«Autismo, una battaglia per genitori coraggiosi»
Parla Portinari, alla guida di un’associazione che sostiene le famiglie
PESCARA. Essere genitore di un ragazzo autistico. Ed essere presidente dell’Associazione genitori soggetti autistici Abruzzo (Angsa). Alessandra Portinari, giornalista, mamma di Francesco, che oggi ha 15 anni, racconta la sua esperienza, privata e pubblica. E lancia un appello.
Qual è stato il percorso seguito con Francesco?
Alla nascita era ritenuto nei parametri. Poi, attorno ai 14-15 mesi, ci siamo accorti che pian piano aveva perso delle facoltà già acquisite: non diceva più alcune paroline e non faceva più (per imitazione) le cose che gli venivano chieste. Stava nel box con lo sguardo fisso nel vuoto e non aveva alcuna relazione con il contesto. La pediatra ci ha fatto fare delle prove audiometriche, siamo stati a Roma e a Siena, dove abbiamo avuto la diagnosi, e avviato un percorso dalla psicoterapeuta. Un approccio, questo, che ora è stato superato ma 15 anni fa si brancolava nel buio. Ci siamo rivolti ad un centro all’avanguardia (conosciuto sia in Abruzzo che nel centro Italia) e abbiamo viaggiato tutti i giorni, o quasi, per consentirgli di raggiungere questa struttura. Prima era più facile entrare nei vari centri, non c’erano le liste di attesa di oggi. Perché, va detto, i casi stanno aumentando (si conta un bambino autistico ogni 80). Dopo l’adolescenza ha passato un periodo molto difficile e la scuola non è stata in grado di assicurare le risposte adeguate. Poi siamo stati a Pisa, abbiamo trovato una cura appropriata e seguito delle terapie. E la fase in cui aveva molti disagi è stata superata. Ora segue un programma educativo nel centro che lo segue, con il supporto della famiglia. Purtroppo le scuole non hanno la possibilità di accogliere bene questi ragazzi. Per loro ci sono degli assistenti scolastici e l’insegnante di sostegno (spesso non specializzato) ma le ore sono troppo poche. E si dovrebbe capire che hanno bisogno dei loro tempi e dei loro spazi rispetto alla classe quando vivono dei “giorni no”. Insomma, la scuola riesce ad essere inclusiva solo fino a un certo punto.
Francesco ha seguito varie terapie. Quali sono i benefici per i bambini rispetto ai trattamenti a cui sono sottoposti?
Ogni centro è composto da una equipe che segue un programma personalizzato per ogni bambino, differente rispetto agli altri. E dipende anche dal tipo di autismo che può essere lieve, grave o moderato. Le terapie hanno aiutato Francesco ad essere una persona un po’ più autonoma. Ma per gli obiettivi importanti da raggiungere bisogna prevedere tempi lunghi. I progetti procedono per obiettivi e i risultati non sono immediati. Ecco perché diciamo di non scoraggiarsi, di insistere, spiegando che i loro tempi non sono i nostri.
Com’è Francesco?
E’ un ragazzo bellissimo, solare e ha le sue esigenze come tutti gli adolescenti. Questi non sono ragazzi diversi dagli altri. Hanno un metodo di comunicare differente, ma non devono essere loro a sforzarsi per farsi capire. Dobbiamo sforzarci noi, per entrare in comunicazione con loro. Bisogna avere tanta pazienza ma anche un piccolo traguardo raggiunto diventa un grande risultato che ci riempie il cuore e ci dà la forza per andare avanti.
Qual è il suo rapporto con Francesco?
Mio figlio ha cambiato la mia vita. Questa situazione è diventata per me un’opportunità di crescita. All’inizio ho sofferto. Ma ho fatto un lavoro su me stessa e ho trasformato il mio modo di approcciarmi a lui e alla vita. Mi rendo conto che molti genitori non hanno la capacità e i mezzi per fare la stessa cosa, perché sono bloccati dalla paura.
Il vostro quotidiano è così diverso da quello degli altri?
Abbiamo una vita come gli altri ma vanno prestate delle attenzioni particolari ai nostri ragazzi. I genitori si ritagliano poco tempo per se stessi. Prima di andare a mangiare una pizza, una coppia ci pensa due volte.
Il limite più grande che avvertite dall’esterno?
