Comuni, sono 105 a rischio taglio
Il presidente dell'Anci: salviamo i piccoli borghi ricchezza dell'Abruzzo
PESCARA. Per Antonio Centi, il progetto del governo di accorpare i piccoli comuni al di sotto di mille abitanti rischia di impoverire l'Italia e l'Abruzzo più che realizzare risparmi consistenti di risorse. Aquilano, 67 anni, Centi è il presidente abruzzese dell'Anci, l'Associazione nazionale dei comuni italiani, fin da quando, a metà degli anni '90, sedeva sulla poltrona di sindaco della sua città.
Presidente Centi, sono 105 su 305 i comuni abruzzesi che rischiano di essere accorpati con l'ultima maxi-manovra finanziaria: qual è il giudizio dell'Anci su questo progetto?
«Intanto ci chiediamo se l'obiettivo di contrarre il numero di consiglieri e amministratori comunali coincida con quello di ridurre le spese del funzionamento delle istituzioni. La mia risposta è no».
Perché?
«Perché la riduzione corrisponderebbe al 2 per cento appena del costo di quei comuni. In un paese di 600-700 abitanti un consigliere comunale arriva a prendere non più di una settantina di euro netti all'anno. Il risparmio, quindi, sarebbe irrisorio. Né è pensabile che possa essere eliminato il personale dei comuni accorpati. I costi, insomma, resterebbero quasi immutati. Quel che accadrebbe, invece, è uno spianamento dell'esistenza delle singole, diverse, comunità territoriali minori della nostra regione».
Perché, allora, proporre un progetto di questo tipo?
«Perché con esso si dà l'impressione di tagliare i costi della politica a un'opinione pubblica che attende segnali radicali in questo campo. Sono misure un po' demagogiche. Si prevede la soppressione di consigli e giunte comunali, conservando la figura di un sindaco-borgomastro che ricorda un po' quella del podestà fascista. Ma una figura del genere era concepibile in una realtà come quella degli anni '30 in cui i comuni avevano funzioni molto limitate. Oggi non è più così. La soppressione di questi comuni parrebbe quasi concepita da una mente che voglia conservare le popolazioni anziane di quei comuni senza pensare al futuro. Fare questo significa semplicemente amministrare lo spegnimento delle popolazioni dei piccoli comuni in cui, così facendo, verrebbe a mancare ogni volontà di progettare il futuro».
La cartina dei comuni di alcune zone dell'Abruzzo interno è in sintonia con i tempi?
«Non lo è, ma questo non vuol dire nulla. I tempi, infatti, vorrebbero che all'Italia si togliessero le caratteristiche che fanno il suo fascino nel mondo, appiattendo il Paese su una dimensione puramente economicistica. Ma così l'Italia perde la sua capacità attrattiva che è fatta dalla varietà delle sue realtà municipali e locali. In questi giorni, a Santo Stefano di Sessanio si sta verificando un fenomeno interessante sotto questo profilo: la mostra di capolavori degli Uffizi, voluta dagli amministratori locali di quel piccolo borgo dell'Aquilano. Stiamo assistendo a un flusso quotidiano di migliaia di visitatori. Lì c'è la prova che, se elimini gli amministratori, finisci col togliere di mano a quei territori le uniche carte buone che hanno per giocarsi il futuro».
Ci sono difetti in questo sistema molto frammentato di comunità ed enti territoriali minori?
«Io dico che il progetto da perseguire sarebbe quello di imporre in maniera perentoria, obbligatoria, che i piccoli comuni mettano insieme una serie di funzioni amministrative, lasciando intatte le singole identità territoriali e culturali».
Quali funzioni?
«Penso, per esempio, a quelle dello stato civile, della polizia municipale, agli uffici tecnici comunali o a quelli cimiteriali. Così si realizzerebbe una razionalizzazione e una riduzione vere dei costi. Senza eliminare gli organismi elettivi che, soli, possono progettare un futuro per quelle comunità. In questo modo si conserva il fascino attrattivo dell'Italia, senza farla diventare un Paese fatto solo di grandi aggregati metropolitani e di centri commerciali».
In questi giorni stanno tornando a galla alcuni progetti di semplificazione territoriale. Il Pdl rilancia il progetto di grande area metropolitana che accorpi i comuni di Pescara, Spoltore e Montesilvano. L'Idv annuncia un referendum che porti all'unificazione di Abruzzo e Molise. Lei che cosa ne pensa?
«Sul punto dell'area metropolitana di Pescara esprimo un'opinione molto personale. L'Italia è fatta da 8mila campanili che sono la vera ricchezza del Paese. In 50 chilometri quadrati possiamo trovare quattro tipi diversi di vitigni, quattro etichette differenti di vini di qualità. Ecco, io non riesco a immaginare questa Italia ridotta a sole 50 grandi aree metropolitane in nome di un progetto di razionalizzazione. Mi chiedo: conviene a qualcuno un'Italia di questo tipo oppure un Abruzzo ridotto, chessò?, a 5 grandi aree metropolitane?».
Del ritorno alla regione unica Abruzzo e Molise, cosa pensa, invece?
«Qui il tema è un po' più complesso perché l'Unione europea, dal 2013 al 2017, si muoverà, dal punto di vista dei finanziamenti, essenzialmente in una dimensione di macro regioni. Nel nostro caso, la macro regione di cui si discute dovrebbe comprendere anche le Marche, senza annullare, però, le singole regioni ma creando un'entità amministrativa sovraordinata capace di programmare l'accesso a grandi finanziamenti. Quindi, un ritorno, mezzo secolo dopo, all'Abruzzo e Molise è una suggestione piacevole, se si vuole, sul piano storico, ma che deve necessariamente far parte di un processo che punti alla realizzazione della macro regione adriatica».
