«Dubbi sull'apertura ai privati»
Voto contrario del Pd nonostante il via libera a 20 emendamenti su 24
PESCARA. Venti emendamenti approvati su 24 presentati e sostanziale accoglimento di alcuni punti cruciali della riforma. Ma tutto questo non è bastato al Partito democratico per dire sì alla nuova legge regionale sul ciclo idrico integrato che venerdì è passata all'Emiciclo. I consiglieri Claudio Ruffini e Marinella Sclocco, accompagnati dal segretario regionale del partito, Silvio Paolucci, si sono presentati ieri in piazza Unione per spiegare le ragioni del voto contrario. A muovere le perplessità del Pd abruzzese è, prima di tutto, la «fretta» che ha caratterizzato il centrodestra nell'affrontare la delicata partita dell'acqua, nonostante l'avvicinarsi del referendum di giugno e il rinvio al 31 dicembre proposto alle Regioni dallo stesso governo nazionale. «Non si comprende perché sui trasporti», rileva Ruffini, «la maggioranza punti sulla proroga delle scadenze fissate al 31 marzo, mentre per la riforma dell'acqua abbia voluto imprimere una forte accelerazione».
I dubbi del principale partito di opposizione si estendono al ruolo commissariale, che sarà prolungato di 180 giorni (il Pd proponeva 90 giorni) prima dell'entrata in vigore della riforma, e soprattutto all'accentramento nel controllo e la gestione del servizio idrico su cui indulge la legge approvata dalla maggioranza. «Un modo», osserva Paolucci, «che prelude al tentativo di fare massa critica su un giro d'affari che, in Abruzzo, si stima in 120 milioni di euro l'anno».
Ma il voto contrario del Pd ha altre spiegazioni. «La nostra proposta non è stata neppure presa in considerazione», incalzano Ruffini e Sclocco. Proposta di riforma, quella targata Pd, mutuata dalle Regioni del Centronord (Toscana, Emilia Romagna e Lombardia), che invece di accentrare punta sul ruolo preminente delle Province nel governo dell'acqua pubblica. «La nostra riforma», spiegano i due consiglieri, «prevedeva infatti il trasferimento delle competenze alle Province, in modo da rendere partecipi i territori, attraverso i pareri dei Consigli provinciali». Bocciata la proposta in commissione, per il Pd è cominciato un grande lavoro di correzione della legge. «E con i nostri emendamenti», assicura Sclocco, «la legge risulta migliorata. Almeno nei punti più delicati». Dello stesso parere è Paolucci: «Determinante è l'emendamento che scongiura l'accentramento del potere sulla risorsa idrica anche se resta fermo il dubbio che l'accelerazione della riforma rappresenti un'apertura ai privati».
«Abbiamo voluto con forza», rileva Ruffini, «che venisse introdotta l'obbligatorietà del parere dei Comuni, cosicché resteranno in capo alle municipalità gli interventi per migliorare le reti idriche e la decisione sulla tariffa. Un altro punto importante siamo riusciti a introdurre: l'affidamento del servizio in house o a società con partecipazione pubblica (pubblico-privato)». Determinante, a giudizio di Ruffini, è l'emendamento che «scongiura il trasferimento del patrimonio (impianti e depuratori) dai Comuni alla Regione, perché avrebbe aggravato i bilanci municipali e provocato maggiore pressione tributaria sui cittadini. Abbiamo inoltre ottenuto che non verranno assunte decisioni che pregiudichino l'esito referendario sull'acqua».
I dubbi del principale partito di opposizione si estendono al ruolo commissariale, che sarà prolungato di 180 giorni (il Pd proponeva 90 giorni) prima dell'entrata in vigore della riforma, e soprattutto all'accentramento nel controllo e la gestione del servizio idrico su cui indulge la legge approvata dalla maggioranza. «Un modo», osserva Paolucci, «che prelude al tentativo di fare massa critica su un giro d'affari che, in Abruzzo, si stima in 120 milioni di euro l'anno».
Ma il voto contrario del Pd ha altre spiegazioni. «La nostra proposta non è stata neppure presa in considerazione», incalzano Ruffini e Sclocco. Proposta di riforma, quella targata Pd, mutuata dalle Regioni del Centronord (Toscana, Emilia Romagna e Lombardia), che invece di accentrare punta sul ruolo preminente delle Province nel governo dell'acqua pubblica. «La nostra riforma», spiegano i due consiglieri, «prevedeva infatti il trasferimento delle competenze alle Province, in modo da rendere partecipi i territori, attraverso i pareri dei Consigli provinciali». Bocciata la proposta in commissione, per il Pd è cominciato un grande lavoro di correzione della legge. «E con i nostri emendamenti», assicura Sclocco, «la legge risulta migliorata. Almeno nei punti più delicati». Dello stesso parere è Paolucci: «Determinante è l'emendamento che scongiura l'accentramento del potere sulla risorsa idrica anche se resta fermo il dubbio che l'accelerazione della riforma rappresenti un'apertura ai privati».
«Abbiamo voluto con forza», rileva Ruffini, «che venisse introdotta l'obbligatorietà del parere dei Comuni, cosicché resteranno in capo alle municipalità gli interventi per migliorare le reti idriche e la decisione sulla tariffa. Un altro punto importante siamo riusciti a introdurre: l'affidamento del servizio in house o a società con partecipazione pubblica (pubblico-privato)». Determinante, a giudizio di Ruffini, è l'emendamento che «scongiura il trasferimento del patrimonio (impianti e depuratori) dai Comuni alla Regione, perché avrebbe aggravato i bilanci municipali e provocato maggiore pressione tributaria sui cittadini. Abbiamo inoltre ottenuto che non verranno assunte decisioni che pregiudichino l'esito referendario sull'acqua».
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