I comportamenti bizzarri possono essere camuffati, da piccoli. Ma quando i ragazzi diventano grandi e hanno gli stessi atteggiamenti bizzarri l’autismo è palese, non si nasconde. A volte troviamo delle persone sensibili ma altre non capiscono, sono limitate. La società spesso non riesce ad entrare in sintonia con questi ragazzi, si ha sempre un po’ paura dei loro comportamenti che non rientrano negli schemi sociali. C’è diffidenza.
Cosa si sente di dire a chi mostra questi limiti?
Mi piacerebbe che le persone passassero del tempo con chi è affetto da autismo, trascorrendo un pomeriggio con noi. Lo dico anche alle istituzioni. Prendo esempio da Claudio Ferrante dell’associazione “Carrozzine determinate” che ha fatto salire sulle carrozzelle chi non capiva gli ostacoli dei diversamente abili con le barriere architettoniche. Dell’autismo si ha una visione un po’ romantica legata al film “Rain man” ma quella è una favola bella dell’autismo, la realtà è un’altra.
Cosa si augura per Francesco?
Con lui ho già visto dei risultati e mi auguro che ce ne saranno altri. Ora, ad esempio, stiamo lavorando sulla comunicazione non verbale che può aiutarlo ad essere compreso meglio, attraverso le immagini. La speranza di ogni genitore è che ci possa essere una possibilità per il futuro del proprio figlio: è la preoccupazione maggiore. Perché da 18 anni in poi queste persone diventano invisibili, non ci sono più servizi e non viene riconosciuta alcuna dignità. Mi auguro che le istituzioni capiscano che si devono mettere a punto dei programmi seri, non basta un’ora di assistenza domiciliare. Servono un inserimento lavorativo o dei centri specialistici per il momento in cui i genitori non ci saranno più. Penso, poi, alle famiglie che ancora oggi nascondono i ragazzi autistici, nei paesi dell’interno, perché provano vergona. Non vogliono che si sappia. Per questo con il direttivo dell’Angsa stiamo facendo un lavoro porta a porta, per incoraggiare le famiglie.
Venerdì avete organizzato un concerto speciale.
Un concerto per lanciare un messaggio di speranza che passa attraverso Gabriele Naretto, un ragazzo autistico di Torino che si esibirà al pianoforte (all’auditorium Flaiano alle 21). Lui ha cominciato a suonare a 4 anni e si è diplomato in pianoforte. Grazie alla forte determinazione dei genitori ha trovato il canale della musica per esprimersi. E si esibirà con un’orchestra per la prima volta. Gabriele si rifiutava di suonare il repertorio classico (da quando l’insegnante lo ha lasciato), per cui sono stati riarrangiati dei brani in chiave jazz, da Antonella De Angelis e Marcello Sebastiani. E io dico che come ce l’ha fatta la famiglia Naretto possono farcela le altre. La nostra battaglia è finalizzata all’autonomia, affinché siano adulti indipendenti, nei limiti delle capacità di ciascuno.
L’Angsa è un modo per aiutare gli altri?
Sì, ci occupiamo del sostegno alle famiglie, in particolare a quelle che hanno saputo la diagnosi e si ritrovano nel caos. Io ero nel caos più totale. In quel momento non sai cosa fare, non sai cos’è l’autismo, hai un fardello enorme. Ti cade il mondo addosso perché capisci che ci saranno delle conseguenze perenni, che comincia un processo e che segnerà tutta la famiglia, oltre al bambino. Ma oggi con la diagnosi precoce c’è la possibilità di recuperare molto, iniziando presto terapie e cure: i bambini di oggi possono essere degli adulti autonomi, un domani. Dall’autismo non si guarisce ma con un intervento precoce si può seguire un percorso rieducativo ottimale. Oggi parliamo di autismi perché ogni persona autistica ha un modo di recepire l’ambiente e reagire.
Attorno a lei quali reazioni ha registrato?
Ho tante persone che mi vogliono bene, vedono il coraggio e la forza che ho tirato fuori. E mi sono dedicata all’associazione per aiutare gli altri ad uscire da un momento difficile.
Cosa chiede?
