ECONOMIA E POLITICA

PESCARA. Il tempo stringe. Se l’Italia vuole rimettersi in marcia sulla strada del risanamento ha le possibilità di farlo, ma deve farlo in fretta. E non aspettare che i tassi aumentino, come tutti...

PESCARA. Il tempo stringe. Se l’Italia vuole rimettersi in marcia sulla strada del risanamento ha le possibilità di farlo, ma deve farlo in fretta. E non aspettare che i tassi aumentino, come tutti ormai prevedono, e come certamente accadrà con il cambio di marcia (e di guida) della Banca centrale europea tra due anni e mezzo, quando Mario Draghi lascerà il timone a un tedesco o a un olandese. Questa la prognosi sul paziente Italia dell’ex commissario per la revisione della spesa pubblica (la famigerata spending review) Carlo Cottarelli, oggi tornato al Fondo monetario internazionale. Cottarelli ieri era a Pescara al Museo delle Genti d’Abruzzo, in un evento organizzato dalla Banca popolare di Bari, per presentare il suo ultimo libro “Il macigno, perché il debito pubblico ci schiaccia e come si fa a liberarsene” (Feltrinelli). Un lavoro che segue di due anni un best seller come “La lista della spesa”, il diario del suo periodo a Palazzo Chigi, e precede “I sette peccati capitali dell’economia italiana”, annunciato dallo stesso autore per il 1° gennaio 2018. Il grande protagonista del libro è dunque il debito pubblico. Un convitato costantemente invitato al banchetto della politica e poi regolarmente ignorato al momento di pensare e scrivere le manovre economiche. Per questo, come ha ricordato il condirettore generale della Popolare di Bari Gianluca Jacobini, il debito pubblico «nella nostra mente lo consideriamo un problema irrisolvibile». Ma tale non è, almeno in via teorica, secondo Cottarelli. Che, stimolato dalle domande del direttore del Centro Primo Di Nicola e dell’economista Giuseppe Mauro, ha ripercorso il dibatitto politico e scientifico sul debito, cercando di sfatare alcune parole d’ordine che la politica di volta in volta ha lanciato nel dibattito: come “Uscita dall’euro” o “Basta pagare debiti”.
Si parla di un macigno di 2.219 miliardi di debito pubblico, pari al 132,6% del Pil nazionale, il terzo più elevato al mondo dopo Giappone e Grecia. Un macigno che è soprattutto un freno per l’economia, ha spiegato Cottarelli, perché «un debito così alto fa venire il dubbio agli investitori che poi lo Stato non riesca a pagare», e perché «se il debito è alto le tasse saranno alte e gli investimenti prenderanno la strada di altri paesi». Ma come è possibile ridurre il debito pubblico? Per Cottarelli non ci sono scorciatoie possibili. Per esempio «ripudiare il debito, come ha sostenuto il Movimento 5 Stelle nel 2012-2013, perché vorrebbe dire tassare ulteriormente gli italiani che del debito detengono il 60%», ha spiegato Cottarelli. Né servirebbe tornare alla lira, «perché creerebbe inflazione». E poi «si può tornare alla crescita senza uscire dall’Euro», come hanno dimostrato Spagna e Portogallo. Esclusi da Cottarelli anche la «mutualizzazione» del debito, cioè la condivisione con gli altri paesi della Ue («non vedo tanta solidarietà in giro»), e la privatizzazione dei gioielli di famiglia perché «le risorse non sarebbero sufficienti». Quello che allora serve, ha sottolineato Cottarelli è una ricetta fatta di «riforme strutturali e di un moderato livello di austerità fiscale, in modo da raggiungere il pareggio di bilancio e mantenerlo nel tempo». Ma l’Italia deve resistere alla tentazione di spendere. Cottarelli non chiede tagli, ma chiede che almeno la spesa venga congelata. Il pareggio di bilancio, dice l’economista, si raggiunge solo «se le maggiori entrare» conseguite con queste due misure «vengono risparmiate e utilizzate per pagare il debito. Come farebbe una famiglia molto indebitata che, a fronte di un aumento di reddito, responsabilmente risparmia le maggiori entrate per ripagare il debito». L’Italia aveva promesso di farlo, ma già «nel bilancio 2017 ci sono più spese e sono state tagliate alcune aliquote di tassazione». Eppure non sarebbe un grandissimo sacrificio, dice Cottarelli. Comporterebbe una riduzione dell’1,5% della spesa reale in tre anni. Una volta raggiunto il pareggio (e mantenendolo) «nel 2045 saremmo al 60% del rapporto debito pubblico/Pil, quello della Germania di oggi». Un tempo troppo lungo? No, dice Cottarelli, «perché nel frattempo non avremmo le condizioni negative provocate da un eccesso di debito pubblico». Il paziente Italia dunque si sentirebbe meglio. Molto meglio. Ma occorre intervenire subito, «non farsi ingannare dai tassi d’interesse bassi» e pensare che presto non ci sarà più il salvagente della Bce.