All’alba a caccia di cinghiali nei boschi d'Abruzzo / Video
Una giornata con la squadra speciale "Falchi 1" nel teramano. Si chiamano operazioni di contenimento, servono a selezionare gli animali ed evitarne la proliferazione. Abbiamo seguito una battuta a Bisenti
BISENTI. Dopo anni e anni spesi a leggere i fumetti di Goscinny ho ben impressa l’immagine di Obelix che sbuca dalla foresta con due cinghiali sottobraccio. E penso anche a quanti amici ci hanno rimesso la testata della macchina impattando contro un verro sulla piana di Navelli. Eppure, scovare i cinghiali in mezzo al bosco, è tutt’altro che facile: una serie di movimenti in avanscoperta, monitoraggio e appostamento nell’arco di un tempo indefinito. Ore e ore di lavoro per sparare quasi sempre una volta sola. È questione di esperienza, ma anche di fortuna. Perché quando si va a caccia il fondoschiena non serve solo a sostenere i pantaloni. Ma procediamo con ordine.
GIÙ DAL LETTO. La sveglia per uscire in battuta non sarebbe traumatica in sé, visto che gli ungulati tendono a muoversi di notte e quindi di giorno è più facile – in linea teorica – scovarli. Basta solo indirizzare i cani verso il luogo dove si rifugiano per cercare di snidarli; da lì inizia l’inseguimento a debita distanza, perché non è consigliabile un contatto ravvicinato con l’animale infastidito dai cani. Mi tocca, comunque, fissare la sveglia alle 5.30 per raggiungere e superare Bisenti, alle falde nord-orientali del Gran Sasso.
EQUIPAGGIAMENTO. Ho anche bisogno di tempo per trovare l’abbigliamento giusto. Mi hanno suggerito di vestire scarpe da trekking, pantaloni solidi e una camicia per andare nei boschi. Completa la tenuta un gilet alta visibilità per l’auto che con tutto il resto non c’entra nulla. Però, visto che serve per evitare di farsi sparare addosso, sono ben felice di indossarlo. Il gilet è reso obbligatorio da un regolamento adottato dalla Provincia di Teramo sin dal 2004. Una serie di disposizioni per la sicurezza dei cacciatori e di tutte le persone che attraversano il territorio.
CONTENIMENTO. È proprio la Provincia che organizza sino a fine mese delle battute di contenimento per contrastare la presenza di cinghiali. Un’esigenza molto sentita soprattutto da agricoltori e ristoratori che hanno a che fare anche con seri danni ai raccolti e alle loro proprietà. Naturalmente, si cerca di preservare gli animali più utili alla riproduzione, come le scrofe, cercando di andare a colpire i cinghiali giovani, quelli malati e, come ultima scelta, i verri (cioè i maschi). C’è da dire che è difficile distinguere un cinghiale dall’altro, quando sbuca all’ultimo istante. Ma almeno c’è chi ci prova. Questa operazione, per la Provincia è quasi a costo zero visto che si affida quasi completamente ai cacciatori. In cambio, chi prende l’animale può fare quello che vuole con la carne. All’ente resta la funzione del controllo attraverso dei moduli che vanno riempiti dal caposquadra e attraverso un’ispezione preventiva che compete a una guardia venatoria: di solito un cacciatore come gli altri, che però ha fatto un corso di formazione specifico, sempre organizzato dalla Provincia.
TERAMANO STRETTO. Per completare i moduli ci vuole un po’, ma l’attesa più lunga è sempre quella davanti al bancone del bar perché da queste parti la pizza la fanno molto buona. Alle 7.30 c’è chi è già alla seconda birra. Non nella mia squadra però: io sto con i “Falchi 1”, a capo c’è Agreppino Valente, ex dirigente provinciale ora in pensione. È lui a scorrazzarmi con la Land Rover su e giù per il territorio, cercando di scovare i cinghiali. Fanno parte del gruppo Emidio Di Donato, Noè D’Orazio, Joey Giancola, Carlo D’Angelo, Mario Scocchia e Humberto Di Sabatino. Prima di partire mi consegnano un auricolare per le comunicazioni radio, altra cosa obbligatoria. Ora, con qualche nozione in più di teramano stretto, sarei in grado di capire di più degli appostamenti. So che ci muoviamo in un territorio che va da Bellante ad Arsita, passando per Castelli e il fiume Fino.