Lancio un appello all’unità delle tante associazioni e fondazioni che operano per l’autismo. Abbiamo costituito una federazione tra Angsa, Il Cireneo, Paolo VI, Anffas e Alba: la Federautismo, esistente solo in Abruzzo. Aspettiamo l’adesione degli altri perché insieme possiamo vincere questa battaglia, da soli non si va da nessuna parte e i risultati sono solo frammentari.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Qual è stato il percorso seguito con Francesco?
Alla nascita era ritenuto nei parametri. Poi, attorno ai 14-15 mesi, ci siamo accorti che pian piano aveva perso delle facoltà già acquisite: non diceva più alcune paroline e non faceva più (per imitazione) le cose che gli venivano chieste. Stava nel box con lo sguardo fisso nel vuoto e non aveva alcuna relazione con il contesto. La pediatra ci ha fatto fare delle prove audiometriche, siamo stati a Roma e a Siena, dove abbiamo avuto la diagnosi, e avviato un percorso dalla psicoterapeuta. Un approccio, questo, che ora è stato superato ma 15 anni fa si brancolava nel buio. Ci siamo rivolti ad un centro all’avanguardia (conosciuto sia in Abruzzo che nel centro Italia) e abbiamo viaggiato tutti i giorni, o quasi, per consentirgli di raggiungere questa struttura. Prima era più facile entrare nei vari centri, non c’erano le liste di attesa di oggi. Perché, va detto, i casi stanno aumentando (si conta un bambino autistico ogni 80). Dopo l’adolescenza ha passato un periodo molto difficile e la scuola non è stata in grado di assicurare le risposte adeguate. Poi siamo stati a Pisa, abbiamo trovato una cura appropriata e seguito delle terapie. E la fase in cui aveva molti disagi è stata superata. Ora segue un programma educativo nel centro che lo segue, con il supporto della famiglia. Purtroppo le scuole non hanno la possibilità di accogliere bene questi ragazzi. Per loro ci sono degli assistenti scolastici e l’insegnante di sostegno (spesso non specializzato) ma le ore sono troppo poche. E si dovrebbe capire che hanno bisogno dei loro tempi e dei loro spazi rispetto alla classe quando vivono dei “giorni no”. Insomma, la scuola riesce ad essere inclusiva solo fino a un certo punto.
Francesco ha seguito varie terapie. Quali sono i benefici per i bambini rispetto ai trattamenti a cui sono sottoposti?
Ogni centro è composto da una equipe che segue un programma personalizzato per ogni bambino, differente rispetto agli altri. E dipende anche dal tipo di autismo che può essere lieve, grave o moderato. Le terapie hanno aiutato Francesco ad essere una persona un po’ più autonoma. Ma per gli obiettivi importanti da raggiungere bisogna prevedere tempi lunghi. I progetti procedono per obiettivi e i risultati non sono immediati. Ecco perché diciamo di non scoraggiarsi, di insistere, spiegando che i loro tempi non sono i nostri.
Com’è Francesco?
E’ un ragazzo bellissimo, solare e ha le sue esigenze come tutti gli adolescenti. Questi non sono ragazzi diversi dagli altri. Hanno un metodo di comunicare differente, ma non devono essere loro a sforzarsi per farsi capire. Dobbiamo sforzarci noi, per entrare in comunicazione con loro. Bisogna avere tanta pazienza ma anche un piccolo traguardo raggiunto diventa un grande risultato che ci riempie il cuore e ci dà la forza per andare avanti.
Qual è il suo rapporto con Francesco?
Mio figlio ha cambiato la mia vita. Questa situazione è diventata per me un’opportunità di crescita. All’inizio ho sofferto. Ma ho fatto un lavoro su me stessa e ho trasformato il mio modo di approcciarmi a lui e alla vita. Mi rendo conto che molti genitori non hanno la capacità e i mezzi per fare la stessa cosa, perché sono bloccati dalla paura.
Il vostro quotidiano è così diverso da quello degli altri?
Abbiamo una vita come gli altri ma vanno prestate delle attenzioni particolari ai nostri ragazzi. I genitori si ritagliano poco tempo per se stessi. Prima di andare a mangiare una pizza, una coppia ci pensa due volte.
Il limite più grande che avvertite dall’esterno?