Presidente Centi, sono 105 su 305 i comuni abruzzesi che rischiano di essere accorpati con l'ultima maxi-manovra finanziaria: qual è il giudizio dell'Anci su questo progetto?
«Intanto ci chiediamo se l'obiettivo di contrarre il numero di consiglieri e amministratori comunali coincida con quello di ridurre le spese del funzionamento delle istituzioni. La mia risposta è no».
Perché?
«Perché la riduzione corrisponderebbe al 2 per cento appena del costo di quei comuni. In un paese di 600-700 abitanti un consigliere comunale arriva a prendere non più di una settantina di euro netti all'anno. Il risparmio, quindi, sarebbe irrisorio. Né è pensabile che possa essere eliminato il personale dei comuni accorpati. I costi, insomma, resterebbero quasi immutati. Quel che accadrebbe, invece, è uno spianamento dell'esistenza delle singole, diverse, comunità territoriali minori della nostra regione».
Perché, allora, proporre un progetto di questo tipo?
«Perché con esso si dà l'impressione di tagliare i costi della politica a un'opinione pubblica che attende segnali radicali in questo campo. Sono misure un po' demagogiche. Si prevede la soppressione di consigli e giunte comunali, conservando la figura di un sindaco-borgomastro che ricorda un po' quella del podestà fascista. Ma una figura del genere era concepibile in una realtà come quella degli anni '30 in cui i comuni avevano funzioni molto limitate. Oggi non è più così. La soppressione di questi comuni parrebbe quasi concepita da una mente che voglia conservare le popolazioni anziane di quei comuni senza pensare al futuro. Fare questo significa semplicemente amministrare lo spegnimento delle popolazioni dei piccoli comuni in cui, così facendo, verrebbe a mancare ogni volontà di progettare il futuro».
La cartina dei comuni di alcune zone dell'Abruzzo interno è in sintonia con i tempi?
«Non lo è, ma questo non vuol dire nulla. I tempi, infatti, vorrebbero che all'Italia si togliessero le caratteristiche che fanno il suo fascino nel mondo, appiattendo il Paese su una dimensione puramente economicistica. Ma così l'Italia perde la sua capacità attrattiva che è fatta dalla varietà delle sue realtà municipali e locali. In questi giorni, a Santo Stefano di Sessanio si sta verificando un fenomeno interessante sotto questo profilo: la mostra di capolavori degli Uffizi, voluta dagli amministratori locali di quel piccolo borgo dell'Aquilano. Stiamo assistendo a un flusso quotidiano di migliaia di visitatori. Lì c'è la prova che, se elimini gli amministratori, finisci col togliere di mano a quei territori le uniche carte buone che hanno per giocarsi il futuro».
Ci sono difetti in questo sistema molto frammentato di comunità ed enti territoriali minori?
«Io dico che il progetto da perseguire sarebbe quello di imporre in maniera perentoria, obbligatoria, che i piccoli comuni mettano insieme una serie di funzioni amministrative, lasciando intatte le singole identità territoriali e culturali».
Quali funzioni?
«Penso, per esempio, a quelle dello stato civile, della polizia municipale, agli uffici tecnici comunali o a quelli cimiteriali. Così si realizzerebbe una razionalizzazione e una riduzione vere dei costi. Senza eliminare gli organismi elettivi che, soli, possono progettare un futuro per quelle comunità. In questo modo si conserva il fascino attrattivo dell'Italia, senza farla diventare un Paese fatto solo di grandi aggregati metropolitani e di centri commerciali».
In questi giorni stanno tornando a galla alcuni progetti di semplificazione territoriale. Il Pdl rilancia il progetto di grande area metropolitana che accorpi i comuni di Pescara, Spoltore e Montesilvano. L'Idv annuncia un referendum che porti all'unificazione di Abruzzo e Molise. Lei che cosa ne pensa?
«Sul punto dell'area metropolitana di Pescara esprimo un'opinione molto personale. L'Italia è fatta da 8mila campanili che sono la vera ricchezza del Paese. In 50 chilometri quadrati possiamo trovare quattro tipi diversi di vitigni, quattro etichette differenti di vini di qualità. Ecco, io non riesco a immaginare questa Italia ridotta a sole 50 grandi aree metropolitane in nome di un progetto di razionalizzazione. Mi chiedo: conviene a qualcuno un'Italia di questo tipo oppure un Abruzzo ridotto, chessò?, a 5 grandi aree metropolitane?».
Del ritorno alla regione unica Abruzzo e Molise, cosa pensa, invece?
«Qui il tema è un po' più complesso perché l'Unione europea, dal 2013 al 2017, si muoverà, dal punto di vista dei finanziamenti, essenzialmente in una dimensione di macro regioni. Nel nostro caso, la macro regione di cui si discute dovrebbe comprendere anche le Marche, senza annullare, però, le singole regioni ma creando un'entità amministrativa sovraordinata capace di programmare l'accesso a grandi finanziamenti. Quindi, un ritorno, mezzo secolo dopo, all'Abruzzo e Molise è una suggestione piacevole, se si vuole, sul piano storico, ma che deve necessariamente far parte di un processo che punti alla realizzazione della macro regione adriatica».
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