Bonifica di Bussi, l’Edison apre: "Pronti a pagare, ma non da soli"
Il gruppo milanese già dal 2006 ha accantonato una somma a sei zeri nel fondo rischi Paventata una soluzione sul tipo di Marghera, con il contributo del pubblico e di Solvay
PESCARA. Quanto ancora dovremo aspettare prima che chi ha inquinato i terreni e le acque di Bussi si decida a riparare al gravissimo delitto che è stato commesso? Esiste un briciolo di responsabilità in queste multinazionali che pubblicano bilanci con decine di pagine dedicate alla loro vocazione ambientale? Viene da chiederselo sentendo di altra carta bollata in arrivo, dell’ennesimo ricorso che rimette in discussione tutto e lascia i veleni a giacere indisturbati a una profondità compresa tra i due metri e mezzo e i sette metri e mezzo. A prepararlo è l’Edison, il grande gruppo milanese dell’energia che a sua volta fa capo al colosso Electricité de France (EdF), l’Enel transalpino, e che il 30 aprile è stato condannato dal Tar di Pescara a eseguire un provvedimento che il ministero dell’Ambiente aveva emesso il 9 settembre del 2013. Una sentenza, che ha stabilito che risanare un sito inquinato spetta non al proprietario dell’area, ma a chi quelle acque e quei terreni ha a suo tempo avvelenato.
L’Edison, come dicevamo, non ci sta, a prepara il ricorso al Consiglio di Stato, sul presupposto che la sentenza si baserebbe su un articolo di legge, il 31 della 594 del 1995, che nel frattempo è stata abrogata. Ma al di là delle schermaglie giudiziarie, dal quartier generale della società filtra finalmente un’apertura. Ovvero la disponibilità a contribuire alla bonifica, a patto che l’esborso non ricada interamente sulla società. Già dal 2006 nel bilancio della Edison, alla voce “Controversie rilevanti”, figura accantonato un fondo a sei zeri dedicato proprio a Bussi. L’idea è quella di intervenire sull’esempio di quanto è stato fatto a Marghera, unendo gli sforzi di diversi attori: «Sentiamo la responsabilità etica di fare la nostra parte, anche se siamo solo gli eredi di management e business che da tempo non esistono più», fanno sapere dal quartier generale milanese.
Ma chi sono gli altri attori che dovrebbero contribuire al risanamento? Dalle carte in possesso della Edison risulterebbe anzitutto che alcune operazioni furono autorizzate dal Comune di Bussi, senza che le autorità sanitarie eccepissero alcunché. In particolare furono sepolte una quindicina di barre di calcestruzzo contenenti peci clorurate. Sempre dai documenti, risulterebbe che gli interramenti si sarebbero susseguiti per sei mesi, dopo di che i rifiuti tossici sarebbero stati dirottati a Marghera.
L’altro attore chiamato in causa è poi la Solvay, cioé la multinazionale belga che subentrò al gruppo Ausimont-Montedison (poi Edison) nel 2002 e che tuttora è proprietaria di gran parte dell’area. I due gruppi si stanno battagliando fieramente in tutte le sedi, sia civili che penali, e al momento difficile immaginare un punto di sintesi: il ragionamento di Edison è che a portare la croce devono essere entrambe le società che hanno ereditato il sito di Bussi, mentre la Solvay (con il conforto della sentenza del Tar) ritiene che solo chi a suo tempo inquinò debba pagare.
Ma qualcuno (il ministero dell’Ambiente?) deve pur sbloccarla questa situazione. Al momento è verosimile che Edison chieda la sospensione dell’efficacia della sentenza che le dava tempo fino a fine maggio per approntare il piano definitivo di bonifica, in attesa poi che il Consiglio di Stato decida nel merito. E quest’ultima sarà una decisione molto attesa, destinata a fare giurisprudenza per i tanti “casi Bussi” sparsi per ltalia. Le 28 pagine firmate dal presidente del Tar di Pescara, Michele Eliantonio, saranno oggetto di un altro scontro. E a Bussi aspettano ancora.
Gianni Lamacchia
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