I comportamenti bizzarri possono essere camuffati, da piccoli. Ma quando i ragazzi diventano grandi e hanno gli stessi atteggiamenti bizzarri l’autismo è palese, non si nasconde. A volte troviamo delle persone sensibili ma altre non capiscono, sono limitate. La società spesso non riesce ad entrare in sintonia con questi ragazzi, si ha sempre un po’ paura dei loro comportamenti che non rientrano negli schemi sociali. C’è diffidenza.
Cosa si sente di dire a chi mostra questi limiti?
Mi piacerebbe che le persone passassero del tempo con chi è affetto da autismo, trascorrendo un pomeriggio con noi. Lo dico anche alle istituzioni. Prendo esempio da Claudio Ferrante dell’associazione “Carrozzine determinate” che ha fatto salire sulle carrozzelle chi non capiva gli ostacoli dei diversamente abili con le barriere architettoniche. Dell’autismo si ha una visione un po’ romantica legata al film “Rain man” ma quella è una favola bella dell’autismo, la realtà è un’altra.
Cosa si augura per Francesco?
Con lui ho già visto dei risultati e mi auguro che ce ne saranno altri. Ora, ad esempio, stiamo lavorando sulla comunicazione non verbale che può aiutarlo ad essere compreso meglio, attraverso le immagini. La speranza di ogni genitore è che ci possa essere una possibilità per il futuro del proprio figlio: è la preoccupazione maggiore. Perché da 18 anni in poi queste persone diventano invisibili, non ci sono più servizi e non viene riconosciuta alcuna dignità. Mi auguro che le istituzioni capiscano che si devono mettere a punto dei programmi seri, non basta un’ora di assistenza domiciliare. Servono un inserimento lavorativo o dei centri specialistici per il momento in cui i genitori non ci saranno più. Penso, poi, alle famiglie che ancora oggi nascondono i ragazzi autistici, nei paesi dell’interno, perché provano vergona. Non vogliono che si sappia. Per questo con il direttivo dell’Angsa stiamo facendo un lavoro porta a porta, per incoraggiare le famiglie.
Venerdì avete organizzato un concerto speciale.
Un concerto per lanciare un messaggio di speranza che passa attraverso Gabriele Naretto, un ragazzo autistico di Torino che si esibirà al pianoforte (all’auditorium Flaiano alle 21). Lui ha cominciato a suonare a 4 anni e si è diplomato in pianoforte. Grazie alla forte determinazione dei genitori ha trovato il canale della musica per esprimersi. E si esibirà con un’orchestra per la prima volta. Gabriele si rifiutava di suonare il repertorio classico (da quando l’insegnante lo ha lasciato), per cui sono stati riarrangiati dei brani in chiave jazz, da Antonella De Angelis e Marcello Sebastiani. E io dico che come ce l’ha fatta la famiglia Naretto possono farcela le altre. La nostra battaglia è finalizzata all’autonomia, affinché siano adulti indipendenti, nei limiti delle capacità di ciascuno.
L’Angsa è un modo per aiutare gli altri?
Sì, ci occupiamo del sostegno alle famiglie, in particolare a quelle che hanno saputo la diagnosi e si ritrovano nel caos. Io ero nel caos più totale. In quel momento non sai cosa fare, non sai cos’è l’autismo, hai un fardello enorme. Ti cade il mondo addosso perché capisci che ci saranno delle conseguenze perenni, che comincia un processo e che segnerà tutta la famiglia, oltre al bambino. Ma oggi con la diagnosi precoce c’è la possibilità di recuperare molto, iniziando presto terapie e cure: i bambini di oggi possono essere degli adulti autonomi, un domani. Dall’autismo non si guarisce ma con un intervento precoce si può seguire un percorso rieducativo ottimale. Oggi parliamo di autismi perché ogni persona autistica ha un modo di recepire l’ambiente e reagire.
Attorno a lei quali reazioni ha registrato?
Ho tante persone che mi vogliono bene, vedono il coraggio e la forza che ho tirato fuori. E mi sono dedicata all’associazione per aiutare gli altri ad uscire da un momento difficile.
Cosa chiede?
Lancio un appello all’unità delle tante associazioni e fondazioni che operano per l’autismo. Abbiamo costituito una federazione tra Angsa, Il Cireneo, Paolo VI, Anffas e Alba: la Federautismo, esistente solo in Abruzzo. Aspettiamo l’adesione degli altri perché insieme possiamo vincere questa battaglia, da soli non si va da nessuna parte e i risultati sono solo frammentari.
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