De Laurentiis: l'Abruzzo merita di più
«Deludente il governo regionale. Alleanze? L'Udc guarda ai programmi
PESCARA. «Centrodestra? Centrosinistra? Cose vecchie: contano gli uomini e i programmi». Rodolfo De Laurentiis, marsicano di Collelongo, leader dell'Udc regionale e Consigliere di amministrazione della Rai, è un osservatore molto critico delle cose abruzzesi.
Consigliere, come giudica l'attività di governo della Regione?
«Non mi sembra che il lavoro fatto abbia ottenuto risultati sulle grandi criticità. Tutti gli indicatori economici segnano il passo: l'occupazione, il Pil, l'indebitamento, la capacità dei servizi di essere all'altezza dei bisogni dei cittadini. E' il fallimento di un progetto di governo».
Deve però riconoscere che è stato un biennio difficile, tra terremoto, sanità, crisi internazionale.
«Certo, il punto di partenza era difficile, ma proprio per questo mi sarei aspettato che fosse messo in campo un grande progetto, una grande idea attorno alla quale chiamare tutti: imprenditori, sindacati, anche le opposizioni. Perché i grandi cambiamenti hanno bisogno di condivisione. Mi viene in mente l'Italia del boom economico, lì c'era un'idea di sviluppo che apparteneva a tutti gli italiani e noi eravamo all'avanguardia. Penso anche a un paese come la Finlandia che anni fa decise di cambiare l'idea di paese e di investire sulla conoscenza».
E noi?
«Noi non sappiamo cosa fare. Eppure l'Abruzzo è una terra meravigliosa con un popolo straordinario».
Anche sul post-terremoto è così critico?
«Io vado spesso all'Aquila e la vedo sempre uguale. Ora, non mi interessano le responsabilità, ma la città, una grande e straordinaria città italiana che merita un grande progetto di ricostruzione attorno al quale mobilitare le migliori intelligenze internazionali».
Il piano sanitario la convince?
«Lì c'è stato un approccio ragionieristico, senza spiegazioni e senza accogliere le proposte sensate che arrivavano dai territori. Non si è capito che se cancelli un piccolo ospedale consegni quel territorio al declino. Una classe dirigente vera questa cosa deve considerarla. E oggi quella scelta di fatto è bocciata dalla giustizia amministrativa, che ha stabilito che quei tagli vanno contro alcuni criteri oggettivi. Però dispiace che sia la giustizia amministrativa a ricordarci di certi principi fondamentali».
Chiodi sostiene che non ci sono risorse per fare diversamente.
«E' una cosa che sento dire sempre da chi governa la Regione, le Province o i Comuni. Ovvio, ma è in questi momenti che si vede lo spessore di un amministratore pubblico, nella capacità di recuperare risorse frugando nelle pieghe dei bilanci, investendo sui progetti strategici, stimolando nuovi insediamenti produttivi, valorizzando le specificità dei territori. Faccio un esempio. Noi abbiamo nel campo del trasporto ferroviario un asset prezioso come la Sangritana. Bene, non sappiamo che farcene, invece di lanciarlo sul mercato si pensa a chi distribuire le poltrone».
Cosa bisognerebbe fare?
«Dodici anni fa quando ero presidente dell'Arpa siamo andati a Roma e abbiamo vinto tre gare riportando a casa 1 miliardo di lire dell'epoca che ci ha consentito di assumere 300 giovani molti dei quali abruzzesi. Se oggi abbiamo il 30% di disoccupazione giovanile e se dal 2008 il tasso dei poveri è aumentato dal 12,4% al 15%, dipende anche dalla mancanza di scelte».
Nella mancanza di iniziative vede anche il segno di una classe politica debole e di partiti in disarmo?
«I partiti sono sempre più autoreferenziali, pensano alla soddisfazione della propria classe dirigente. Non c'è più il gusto della sfida. Una volta il politico aveva l'obiettivo di lasciare il segno, oggi non è più così. Poi c'è un'altra emergenza che mi preoccupa».
