L’Istituto d’arte da fiore all’occhiello a cumulo di macerie
Tra blocchi di cemento delle scalinate crollate e calcinacci una copia del Corriere della Sera di sabato 4 Aprile 2009
L’AQUILA. L’omaggio al Rococò di Luigi Vanvitelli tra cinema, storia e bazar a decorare i confini della Reggia di Caserta, trasformando per qualche settimana la Versailles italiana in un’icona post-moderna. La vignetta di Giannelli descrive le dinamiche tra la Cgil e le varie correnti del Partito democratico. La minaccia terroristica che all’epoca era ancora declinata con le insegne di Al Quaeda. Le dichiarazioni dei redditi degli italiani al tempo della crisi. Questo raccontava il Corriere della Sera, sabato 4 aprile 2009.
Una copia impolverata la vedi entrando sul tavolo dei collaboratori della sede storica dell’Istituto d’arte Fulvio Muzi. Una struttura seriamente danneggiata dal sisma, ora completamente in stato di abbandono e alla mercè di chiunque, considerando che il cancello esterno è rimasto sempre aperto. La copia di giornale diventa il simbolo di un tempo che qui dentro si è fermato, come una fotografia scattata immediatamente dopo la scossa e alterata solo da qualche sporadico graffito lasciato qui e là nel sottoscala con della vernice rossa e un tratto frettoloso. È fuori che il tempo avanza senza tregua in una struttura dove, più che le macerie e i tramezzi divelti, a fare impressione è l’immagine della natura che usa ogni mezzo per riprendersi i suoi spazi, dalla forza di radici che si intrecciano alla dolcezza devastante di un fiore che fa breccia in un muro. La natura ha le sue regole e non può certo aspettare le dinamiche di una ricostruzione pubblica sempre più ostaggio di cavilli burocratici.
I monitor infranti dei televisori riversi tra le piante segnano il confine tra passato e presente, come una puntata inedita di Blackmirror, la serie Tv di ispirazione distopica. Poco più avanti, un manichino bianco è appoggiato a terra. Nei locali interni noti degli oggetti che appartengono a un universo ormai distante: un videoregistratore, dei Vhs, un calendario del 2009 con nudi d’arte, la vecchia macchina delle bevande, decorata con la pubblicità della Coca Cola.
Sul muro è rimasta la vecchia insegna direzionale per aula multimediale e laboratori: affreschi, mosaici, ebanisteria, materiali e oreficeria.
C’è anche una cabina telefonica nell’atrio, forse installata per dare un effetto straniante. Fai quasi fatica a notarla dietro blocchi di cemento, che una volta componevano la scalinata.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Una copia impolverata la vedi entrando sul tavolo dei collaboratori della sede storica dell’Istituto d’arte Fulvio Muzi. Una struttura seriamente danneggiata dal sisma, ora completamente in stato di abbandono e alla mercè di chiunque, considerando che il cancello esterno è rimasto sempre aperto. La copia di giornale diventa il simbolo di un tempo che qui dentro si è fermato, come una fotografia scattata immediatamente dopo la scossa e alterata solo da qualche sporadico graffito lasciato qui e là nel sottoscala con della vernice rossa e un tratto frettoloso. È fuori che il tempo avanza senza tregua in una struttura dove, più che le macerie e i tramezzi divelti, a fare impressione è l’immagine della natura che usa ogni mezzo per riprendersi i suoi spazi, dalla forza di radici che si intrecciano alla dolcezza devastante di un fiore che fa breccia in un muro. La natura ha le sue regole e non può certo aspettare le dinamiche di una ricostruzione pubblica sempre più ostaggio di cavilli burocratici.
I monitor infranti dei televisori riversi tra le piante segnano il confine tra passato e presente, come una puntata inedita di Blackmirror, la serie Tv di ispirazione distopica. Poco più avanti, un manichino bianco è appoggiato a terra. Nei locali interni noti degli oggetti che appartengono a un universo ormai distante: un videoregistratore, dei Vhs, un calendario del 2009 con nudi d’arte, la vecchia macchina delle bevande, decorata con la pubblicità della Coca Cola.
Sul muro è rimasta la vecchia insegna direzionale per aula multimediale e laboratori: affreschi, mosaici, ebanisteria, materiali e oreficeria.
C’è anche una cabina telefonica nell’atrio, forse installata per dare un effetto straniante. Fai quasi fatica a notarla dietro blocchi di cemento, che una volta componevano la scalinata.
©RIPRODUZIONE RISERVATA