NOMI STRANI. Ma tra di loro parlano di luoghi i cui riferimenti stanno solo nella testa di chi vive da queste parti, quasi una geografia alternativa. Così, se dicono il cinghiale è passato per lu med’che, vuol dire che si trova in una zona attigua alla casa storica del dottore della zona. Analogamente, se si parla de l’inglès, si intende un terreno acquistato da una famiglia britannica. Ancora più curioso è il riferimento alla bbuttije: un albero in mezzo a una curva a gomito dove per tanto tempo c’è rimasta appesa a una bottiglia di plastica. Tutta l’area è contrassegnata da tabelle rosse che avvisano che la caccia è in corso.
LA GIRATA. Verso le 8 parte la girata coi cani. Tecnicamente, la vegetazione non consente una vera battuta, con i battitori sul terreno e i cacciatori che sparano. Per questo, si deve procedere utilizzando dei cani (massimo due per squadra come vuole il regolamento). Nel nostro caso abbiamo un segugio francese e uno maremmano. La squadra individua delle tracce che segnano il passaggio dei cinghiali. «Cerchiamo di capire qual è la traccia più fresca», spiega il caposquadra, «in modo che il canettiere indirizzi i due segugi verso la pista giusta. Noi monitoriamo i loro spostamenti a distanza. Se l’intuizione è corretta, di lì a poco i cani riescono a far uscire i cinghiali dal rifugio. Però si sa, a caccia ci vuole pazienza».
I FUCILI. A questo punto, se sei un cacciatore e vedi uscire il cinghiale devi sparare. È come nella storia del leone e della gazzella. Il signor Agreppino è dotato di carabina Argo Benelli calibro 30-06, capace di uccidere un essere vivente anche a due chilometri di distanza. È precisa perché ha la canna rigata e il proiettile va dritto al dunque. «Gli animali li devi fare secchi con un colpo solo. Meglio per loro e meglio per te», dice uno della squadra. «I fucili a canna liscia sono di solito più leggeri, ma meno precisi». Io sono un pacifista convinto, ma la curiosità mi spinge a prendere la carabina in mano. È una fortuna che non si possa sparare a vuoto, per non disturbare la caccia, considerando che, per come imbraccio il fucile, il rinculo dell’arma mi romperebbe la mandibola.
LA SEGUITA. Il resto è una partita a scacchi giocata in velocità col cinghiale. I suoi spostamenti li percepisci solo dall’abbaiare dei cani. E così dalle 9 in poi è tutto un salire e scendere dall’auto, per coprire questo o quel punto strategico. Le comunicazioni in radio fanno pensare alla polizia di Washington che cerca Rambo tra le gole desolate. Qui, però tutto avviene riducendo il rumore al minimo, e si usano gli auricolari perché i cinghiali sono disorientati dalla voce umana. Verso le 11.39, i cani iniziano a guaire. «È il segnale che si stanno scontrando col cinghiale», valuta Agreppino. L’intuizione si rivela giusta, purtroppo, e i due animali usciranno con delle ferite evidenti. Di lì a un’oretta, il cinghiale esce allo scoperto. Ma corre troppo vicino alla strada che va verso Contrada Villa Torri. Noi non vediamo niente, però in radio si sente «spar’ spar’». Parte un colpo, poi silenzio. Nulla di fatto, l’animale è riuscito a dileguarsi. Tre giorni prima è andata diversamente: un bel verro è stato catturato verso le 15 ed è stata festa per tutta la squadra, con cena a base di arrosticini e anguria. Per le pappardelle c’è tempo.
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