Quale?
«Negli ultimi anni questa regione ha vissuto troppe vicende giudiziarie che hanno minato le istituzioni. La classe dirigente non può essere sfiorata da ombre, dobbiamo ricostruire il metodo della correttezza e della trasparenza».
A maggio si voterà in molti comuni, il terzo polo si presenterà compatto? E con chi vi alleerete?
«Stiamo facendo degli incontri a livello regionale, c'è una sintonia che dobbiamo tradurre in una strategia più puntuale. Ma non c'è scritto da nessuna parte che l'Udc debba percorrere di nuovo le vecchie strade. Basta con gli schemi centrodestra-centrosinistra. Io sono un moderato, chi vuole cambiare questa regione per me è un buon compagno di viaggio, chiunque esso sia. Le alleanze vanno fatte su programmi che incidano sui territori».
Quindi sceglierete le alleanze sulla base delle situazioni locali?
«La decisione va ai responsabili provinciali. Il problema non è cambiare gli schemi di gioco ma cercare interlocutori veri. Per esempio all'Aquila ci sono difficoltà evidenti con il governo della Provincia. Lì c'erano dei punti del programma che il giorno dopo le elezioni sono stati dimenticati. E nessuno chiama l'Udc per ragionare. Che senso ha? Avevamo chiesto che la Provincia si schierasse a difesa degli ospedali minori, ma la Provincia non l'ha fatto».
A Chieti come va?
«Lì abbiamo un presidente, Di Giuseppantonio, che sta cercando di lavorare tra grandi difficoltà».
Ogni tanto si incontra con Luciano D'Alfonso.
«Ma parlano di cultura» (ride).
Di lei si parla come di un potenziale candidato governatore in Abruzzo. Anche per il centrosinistra.
«Questi sono progetti ambiziosi, il voto è lontano e io non posso farmi condizionare da progetti avveniristici mentre sono impegnato altrove. Oggi io mi preoccupo, da abruzzese, della mia regione. Mi piacerebbe lavorare per mettere a punto questa idea di sviluppo condiviso, ma non trovo interlocutori».
Consigliere, come giudica l'attività di governo della Regione?
«Non mi sembra che il lavoro fatto abbia ottenuto risultati sulle grandi criticità. Tutti gli indicatori economici segnano il passo: l'occupazione, il Pil, l'indebitamento, la capacità dei servizi di essere all'altezza dei bisogni dei cittadini. E' il fallimento di un progetto di governo».
Deve però riconoscere che è stato un biennio difficile, tra terremoto, sanità, crisi internazionale.
«Certo, il punto di partenza era difficile, ma proprio per questo mi sarei aspettato che fosse messo in campo un grande progetto, una grande idea attorno alla quale chiamare tutti: imprenditori, sindacati, anche le opposizioni. Perché i grandi cambiamenti hanno bisogno di condivisione. Mi viene in mente l'Italia del boom economico, lì c'era un'idea di sviluppo che apparteneva a tutti gli italiani e noi eravamo all'avanguardia. Penso anche a un paese come la Finlandia che anni fa decise di cambiare l'idea di paese e di investire sulla conoscenza».
E noi?
«Noi non sappiamo cosa fare. Eppure l'Abruzzo è una terra meravigliosa con un popolo straordinario».
Anche sul post-terremoto è così critico?
«Io vado spesso all'Aquila e la vedo sempre uguale. Ora, non mi interessano le responsabilità, ma la città, una grande e straordinaria città italiana che merita un grande progetto di ricostruzione attorno al quale mobilitare le migliori intelligenze internazionali».
Il piano sanitario la convince?
