Parla Galeone: "I migliori sono Allegri e Montella, Gattuso mi fa ridere"

Il profeta a ruota libera sul Pescara e sul calcio Italiani: "Conte e Mazzarri? Macché, io preferisco i tecnici con un’idea di gioco propositiva"
PESCARA. Con la panchina ha chiuso da diversi anni, è fuori dal giro e pure con qualche acciacco ma se gli chiedi di parlare di calcio, anche a tutto campo, Gianni Galeone è quello di sempre. Schietto, diretto, mai banale, capace di esprimere le suo opinioni in maniera chiara e senza tanti giri di parole, pronto a rispondere a qualsiasi domanda, che riguardi lo scudetto o l'Europa, la Nazionale o i giovani, la serie B o il suo Pescara, la squadra che, nonostante il passare degli anni, mantiene un posto importante nel suo cuore. La lunga chiacchierata sul calcio e dintorni parte da Conte e Mazzarri, passa per Allegri e Montella, Camplone e Gautieri, Giampaolo e Gattuso fino ad arrivare a Zeman, Di Francesco e Pasquale Marino, il tecnico cui è affidato il rilancio biancazzurro. Il filo conduttore è sempre il gioco, il modo di insegnarlo e di proporlo, anche a prescindere dalla forza reale che si possa avere o dal numero di nomi importanti che fanno parte dell'organico. «A Conte», attacca, «hanno preso negli ultimi anni il meglio che c'era sul mercato, oggi ha aggiunto Tevez e Llorente a una batteria di attaccanti da far invidia a qualsiasi allenatore eppure continua a ripetere che non è abbastanza per competere alla pari con le altre grandi d'Europa. Roba da pazzi… Stessa cosa Mazzarri: urla, strepita, chiede corsa, sacrificio e giocatori già fatti, ma se ha un giovane di talento non lo mette dentro manco se lo ammazzi. Il contrario di quanto sta capitando ad Allegri nel Milan: gli prendono mezzo giocatore e tanti ragazzi in carriera, ma se non vince lo stesso è garantito che lo buttano via. No, questo tipo di calcio non mi piace e non mi diverte, se dovessi scegliere andrei a vedere tutta la vita la Fiorentina di Montella piuttosto che la Juve di Conte o qualsiasi squadra di Mazzarri».
La ricetta che propone è quella che con lui in panchina fece la fortuna del Pescara e poi pure del Perugia, è la stessa che ispirò Zemanlandia e il Bari di Catuzzi, che portò la Roma di Spalletti a un passo dallo scudetto, che ha visto trionfare il Sassuolo di Di Francesco nell'ultimo campionato di serie B: «Parli parli», continua, «ma alla fine la ricetta è sempre quella: questione di mentalità, di educazione calcistica, di capacità di insegnare un calcio propositivo che abbia il coraggio di dare fiducia e occasioni giuste a giovani di talento, che metta al primo posto la qualità piuttosto che la grinta e l'espediente tattico. E' la scelta, appunto, che ha fatto Montella: giocava così a Catania, ha riproposto lo stesso calcio a Firenze, preoccupandosi soprattutto di aumentare il tasso tecnico. Il centrocampo dei viola è da manicomio con Borja Valerio e Pizarro, lì davanti Cuadrado, Jovetic e Ljajic mettono le giostre; Rossi e Gomez garantiscono un'ulteriore iniezione di talento, ma è sempre la mentalità che fa la differenza. Probabilmente avrebbe potuto ottenere gli stessi risultati anche Zeman alla Roma con un organico giovane e di notevole spessore tecnico, se non ci è riuscito è perché lui in fatto di organizzazione difensiva è indietro di 45 anni…».
