Alessandrini: come negli anni '70

Il figlio del giudice ucciso dai terroristi: che schifo quei manifesti a Milano

PESCARA. Marco Alessandrini aveva 8 anni quando, il 29 gennaio 1979 a Milano, i terroristi di Prima linea gli ammazzarono il padre, Emilio Alessandrini, pescarese, giudice istruttore. Oggi, Alessandrini fa l'avvocato a Pescara, dove è anche consigliere comunale del Pd, il partito per il quale è responsabile regionale per la giustizia. I manifesti comparsi, nei giorni scorsi a Milano, con la scritta «Via le Br dalle procure» lo chiamano in causa dal punto di vista biografico e politico.

Che cosa ha provato vedendo quei manifesti a Milano con su scritto «Via le Br dalle procure»?
«Incredulità e anche un po' di schifo, disgusto. Per un paio di ragioni. Per la veste grafica del manifesto che ricordava quelli dell'epoca, con lo sfondo rosso e i caratteri bianchi. E poi anche per il fatto che questo manifesto era affisso negli spazi elettorali del comune di Milano accanto a quelli della Moratti e di altri aspiranti consiglieri comunali. Mi è sembrato un sintomo dei tempi che viviamo e della crisi che sta attraversando la politica».

Che cosa si aspetta dall'autore del manifesto, come figlio di una delle vittime del terrorismo rosso degli anni '70?
«Nulla perché l'autore del manifesto, Lassini mi pare si chiami, non ha fatto altro che riprendere una frase del suo capo. Era stato Berlusconi, qualche giorno prima, a parlare di terrorismo giudiziario».

Da Berlusconi si aspetta qualcosa?
«Mi aspetterei di poter cominciare a vivere in un Paese normale. Si fanno manifesti come quello, Berlusconi parla di brigatismo giudiziario: tutto ciò che fa il premier è surrerale. Per dirlo con una formula giornalistica che mi ha colpito, siamo in presenza di armi di distrazione di massa».

Negli anni '70 la magistratura godeva di un appoggio più vasto da parte degli italiani: perché?
«Intanto, i sondaggi più recenti dicono che, da gennaio, la fiducia degli italiani nella magistratura è in crescita. Negli anni '70 c'erano delle persone che sparavano e altre che venivano ammazzate. Quindi, c'era da sgominare la follia ideologica che intossicava l'Italia. La situazione era molto più chiara. A questo si aggiunga che la magistratura italiana è stata assolutamente conservatrice, per lungo tempo, fino agli anni '70. Poi ci furono i pretori d'assalto e, infine, Mani pulite».

Una riforma della giustizia è necessaria?
«E' assolutamente necessaria. Ma la riforma non ha nulla a che vedere con l'accorciamento dei termini di prescrizione per gli incensurati, che significa solo garantire che Berluscoini possa sfangarsela con il processo Mills. Un grande giurista come Franco Cordero ha definito come "frode delle etichette" questa storia del processo breve. Per riformare la giustizia bisogna, invece, incrementare gli organici - non si assumono cancellieri dal 1997 -, insistere sull'informatizzazione, garantire una giustizia più rapida. Molti non sanno che buona parte del magro bilancio del ministero della Giustizia è impiegata per pagare i risarcimenti dei danni a cui l'Europa ci condanna a causa dell'eccessiva durata dei processi».

Teme che la divisione radicale e gli odi estremi che oggi segnano la lotta politica italiana possano sfociare in qualcosa di più grave?
«Sì. Ho negli occhi quello che è successo in Grecia, in Inghilterra, gli scontri degli studenti con la polizia. Sì, oggettivamente, penso che stiamo respirando un clima di rissa mai visto prima, che può portare a qualcosa di più drammatico. Se in Parlamento succedono le cose che abbiamo visto tutti, figuriamoci per strada».

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