«Lì c'è stato un approccio ragionieristico, senza spiegazioni e senza accogliere le proposte sensate che arrivavano dai territori. Non si è capito che se cancelli un piccolo ospedale consegni quel territorio al declino. Una classe dirigente vera questa cosa deve considerarla. E oggi quella scelta di fatto è bocciata dalla giustizia amministrativa, che ha stabilito che quei tagli vanno contro alcuni criteri oggettivi. Però dispiace che sia la giustizia amministrativa a ricordarci di certi principi fondamentali».
Chiodi sostiene che non ci sono risorse per fare diversamente.
«E' una cosa che sento dire sempre da chi governa la Regione, le Province o i Comuni. Ovvio, ma è in questi momenti che si vede lo spessore di un amministratore pubblico, nella capacità di recuperare risorse frugando nelle pieghe dei bilanci, investendo sui progetti strategici, stimolando nuovi insediamenti produttivi, valorizzando le specificità dei territori. Faccio un esempio. Noi abbiamo nel campo del trasporto ferroviario un asset prezioso come la Sangritana. Bene, non sappiamo che farcene, invece di lanciarlo sul mercato si pensa a chi distribuire le poltrone».
Cosa bisognerebbe fare?
«Dodici anni fa quando ero presidente dell'Arpa siamo andati a Roma e abbiamo vinto tre gare riportando a casa 1 miliardo di lire dell'epoca che ci ha consentito di assumere 300 giovani molti dei quali abruzzesi. Se oggi abbiamo il 30% di disoccupazione giovanile e se dal 2008 il tasso dei poveri è aumentato dal 12,4% al 15%, dipende anche dalla mancanza di scelte».
Nella mancanza di iniziative vede anche il segno di una classe politica debole e di partiti in disarmo?
«I partiti sono sempre più autoreferenziali, pensano alla soddisfazione della propria classe dirigente. Non c'è più il gusto della sfida. Una volta il politico aveva l'obiettivo di lasciare il segno, oggi non è più così. Poi c'è un'altra emergenza che mi preoccupa».
Quale?
«Negli ultimi anni questa regione ha vissuto troppe vicende giudiziarie che hanno minato le istituzioni. La classe dirigente non può essere sfiorata da ombre, dobbiamo ricostruire il metodo della correttezza e della trasparenza».
A maggio si voterà in molti comuni, il terzo polo si presenterà compatto? E con chi vi alleerete?
«Stiamo facendo degli incontri a livello regionale, c'è una sintonia che dobbiamo tradurre in una strategia più puntuale. Ma non c'è scritto da nessuna parte che l'Udc debba percorrere di nuovo le vecchie strade. Basta con gli schemi centrodestra-centrosinistra. Io sono un moderato, chi vuole cambiare questa regione per me è un buon compagno di viaggio, chiunque esso sia. Le alleanze vanno fatte su programmi che incidano sui territori».
Quindi sceglierete le alleanze sulla base delle situazioni locali?
«La decisione va ai responsabili provinciali. Il problema non è cambiare gli schemi di gioco ma cercare interlocutori veri. Per esempio all'Aquila ci sono difficoltà evidenti con il governo della Provincia. Lì c'erano dei punti del programma che il giorno dopo le elezioni sono stati dimenticati. E nessuno chiama l'Udc per ragionare. Che senso ha? Avevamo chiesto che la Provincia si schierasse a difesa degli ospedali minori, ma la Provincia non l'ha fatto».
A Chieti come va?
«Lì abbiamo un presidente, Di Giuseppantonio, che sta cercando di lavorare tra grandi difficoltà».
Ogni tanto si incontra con Luciano D'Alfonso.
«Ma parlano di cultura» (ride).
Di lei si parla come di un potenziale candidato governatore in Abruzzo. Anche per il centrosinistra.
«Questi sono progetti ambiziosi, il voto è lontano e io non posso farmi condizionare da progetti avveniristici mentre sono impegnato altrove. Oggi io mi preoccupo, da abruzzese, della mia regione. Mi piacerebbe lavorare per mettere a punto questa idea di sviluppo condiviso, ma non trovo interlocutori».
© RIPRODUZIONE RISERVATA