L'INTERROGATORIO DEL SINDACO
D'Alfonso: «Nessuno può dire di avermi dato soldi»
Il sindaco parla per più di 3 ore in tribunale: «Toto è un amico, della lista di Dezio non so nulla». Poi piange. Dezio invece non risponde e chiede di tornare in libertà
E' stato il giorno del chiarimento davanti al giudice Luca De Ninis e al pubblico ministero Gennaro Varone che lo accusano di associazione per delinquere, corruzione, concussione, truffa e peculato. D'Alfonso si gioca la partita della vita.
Parla tre ore e 20 minuti, fuori un vigilante esclama in dialetto: faceme notte, sta a parlà solo lui. Il sindaco si difende con decine di documenti. Ribatte alle accuse delle cento pagine di ordinanza di custodia cautelare senza fermarsi mai dalle 16.05 alle 19.25. Ma non basta.
«Non ho mai ricevuto soldi e favori personali dalle imprese», è la frase chiave dell'interrogatorio del sindaco che questa volta non scarica le colpe su Guido Dezio, il più fedele del suo staff, arrestato insieme a lui la stessa sera di quattro giorni fa. E che ieri sera, assistito dagli avvocati Medoro Pilotti Aielli e Marco Spagnuolo, ha atteso la fine dell'interrogatorio del suo sindaco, ed è comparso davanti al giudice ma ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere e di presentare la richiesta di revoca degli arresti domiciliari.
«NON CONOSCO LA LISTA». Torniamo però a D'Alfonso che giura di non sapere nulla della lista con le «B» e le «N» accanto ai nomi degli imprenditori che avrebbero pagato tangenti, trovata in Comune in un cassetto dell'ufficio del suo braccio destro Dezio. E alla procura che lo accusa di aver preso tangenti da Carlo Toto, patron di AirOne e suo testimone di nozze (tangenti sotto forma di un viaggio in jet da New York a Pescara per la sorella del sindaco, o una gita a Malta e Venezia o, infine, 72mila euro di stipendi a Fabrizio Paolini, autista factotum del sindaco, ma anche avvocato e consigliere comunale del Pd a Francavilla) ha spiegato che «Carlo è un amico di vecchia data, è una persona generosa, lo faceva con me come lo ha fatto con tutti».
ESCE DI CASA. Facciamo un passo indietro. Sono le 15.05 quando una Smart nera esce dal cancello di casa di Luciano D'Alfonso in via Salita Zanni. Dentro, il sindaco siede nel posto del passeggero: l'utilitaria è condotta dall'avvocato Roberto Milia, sul sedile posteriore si intravedono quattro faldoni di carte con copertine verde, su quello più in alto c'è la dicitura «Aree di risulta», l'appalto vinto da Toto.
La Smart percorre Strada Francesconi, scende in via Ferrari e si dirige verso il tribunale. Alle 15.16 l'auto entra nel parcheggio del corpo B del palazzo di giustizia. D'Alfonso percorre un corridoio interno accompagnato dagli avvocati Giuliano e Roberto Milia, infine entra nell'aula 6, al piano terra dell'edificio. Fuori non ci sono cittadini a manifestare, ma decine di telecamere e giornalisti arrivati da tutta Italia. Nell'aula di giustizia, il sindaco appoggia gli incartamenti e comincia a rileggere le carte, i vigilantes invitano tutti a uscire e l'aula diventa off limits, mentre nell'androne compare un uomo che si esibisce in una solitaria protesta, mostrando un cartello scritto con un pennarello: «Chi ha troppo vuole sempre di più e c'è chi non riesce a portare un pezzo di pane ai propri figli. La legge è uguale per tutti».
ARRIVA DEZIO. Alle 16.04 il sostituto procuratore Gennaro Varone entra in aula, subito dopo di lui arriva il gip Luca De Ninis.
Comincia l'udienza. D'Alfonso sta già parlando da quaranta minuti quando nel parcheggio sul retro del tribunale arriva anche Guido Dezio, l'ex braccio destro arrestato assieme a lui, che viene avvicinato da un uomo che lo abbraccia, lo bacia e gli dice: «È un'ingiustizia».
