Fa 600 giorni di assenza in 3 anni Licenziato dipendente comunale
Corropoli, l’ente ha applicato la legge che stabilisce un limite massimo di giorni di malattia Ora l’unica possibilità per il lavoratore di essere reintegrato è fare ricorso al tribunale
CORROPOLI. Dove la legge non consente, potrebbe il giudice del lavoro. Il licenziamento di un dipendente del Comune di Corropoli, dovuto al superamento del limite di assenze per motivi di salute, potrebbe trovare soluzione attraverso il pronunciamento del magistrato, che potrebbe reintegrare il lavoratore nel suo posto presso l’ente.
Il dipendente comunale risulta aver raggiunto e superato il cosiddetto “periodo di comporto” - come previsto dal contratto collettivo nazionale del pubblico impiego - computando un totale di 594 giorni di assenza per malattia nel triennio precedente. Per cui, secondo la legge, deve essere licenziato. La legge stabilisce che, in caso di malattia, il lavoratore ha diritto a conservare il proprio posto di lavoro per un determinato periodo (tale periodo è, appunto, chiamato “comporto”) durante il quale non potrà mai essere licenziato. Viceversa, se l’assenza si protrae oltre tale periodo, il datore di lavoro può licenziare il dipendente. Per il Comune, che ha acquisito il parere legale dell’avvocato Gabriele Rapali, esperto in materia, «il superamento del periodo di comporto è condizione sufficiente a legittimare il recesso, non essendo necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo né dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa, né quella della correlativa impossibilità di adibire il lavoratore a condizioni diverse, dovendosi distinguere la malattia del lavoratore da quella della sua idoneità al lavoro».
Il dipendente rimandato a casa dal Comune era stato assunto a fine 1992 con contratto a tempo indeterminato. Il periodo di malattia che ha portato a totalizzare quasi 600 giorni di assenza dal posto di lavoro non è stato continuativo ma frazionato (cosiddetto comporto per sommatoria). Oltretutto, per il Comune di Corropoli non sussistono i presupposti per la prosecuzione automatica del periodo di comporto «atteso che tale prosecuzione è subordinata ad una specifica richiesta avanzata dal lavoratore, ancorata a casi di patologie gravi che richiedano terapie salvavita o assimilabili», si legge nel provvedimento di licenziamento. Nessuna istanza era stata presentata dal lavoratore per interrompere le procedure di licenziamento né, evidentemente, erano stati prodotti certificati medici specifici. Da qui, l’ineluttabile decisione di procedere al licenziamento del dipendente. Per lui l’unica possibilità di reintegra, a questo punto, passa attraverso il giudice del lavoro che dovrà, in caso di ricorso, valutare se annullare o meno il provvedimento comunale.
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Il dipendente comunale risulta aver raggiunto e superato il cosiddetto “periodo di comporto” - come previsto dal contratto collettivo nazionale del pubblico impiego - computando un totale di 594 giorni di assenza per malattia nel triennio precedente. Per cui, secondo la legge, deve essere licenziato. La legge stabilisce che, in caso di malattia, il lavoratore ha diritto a conservare il proprio posto di lavoro per un determinato periodo (tale periodo è, appunto, chiamato “comporto”) durante il quale non potrà mai essere licenziato. Viceversa, se l’assenza si protrae oltre tale periodo, il datore di lavoro può licenziare il dipendente. Per il Comune, che ha acquisito il parere legale dell’avvocato Gabriele Rapali, esperto in materia, «il superamento del periodo di comporto è condizione sufficiente a legittimare il recesso, non essendo necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo né dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa, né quella della correlativa impossibilità di adibire il lavoratore a condizioni diverse, dovendosi distinguere la malattia del lavoratore da quella della sua idoneità al lavoro».
Il dipendente rimandato a casa dal Comune era stato assunto a fine 1992 con contratto a tempo indeterminato. Il periodo di malattia che ha portato a totalizzare quasi 600 giorni di assenza dal posto di lavoro non è stato continuativo ma frazionato (cosiddetto comporto per sommatoria). Oltretutto, per il Comune di Corropoli non sussistono i presupposti per la prosecuzione automatica del periodo di comporto «atteso che tale prosecuzione è subordinata ad una specifica richiesta avanzata dal lavoratore, ancorata a casi di patologie gravi che richiedano terapie salvavita o assimilabili», si legge nel provvedimento di licenziamento. Nessuna istanza era stata presentata dal lavoratore per interrompere le procedure di licenziamento né, evidentemente, erano stati prodotti certificati medici specifici. Da qui, l’ineluttabile decisione di procedere al licenziamento del dipendente. Per lui l’unica possibilità di reintegra, a questo punto, passa attraverso il giudice del lavoro che dovrà, in caso di ricorso, valutare se annullare o meno il provvedimento comunale.
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