Corona della Madonna rubata: 4 rom in arresto

Sei mesi fa il colpo. Traditi dalla ruggine della cassaforte trovata nel bagagliaio dell’auto. Le indagini del carabinieri partite dalla cappelliera trovata dopo il colpo accanto al convento dei Colli

PESCARA. A incastrarli è stata la polvere di metallo arrugginito rimasta sul fondo del bagagliaio dell’auto usata per la fuga la sera del 10 novembre 2009: la traccia invisibile lasciata dalla cassaforte che custodiva la corona della Madonna dei sette dolori trafugata in convento.

Con quattro arresti eseguiti alle prime ore di ieri, i carabinieri delle compagnie di Pescara e Montesilvano hanno messo la parola fine al giallo del furto della sacra reliquia, rubata per due volte in nove anni e in entrambi i casi ritrovata: la prima, nel 2000, in una via dei Colli, la seconda sei mesi fa, in un casolare lungo il fiume Saline, a Montesilvano. Per gli investigatori, i responsabili del furto sacrilego sarebbero tre uomini e una donna, tutti di etnia rom: Maciste e Gildo Spinelli, di 42 e 29 anni, fratelli, e un cugino dei due, Toni Spinelli, 43 anni, residenti a Collecorvino e Città Sant’Angelo. Con loro è finita in carcere, per il presunto concorso nel furto, anche la moglie di Gildo, Sheila Carri, 29 anni. Tutti arrestati dai carabinieri coordinati dal comandante provinciale, colonnello Marcello Galanzi, in esecuzione di un’ordinanza emessa dal gip del tribunale di Pescara Guido Campli, su richiesta del pm Giampiero Di Florio, che ha condotto l’inchiesta.

Dei quattro, il nome di Toni Spinelli è quello che ricorre per altre due vicende. La prima è l’inchiesta per il primo furto, per il quale l’uomo venne processato assieme ad altri due familiari e poi assolto. La seconda è il sequestro di beni per circa 700 mila euro - due casolari e terreni - eseguito a Collecorvino e Atri dai carabinieri il primo aprile: secondo l’accusa, le due case, intestate alla compagna dell’uomo, sarebbero state comprate con i proventi di attività illecite.

Agli arresti si arriva a partire da un ritrovamento fatto la sera stessa del furto, avvenuto alle 19 del 10 novembre scorso, quando dal convento dei frati cappuccini spariscono la vecchia cassaforte da 150 chili che contiene, oltre alla corona d’oro realizzata nel 1907 dall’orafo pennese Vincenzo Laguardia, anche 5 mila euro in contanti, due calici e una quindicina di monili donati dai fedeli.

All’esterno, in un’aiuola, i militari scoprono la cappelliera di un’auto. La prima ipotesi si rivelerà quella giusta: per caricare la cassaforte, il pannello è stato rimosso e i sedili reclinati per fare spazio nel bagagliao, dunque il pianale deve essere quello dell’auto usata dai ladri. C’è anche la conferma di un testimone, che sostiene di avere visto tre uomini issare qualcosa su un’auto aiutandosi con un carrellino. I carabinieri setacciano le concessionarie e scoprono che la cappelliera appartiene a una Ford Focus station wagon. Viene chiesto ai responsabili dei magazzini ricambi di segnalare eventuali richieste del pezzo mancante e, proprio nello stesso giorno, un uomo (è un parente dei quattro) ordina in un punto vendita della Tiburtina il pannello. Si scopre così che l’auto appartiene a Sheila Carri: la vettura viene controllata e, sul fondo del bagagliaio vengono scoperte tracce di polvere di ruggine che vengono prelevate e raffrontate con campioni della cassaforte. «Abbiamo trovato una perfetta corrispondenza, una prova schiacciante» ha detto ieri Galanzi. L’auto, hanno spiegato i carabinieri, sarebbe stata usata in passato per un furto analogo in una chiesa di Bari. Per l’avvocato Giancarlo De Marco, che difende gli arrestati, non ci sarebbe «alcun elemento concreto» e le tracce sull’auto «non provano però la partecipazione al furto».

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