Abruzzo, 73 mila persone cercano lavoro
Sale al 12,8% il tasso di disoccupazione. I sindacati: la Regione intervenga subito
PESCARA. Un tasso di disoccupazione passato dall'8,8 al 12,8 per cento. Una massa di persone in cerca di lavoro che cresce da 48 mila a 73 mila. Tutto in un anno, mettendo a confronto i numeri del primo trimestre del 2011 con quelli dei primi tre mesi di quest'anno.
L'Abruzzo è nel momento più nero della sua storia economica e sociale recente. A dirlo sono i dati diffusi ieri dall'Istat, l'istituto nazionale di statistica, sull'andamento della disoccupazione in Italia. Nella regione il tasso di disoccupazione è di due punti circa superiore a quello medio nazionale (10,9). Ma il dato che apparentemente è in contraddizione con questo scenario drammatico è quello che dice che, nei primi tre mesi di quest'anno, circa 2mila persone in più hanno trovato lavoro rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.
L'Abruzzo, quindi, è nel ristretto numero di regioni italiane che fa segnare un più nella colonna dei gli occupati e, contemporaneamente, un più (molto consistente) in quella delle persone che sono in cerca di lavoro.
Una contraddizione che racconta dell'accentuarsi della crisi più che di un suo temporaneo attenuarsi.
«E' un dato», spiega infatti Roberto Campo, segretario regionale della Uil, «che fa pensare che, sotto i colpi di una crisi durissima, anche le persone che prima non andavano in cerca di un lavoro adesso lo fanno, spinti dalla paura e anche dalla disperazione».
«Quei 73 mila abruzzesi in cerca di occupazione sono il segno della rottura di un argine», aggiunge il sindacalista. «Passare da 48 mila a 73 mila persone è un salto di grandezza impressionante. All'inizio del 2011, stava peggiorando il pil abruzzese ma l'occupazione teneva ancora in qualche modo. Adesso la recessione sembra aver ormai maturato il suo prezzo sull'occupazione, così come temevamo».
«Cosa fare? A livello regionale», prosegue Campo, «dobbiamo tirare fuori un pacchetto anti-crisi per il 2012. Le risorse ci sono, a partire dai circa 600 milioni dei fondi Fas. Mettiamole tutti insieme e diecidiamo cosa fare sul terreno della riduzione delle imposte, sul credito e sull'occupazione, non più settorialmente, ma con un piano unico».
Quella di un intervento focalizzato nel tempo e nei settori è una proposta condivisa anche dalla Cisl.
«C'è la grande urgenza», dice Maurizio Spina, segretario regionale di questo sindacato, «che le istituzioni regionali forniscano proposte immediate per far fronte a questo quadro davvero drammatico. Abbiamo bisogno di un messaggio chiaro da dare al sistema produttivo abruzzese. C'è bisogno di dire: abbiamo queste risorse disponibili e vogliamo impiegarle in questi settori, in modo che il sistema delle imprese possa riposizionarsi. Così come per L'Aquila è urgente che si crei una task-force mettendo insieme Regione, Comune e forze economiche, allo scopo di accelerare ciò che è giusto e possibile fare per la ricostruzione. Insomma, serve una scossa forte».
Secondo la Cgil, i dati dell'Istat «rivelano drammaticamente che in Abruzzo, più che in altre regioni d'Italia, stiamo vivendo una crisi di sistema».
«In questi mesi», spiega Gianni Di Cesare, segretario regionale della Cgil, «abbiamo sempre detto che eravamo in recessione. Oggi questo dati ci dicono che c'è un calo generalizato dell'occupazione: nel credito come nell'edilizia come nel pubblico».
«Bisogna individuare subito i soldi da investire oggi», prosegue Di Cesare, «e, soprattutto, spenderli in settori ad alta intensità di lavoro, con una politica economica anti-ciclica. Penso a settori come l'edilizia, i trasporti, l'acqua, l'energia. Nel giro di due mesi, si possono fare interventi ad alta ricaduta occupazionale. E' inutile, in questo momento, pensare ai grandi interventi, alle grandi opere. Dobbiamo, invece, focalizzare risorse in settori in cui si possono crare subito nuovi posti di lavoro».