Mentalità propositiva che sia comunque la base su cui costruire una squadra che riesca a trovare in fretta una chiara e precisa identità: «Questa storia degli organici allargati e dei continui turnover», va avanti Galeone, «è quasi sempre all'origine di tanti insuccessi. Le formazioni che vincono sono, da sempre, quelle che ti ricordi a memoria, dall'1 all'11, a prescindere dai numeri che ora portano sulle magliette. Sarti, Burgnich, Facchetti, fino ad arrivare a Corso; Zoff, Gentile, Cabrini e via snocciolando fino a Bettega, ma anche il Milan di Sacchi e Capello, l'Inter del triplete, la Juve di Conte, l'Italia mondiale e pure il mio Pescara e quello di Zeman. E' così che nasce l'identità di una squadra, a qualsiasi livello, un allenatore deve avere in primo luogo il coraggio e la capacità di portare avanti le sue idee, di non cambiare rotta alla prima avversità, di cercare sempre le scelte giuste per provare a raggiungere l'obiettivo di partenza. Prendete l'Udinese della passata stagione: con la formazione che cambiava di partita in partita ha disputato un girone di andata disastroso, quando ha trovato stabilità è arrivata a sfiorare la zona Champions. E se il Pescara ha buttato via un'occasione incredibile per restare in A è soprattutto perché quell'identità di squadra non l'ha mai trovata, dalla prima fino all'ultima giornata. Non mi convince fino in fondo nemmeno Prandelli che pure, da quando guida la Nazionale sta facendo scelte importanti ottenendo anche buoni risultati. Se decide di lanciare El Shaarawy, tanto per dirne una, non è il caso forse di pensare a Di Natale o magari anche a Totti per il Mondiale; se sceglie un assetto tattico, vale la pena insistere su quella strada; se pensa che Verratti e Insigne siano utili al suo progetto è giusto che li inserisca stabilmente nel gruppo e non come semplici comparse…».
Passiamo alla B e al Pescara: un campionato, che come vuole tradizione, sfugge ad ogni pronostico e che vedrà al via una squadra biancazzurra largamente rinnovata, piena di giovani, ma anche con diversi giocatori che dovrebbero garantire quel necessario pizzico di esperienza. L'obiettivo non dichiarato è quello di recitare un ruolo da protagonista, l'allenatore Marino, fresco di nomina, piuttosto che far proclami ha promesso una formazione propositiva, che trovi in fretta una sua identità, puntando sul gioco e sul collettivo, che abbia certezze più che timori: «Credo che sia il modo giusto per ripartire», conclude Galeone, «ed è del resto quello che chiede una piazza come Pescara. Qui il calcio è soprattutto entusiasmo e allegria, impossibile entrare nel cuore della gente se ci si affida a un gioco sparagnino con la logica del risultato a tutti i costi. I precedenti dicono, tra l'altro, che Marino non sta bluffando quando parla di mentalità e di identità di squadra. Ricordo che a Catania fece un girone di andata straordinario; ha fatto benissimo pure a Udine, anche lì puntando su un calcio propositivo. E in serie B credo che questa scelta possa pagare ancora parecchio. Lo ha dimostrato nella passata stagione Di Francesco a Sassuolo, stravincendo il campionato con una squadra che certo non era la più forte in assoluto. Più o meno allo stesso livello è stato anche il rendimento del Livorno, anch'esso con evidente vocazione offensiva. La mano del tecnico conta, non ci piove, ed è proprio per questo che mi lasciano perplesso le scelte di molte società. Atzori colleziona esoneri, ma una panchina importante l'ha trovata di nuovo; Gautieri è a spasso dopo promozione e salvezza col Lanciano; Camplone, dopo aver fatto un gran lavoro a Perugia assieme a Giacomino Dicara, sta ancora aspettando che qualche dirigente gli faccia almeno una telefonata; e poi Gattuso parte subito da Palermo, ovvero la piazza più ambiziosa e importante del campionato. Se penso a Ringhio allenatore mi viene da ridere, ma solo perché lo conosco da quando era un ragazzino. In realtà mi incuriosisce, sono convinto che anche lui sappia che non basta la grinta per fare questo mestiere. Mi aspetto un rilancio per Giampaolo: Brescia per lui può essere la piazza giusta, a patto che Andrea Iaconi gli metta a disposizione una squadra competitiva, mi auguro ovviamente che davanti a tutti, alla fine, ci sia proprio il mio Pescara. Basta giocare a pallone, il resto viene da sé…».
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