Atessa, Honda contro Di Lorenzo & c.: "Danni per 10 milioni di euro"

Ecco il ricorso dell'azienda giapponese contro l’ex numero uno della fabbrica. Durissime accuse d’infedeltà e “mala gestio”. Nel mirino anche Pietro Rosica

ATESSA. Un “dossier” di accuse lungo 70 pagine, corredato da foto, estratti di email, relazioni tecniche, visure, verbali, bilanci e contratti. E una stima di danni patrimoniali e non patrimoniali di 10milioni di euro. E' il clamoroso contenuto nell’atto di citazione che la Honda, colosso giapponese che in Val di Sangro ha insediato il suo unico stabilimento europeo per le due ruote, ha depositato nei confronti del suo ex numero uno Silvio Di Lorenzo (in Honda dal giugno 1982 al 2012), dei suoi famigliari (la moglie e i due figli Matteo e Francesco) e di una serie di noti imprenditori locali. Un impianto accusatorio a cui Di Lorenzo è chiamato a rispondere il 23 febbraio 2015 davanti al tribunale delle Imprese dell'Aquila e che si basa sulla scoperta, sostiene Honda, di «un sistema che scredita gravemente la società all'interno dell'azienda (presso i dipendenti), all'interno del gruppo Honda (con relativi vertici), all'esterno, con riguardo tanto ai fornitori che alle banche, ai concorrenti, ai clienti e distributori e anche agli organismi ed enti collettivi del territorio di Chieti, come sindacati, Confindustria, Camera di commercio». Quest’ultima è tuttora presieduta dallo stesso Di Lorenzo, manager conosciutissimo in tutto l’Abruzzo e ideatore del progetto del Campus automotive di Atessa.

Nel dossier dettagliatissimo di un noto studio legale di Roma si manifesta lo sgomento della proprietà giapponese - i cui componenti, si sottolinea nell'atto di citazione, «non parlano nè leggono, nè comprendono la lingua italiana» - nello scoprire che il vice presidente esecutivo di Honda Italia, Di Lorenzo, a cui furono conferiti i poteri e le deleghe per operare autonomamente in nome e per conto dell’azienda (tra i suoi poteri anche quello di assumere e licenziare operai fissandone retribuzione e mansione) avesse agito per anni da «infedele amministratore». L'accusa ricostruisce che Di Lorenzo sarebbe entrato in affari «con gli imprenditori Gabriele Scalzi, Pietro Rosica e Antonio Di Francesco, rilevando, nel caso di Tecseo, o costituendo, nel caso di Tecseo.it, Deca Spain e Rossocromo, società a cui commissionare importanti forniture, cosa che effettivamente avvenne, con enorme danno di Honda».

Gli avvocati Honda ricostruiscono come Di Lorenzo partecipasse «attivamente alla gestione di tali società, preoccupandosi di promuoverle dentro e fuori Honda Italia, anche facendo leva sulle posizioni e le relazioni acquisite presso vari enti ed istituzioni (tra cui la Ccia e la Confindustria di Chieti) grazie alla sua carica di vice presidente esecutivo di Honda Italia». Secondo l'accusa i famigliari di Di Lorenzo, la moglie, Giovanna e i figli Matteo e Francesco, avrebbero «consapevolmente permesso la creazione di complesse strutture societarie funzionali al disegno illecito del signor Di Lorenzo e anche a loro beneficio, attraverso le società Isola e Sirefid, oltre che, nel caso dei figli, attraverso ulteriori e specifiche condotte». Per i presunti danni subiti da Honda Italia in relazione alle forniture Tecseo, Tecseo.it e Rossocromo, Honda ounta il dito anche contro gli imprenditori Gabriele Scalzi e Pietro Rosica, quest'ultimo «anche responsabile per il danno all'immagine e alla reputazione di Honda Italia per un grave episodio relativo allo sconto di fatture presso la Unicredit di Pescara». Anche Rosica è un imprenditore molto conosciuto e apprezzato, alla testa del gruppo Cometa.

L'intero impianto accusatorio sorprende per due aspetti: il primo riguarda, se confermata dal tribunale delle Imprese dell'Aquila, la sottile opera di costruzione di società parallele, dipendenti e al tempo stesso funzionali ad Honda Italia. Il secondo aspetto fa emergere la facilità con cui avrebbe agito Di Lorenzo dentro e fuori l'azienda. Un esempio di questo atteggiamento risiede in un capitolo che nel fitto dossier viene intitolato “Grazie di cuore”. Dopo la fine del rapporto di lavoro dell'ex manager Honda, la società ha reperito due lettere in cui si evince che Di Lorenzo si sarebbe aumentato autonomamente la sua retribuzione . Le lettere erano inviate a se stesso e firmate dallo stesso Di Lorenzo per accettazione. In un caso, sostiene l'accusa, l'ex manager avrebbe perfino agito «con scherno»: alla proposta a se stesso di un aumento di 2.581 euro mensili, Di Lorenzo avrebbe risposto con le parole “Grazie di cuore”. «Il signor Di Lorenzo» scrive l'accusa «ha illecitamente impegnato Honda Italia per costi aziendali pari a 311.060 euro: a tanto ammontano le somme effettivamente corrisposte ... per questi due aumenti di retribuzione». «Honda» si legge tra le pagine dell'atto di citazione «a fronte di reiterati comportamenti del suo infedele amministratore, che hanno comportato ingiustificate e gravissime perdite alla società, ha subito una pesantissima diminuzione delle sue capacità di fare investimenti e di creare lavoro dentro e fuori l'azienda».

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