Rigopiano, lo Stato non si costituisce e "dimentica" i 10 milioni / VIDEO
La denuncia dell'avvocato di alcuni familiari delle vittime a margine dell'udienza. Accolta la richiesta di accorpamento del processo sul depistaggio al filone principale della tragedia del resort
PESCARA. Chiesta la riunione dei due procedimenti davanti al gup del tribunale, Antonella Di Carlo, nel procedimento bis relativo al presunto depistaggio dell'inchiesta principale sul disastro dell'Hotel Rigopiano di Farindola. La richiesta è stata accolta. Alcune parti offese hanno inoltre avanzato le richieste di costituzione di parte civile. Richiesta avanzata anche dai legali del sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, e del tecnico comunale Enrico Colangeli, entrambi imputati nell'inchiesta madre. Il pm ha chiesto, inoltre, la trascrizione di una decina di telefonate intercettate.
Ma l'altra notizia del processo bis di Rigopiano la fornisce l'avvocato di alcuni parenti delle vittime Romolo Reboa, fuori dall'aula. Reboa, carte alla mano, rivela che lo Stato non si è costituito parte civile e che inoltre non c'è stato alcun decreto attuativo che ha di fatto sbloccato i fondi a favore dei parenti delle vittime (10 milioni di euro di elargizioni nella legge Rigopiano) che l'ex ministro Matteo Salvini aveva promesso in occasione della sua visita a Rigopiano in piena campagna elettorale per la Regione.
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"I familiari di Rigopiano sono stati lasciati soli, sono stati abbandonati dallo Stato", è la denuncia dell'avvocato Reboa che racconta anche come alcuni dei suoi assistiti abbiano dovuto fare una colletta per pagare le marche da bollo. Al Centro risulta che per i fondi che erano stati trovati dal Salvini nelle casse del suo stesso ministero è in corso una procedura di verifica su chi devono effettivamente andare i soldi.
Nessuno dei sette imputati nel procedimento nato dall'inchiesta bis era presente in aula: l'ex prefetto Francesco Provolo, i due viceprefetti distaccati Salvatore Angieri e Sergio Mazzia, i dirigenti Ida De Cesaris, Giancarlo Verzella, Giulia Pontrandolfo e Daniela Acquaviva, tutti accusati di frode in processo penale e depistaggio. A De Cesaris viene contestato anche il falso ideologico in atto pubblico. Secondo l'accusa formulata dal procuratore capo, Massimiliano Serpi, e dal sostituto Andrea Papalia gli imputati, nonostante fossero stati sollecitati a fornire agli investigatori ogni elemento utile alle indagini, avrebbero omesso di riportare, nelle loro relazioni, le segnalazioni di soccorso che il 18 gennaio 2017 erano pervenute in Prefettura, in particolare da parte del cameriere Gabriele D'Angelo, una delle 29 vittime. Inoltre ognuno, sempre secondo l'accusa, avrebbe cercato di nascondere agli inquirenti anche i brogliacci con le chiamate in arrivo.
LA PROTEZIONE CIVILE. In merito alle dichiarazioni dell'avvocato Romolo Reboa, nelle quali viene citata, «in modo erroneo e parziale, la risposta del Dipartimento della Protezione Civile ad un'istanza di risarcimento avanzata dallo Studio Legale Reboa, si ritiene doveroso precisare che la frase 'totalmente destituita di ogni fondamentò è da ritenersi riferita all'istanza stessa, così come emerge dalla lettura dell'intero paragrafo in cui è inserita, e non alla ricostruzione dei fatti, così come emerso dall'interpretazione delle dichiarazioni dell'avvocato, né tantomeno risponde a nome di altre amministrazioni». A precisarlo è lo stesso Dipartimento della Protezione Civile in una nota. «La lettera di risposta inviata allo Studio Legale Reboa - si prosegue nella nota - esprime, esclusivamente, la posizione del Dipartimento della Protezione civile in merito alla richiesta di risarcimento avanzata. L'accertamento di eventuali responsabilità e dei correlati danni in sede civile, sono di pertinenza dell'Autorità Giudiziaria».