richiesta era solo una scusa. La strage ci sarebbe stata comunque. Le donne del paese per salvare i loro uomini condussero dai tedeschi la madre e la sorella del «ricercato».
Anche loro furono unite al gruppo delle persone da fucilare. L’esecuzione avvenne nell’abitazione di Biagio Ludovici. La casa fu fatta crollare con le mine.
Altre dieci abitazioni, individuate grazie alla complicità di esponenti del fascismo locale, furono distrutte.
I tedeschi lasciarono a Onna vittime e macerie.
Ci sono voluti 65 anni per ricostruire.
Il 6 aprile la violenza del terremoto ha distrutto di nuovo tutto.
I tedeschi sono tornati: questa volta per aiutare.
Ecco i nomi dei 17 martiri di Onna uccisi l’11 giugno 1944: Alfredo Paolucci (25 anni); Antonio Evangelista (18 anni); Ermenegildo Di Vincenzo (38 anni); Domenico Paolucci (31 anni); Giuseppe Marzolo (29 anni); Mario Marzolo (24 anni); Osvaldo Paolucci (21 anni); Zaccaria Colaianni (38 anni); Gaudenzio Tarquini (19 anni); Renato De Felice (44 anni); Pio Pezzopane (17 anni); Igino Pezzopane (16 anni), Cristina Papola (17 anni); Bartolina De Paulis (53 anni); Rosmunda Ludovici (25 anni), Luigino Ciocca (15 anni), Pasquale Pezzopane (18 anni).