Davanti ai suoi accusatori, D'Alfonso affronta punto per punto le contestazioni del capo di imputazione. Spiega in maniera sistematica le ragioni per le quali il gruppo Toto ha vinto il project financing dell'area di risulta, dopo però che otto imprese concorrenti si erano ritirate.
IL CASO TOTO. «Era un intervento anti-economico. I 4000 posti auto (secondo l'accusa concessi a Toto per rendere economicamente vantaggioso l'appalto, ndr) non esistono su alcun documento», spiega il sindaco spingendo il giudice ad annunciare approfondimenti su questa dichiarazione che non è di second'ordine.
SI SENTE TUTTO. Nei corridoi del palazzo di giustizia, per uno strano effetto di microfoni e altoparlanti accesi, la voce del sindaco echeggia fino ad arrivare a tratti ai giornalisti.
«In quella lettera del 23 aprile...» dice il sindaco. Si riferisce alla nota inviata in Comune dall'impresa di Dino Di Vincenzo (una delle otto invitate alla gara) per spiegare le ragioni della mancata partecipazione all'appalto da 53 milioni di euro per la sistemazione dell'area antistante alla stazione ferroviaria, quella che, secondo l'accusa, D'Alfonso avrebbe fatto ritagliare sulla sagoma della Toto spa per favorire l'amico. Una lettera in cui Di Vincenzo afferma di aver preferito rinunciare ai lavori perché ritiene l'intervento anti-economico, come ieri ha detto anche il sindaco.
IL CASO CIMITERI. Dal punto dove sono raccolti i cronisti, è possibile ancora sentire tutto quando il sindaco spiega perché chiese all'imprenditore De Cesaris di versare denaro a un famoso giornalista pescarese e ripete: «Per me quel giornalista era solo un postulante». Quindi, D'Alfonso affronta l'argomento cimiteri e l'operazione da 18 milioni di euro che ha permesso a Massimo De Cesaris e Alberto La Rocca (titolare della Delta costruzioni) di assicurarsi la gestione dei camposanti di San Silvestro e Colle Madonna.
«Io ho solo dato un indirizzo politico, il resto è stato svolto dalla commissione tecnica del Comune». Ai giudici, quindi, il sindaco chiarisce la composizione della commissione che diede il via libera al project financing e il nuovo filone d'inchiesta delle consulenze d'oro, da 340mila euro, affidate dal geometra Giampiero Leombroni all'avvocato Marco Mariani e al professionista Franco Ferragina, i componenti della commissione tecnica le cui parcelle sarebbero state pagate non dal Comune ma dalle ditte aggiudicatarie.
«Non mi appartengono scelte amministrative illegittime», dice però il sindaco che si alza in piedi quando affronta l'argomento delle presunte dazioni pagate al suo ex braccio destro dagli imprenditori e dichiara di non sapere nulla della ormai famosa lista con i nomi con le lettere «B» ed «N».
Già il 9 dicembre scorso, prima dell'arresto, aveva spiegato al pm Varone di essere all'oscuro dei presunti pagamenti in nero scoperti sugli appunti sequestrati a Dezio, scaricando le responsabilità sui fedelissimi del suo staff. Ma ieri sera non ha scaricato più alcuna colpa sul fedele braccio destro.
FINISCE TUTTO. Sono le 19,25 quando il gip dice di spegnere i microfoni. D'Alfonso esce da una porta sul retro per dribblare i cronisti e sale su una Volkswagen Fox. Alla guida c'è l'avvocato Giuliano Milia che lo porta a Salita Zanni e lo fa scendere davanti a casa. Due consiglieri e un assessore lo aspettano da ore. Piangono a dirotto quando vedono il sindaco scendere dall'auto. Uno di loro, Stefano Casciano, ha un malore. Antonio Blasioli ed Enzo Del Vecchio, il «sottosegretario di D'Alfonso», lo chiamano in Comune, sbottonano il giubbino e il colletto della camicia di Casciano. Sono attimi di tensione. Piove quando D'Alfonso rincasa. Il suo viso è segnato dall'interrogatorio. La Volkswagen dell'avvocato Milia è costretta a fermarsi qualche istante per attendere l'apertura del cancello elettrico. E' questo il momento in cui Casciano si riprende e grida «Luciano ti vogliamo bene». E D'Alfonso scoppia a piangere.