«Ho toccato terra senza poter usare i freni»
Parla Isidori: potevano scoppiare le ruote. La co-pilota è di Castel di Sangro
PESCARA. «Non chiamatemi eroe perché ho fatto solo il mio dovere». Non si dà le arie Emidio Isidori, l’esperto pilota pescarese che venerdì scorso, dopo un guasto tecnico durato 11 minuti, ha portato a terra, sani e salvi, 231 passeggeri di un Airbus 330 appena decollato da Chicago con destinazione Roma. Accanto a lui, in cabina di pilotaggio, c’era un altro pilota abruzzese: Debora Rossi, 32 anni di Castel di Sangro, primo ufficiale.
Ieri Isidori è tornato a Pescara, a casa dei genitori Teodoro ed Enrichetta. Con lui anche la moglie Annarita. «La parte più difficile della manovra? L’atterraggio: con quel peso e l’alta velocità potevano scoppiare le ruote». Trentacinque anni di esperienza alle spalle e 18 mila ore di volo maturate non è un caso che abbiano fatto la differenza nel portare a terra l’aereo. Un atterraggio reso difficile da circa 27 tonnellate di carburante in più del previsto. «I piloti italiani sono i migliori al mondo», precisa Isidori che lancia un affondo al Codacons.
LE MASCHERINE. «Le persone prima di scrivere dovrebbero sapere di cosa si parli». L’argomento del giorno, che ha fatto il giro dei media italiani, riguarda una richiesta dell’associazione dei consumatori di «fornire spiegazioni sulle cause che hanno prodotto il fumo e sull’impossibilità di usare le mascherine per l’ossigeno», invitando «tutta la flotta a rimanere a terra». Secca la replica del comandante: «Garantisco la perfetta funzionalità delle mascherine che non sono utilizzabili in presenza di fumo ma solo durante una depressurizzazione, perché altrimenti si avrebbe una reazione chimica tossica».
IL GUASTO. «Sono state le hostess a comunicarmelo: “C’è molto fumo in cabina”». Erano appena passati 3 minuti e mezzo dal decollo. «Eravamo a 1500 piedi e avevo attivato il primo “pacco” di pressurizzazione», racconta, «è questo il momento in cui è entrato il fumo in cabina». Non avevo capito ancora la causa per cui abbiamo attivato la procedura di “troubleshooting”, e cioé processo di ricerca del problema, e richiesto il my day». Il guasto ha riguardato una turbina del miscelatore d’aria che si occupa di pressurizzare e riscaldare la carlinga. Il fumo denso e acre è entrato in pochi secondi tramite le bocchette di aerazione spaventando tutti i passeggeri. «Poteva provocare soffocamento o crisi d’asma, non lo potevo sapere per questo ho richiesto subito l’atterraggio».
L’ATTERRAGGIO. Il my day ha avviato la procedura d’emergenza bloccando tutto l’aeroporto O’Hare di Chicago. «Appena ricevuto il segnale i controllori radar ci hanno assegnato una frequenza radio riservata», spiega il pescarese, «attribuendoci la pista n. 18, la più lunga dell’aeroporto». Il problema era portare a terra un aereo configurato per un peso di 27 tonnellate inferiore. «Come previsto dalla normativa abbiamo effettuato un’apposita “checklist” ma il peso enorme e la velocità altissima avrebbero fatto scoppiare le gomme, per cui toccato terra niente freni e tutto in “trust reverse”, inversione dei motori.
Ieri Isidori è tornato a Pescara, a casa dei genitori Teodoro ed Enrichetta. Con lui anche la moglie Annarita. «La parte più difficile della manovra? L’atterraggio: con quel peso e l’alta velocità potevano scoppiare le ruote». Trentacinque anni di esperienza alle spalle e 18 mila ore di volo maturate non è un caso che abbiano fatto la differenza nel portare a terra l’aereo. Un atterraggio reso difficile da circa 27 tonnellate di carburante in più del previsto. «I piloti italiani sono i migliori al mondo», precisa Isidori che lancia un affondo al Codacons.
LE MASCHERINE. «Le persone prima di scrivere dovrebbero sapere di cosa si parli». L’argomento del giorno, che ha fatto il giro dei media italiani, riguarda una richiesta dell’associazione dei consumatori di «fornire spiegazioni sulle cause che hanno prodotto il fumo e sull’impossibilità di usare le mascherine per l’ossigeno», invitando «tutta la flotta a rimanere a terra». Secca la replica del comandante: «Garantisco la perfetta funzionalità delle mascherine che non sono utilizzabili in presenza di fumo ma solo durante una depressurizzazione, perché altrimenti si avrebbe una reazione chimica tossica».
IL GUASTO. «Sono state le hostess a comunicarmelo: “C’è molto fumo in cabina”». Erano appena passati 3 minuti e mezzo dal decollo. «Eravamo a 1500 piedi e avevo attivato il primo “pacco” di pressurizzazione», racconta, «è questo il momento in cui è entrato il fumo in cabina». Non avevo capito ancora la causa per cui abbiamo attivato la procedura di “troubleshooting”, e cioé processo di ricerca del problema, e richiesto il my day». Il guasto ha riguardato una turbina del miscelatore d’aria che si occupa di pressurizzare e riscaldare la carlinga. Il fumo denso e acre è entrato in pochi secondi tramite le bocchette di aerazione spaventando tutti i passeggeri. «Poteva provocare soffocamento o crisi d’asma, non lo potevo sapere per questo ho richiesto subito l’atterraggio».
L’ATTERRAGGIO. Il my day ha avviato la procedura d’emergenza bloccando tutto l’aeroporto O’Hare di Chicago. «Appena ricevuto il segnale i controllori radar ci hanno assegnato una frequenza radio riservata», spiega il pescarese, «attribuendoci la pista n. 18, la più lunga dell’aeroporto». Il problema era portare a terra un aereo configurato per un peso di 27 tonnellate inferiore. «Come previsto dalla normativa abbiamo effettuato un’apposita “checklist” ma il peso enorme e la velocità altissima avrebbero fatto scoppiare le gomme, per cui toccato terra niente freni e tutto in “trust reverse”, inversione dei motori.