«Un'altra cosa da fare subito», conclude il segretario della Cgil Abruzzo, «è di restituire risorse economiche e potere d'acquisto alle fasce sociali più deboli, per esempio, abbassando le imposte a chi ha un reddito annuo non superiore ai 22 mila euro. Insomma, ci vuole una politica drasticamente keynesiana. E' una follia continuare a credere che il mercato possa aggiustare tutto da solo».
L'Abruzzo è nel momento più nero della sua storia economica e sociale recente. A dirlo sono i dati diffusi ieri dall'Istat, l'istituto nazionale di statistica, sull'andamento della disoccupazione in Italia. Nella regione il tasso di disoccupazione è di due punti circa superiore a quello medio nazionale (10,9). Ma il dato che apparentemente è in contraddizione con questo scenario drammatico è quello che dice che, nei primi tre mesi di quest'anno, circa 2mila persone in più hanno trovato lavoro rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.
L'Abruzzo, quindi, è nel ristretto numero di regioni italiane che fa segnare un più nella colonna dei gli occupati e, contemporaneamente, un più (molto consistente) in quella delle persone che sono in cerca di lavoro.
Una contraddizione che racconta dell'accentuarsi della crisi più che di un suo temporaneo attenuarsi.
«E' un dato», spiega infatti Roberto Campo, segretario regionale della Uil, «che fa pensare che, sotto i colpi di una crisi durissima, anche le persone che prima non andavano in cerca di un lavoro adesso lo fanno, spinti dalla paura e anche dalla disperazione».
«Quei 73 mila abruzzesi in cerca di occupazione sono il segno della rottura di un argine», aggiunge il sindacalista. «Passare da 48 mila a 73 mila persone è un salto di grandezza impressionante. All'inizio del 2011, stava peggiorando il pil abruzzese ma l'occupazione teneva ancora in qualche modo. Adesso la recessione sembra aver ormai maturato il suo prezzo sull'occupazione, così come temevamo».
«Cosa fare? A livello regionale», prosegue Campo, «dobbiamo tirare fuori un pacchetto anti-crisi per il 2012. Le risorse ci sono, a partire dai circa 600 milioni dei fondi Fas. Mettiamole tutti insieme e diecidiamo cosa fare sul terreno della riduzione delle imposte, sul credito e sull'occupazione, non più settorialmente, ma con un piano unico».
Quella di un intervento focalizzato nel tempo e nei settori è una proposta condivisa anche dalla Cisl.
«C'è la grande urgenza», dice Maurizio Spina, segretario regionale di questo sindacato, «che le istituzioni regionali forniscano proposte immediate per far fronte a questo quadro davvero drammatico. Abbiamo bisogno di un messaggio chiaro da dare al sistema produttivo abruzzese. C'è bisogno di dire: abbiamo queste risorse disponibili e vogliamo impiegarle in questi settori, in modo che il sistema delle imprese possa riposizionarsi. Così come per L'Aquila è urgente che si crei una task-force mettendo insieme Regione, Comune e forze economiche, allo scopo di accelerare ciò che è giusto e possibile fare per la ricostruzione. Insomma, serve una scossa forte».
Secondo la Cgil, i dati dell'Istat «rivelano drammaticamente che in Abruzzo, più che in altre regioni d'Italia, stiamo vivendo una crisi di sistema».
«In questi mesi», spiega Gianni Di Cesare, segretario regionale della Cgil, «abbiamo sempre detto che eravamo in recessione. Oggi questo dati ci dicono che c'è un calo generalizato dell'occupazione: nel credito come nell'edilizia come nel pubblico».
«Bisogna individuare subito i soldi da investire oggi», prosegue Di Cesare, «e, soprattutto, spenderli in settori ad alta intensità di lavoro, con una politica economica anti-ciclica. Penso a settori come l'edilizia, i trasporti, l'acqua, l'energia. Nel giro di due mesi, si possono fare interventi ad alta ricaduta occupazionale. E' inutile, in questo momento, pensare ai grandi interventi, alle grandi opere. Dobbiamo, invece, focalizzare risorse in settori in cui si possono crare subito nuovi posti di lavoro».
«Un'altra cosa da fare subito», conclude il segretario della Cgil Abruzzo, «è di restituire risorse economiche e potere d'acquisto alle fasce sociali più deboli, per esempio, abbassando le imposte a chi ha un reddito annuo non superiore ai 22 mila euro. Insomma, ci vuole una politica drasticamente keynesiana. E' una follia continuare a credere che il mercato possa aggiustare tutto da solo».
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