Il 60% degli abusi compiuto dai mariti
Statistiche dei volontari dei centri antiviolenza: il problema in Abruzzo non è prioritario, appello alla Regione
PESCARA. In Abruzzo, combattere la violenza sulle donne non è una priorità. Lo dicono le rappresentanti dei centri antiviolenza, lo dice il fatto che la legge regionale 31 del 2006, che li ha istituiti, è stata finanziata solo una volta, l’anno della sua approvazione.
Da allora, i volontari che tengono in piedi queste strutture si sono accorciati le maniche, hanno messo a disposizione tempo e beni materiali, come l’auto e il carburante per accompagnare le donne in difficoltà e spesso i loro figli. È un mondo complesso e fragile quello in cui si muovono, fatto di soprusi, paura, violenze fisiche e psicologiche.
I numeri sono chiari: nel 2011 le donne che hanno contattato i centri sono state 513, quelle prese in carico 203, e 52 quelle seguite dagli anni precedenti. A chiedere aiuto al centro Ananke di Pescara sono state in 300, a Chieti il consultorio Alpha ne ha ricevute 11, al centro Le Melusine dell’Aquila 76, alla Fenice di Teramo 81, La Libellula di Sulmona ne ha sostenute 36 e la Casa delle donne, sempre a Sulmona, ne ha accolte 9.
La buona volontà può molto, e lo dimostrano i numeri delle donne aiutate, ma non basta. Occorrono fondi, e anche il riconoscimento istituzionale di queste strutture, che in Abruzzo operano con professionalità e correttezza da anni. Lo hanno chiesto ieri, nella sede del consiglio regionale di Pescara, le responsabili dei centri antiviolenza e degli sportelli di Lanciano e San Salvo. Ad ascoltare le difficoltà di queste donne, che operano per altre donne, c’erano diversi esponenti politici regionali. Tra loro, Nicolettà Verì (Pdl), Letizia Marinelli, consigliere di Parità, e i consiglieri Federica Chiavaroli (Pdl) e Camillo Sulpizio (Idv), promotori di un disegno di legge per il rifinanziamento della legge 31, a sostegno dei centri e delle case di accoglienza per donne maltrattate, e per l’istituzione dell’albo regionale dei centri antiviolenza. Di soldi se ne vedono davvero pochi: i finanziamenti sono in discesa libera dal 2009. Aumentano invece le donne che cercano sostegno. Sono state soprattutto le italiane a fare ricorso ai centri antiviolenza nel triennio 2009-2011, ben il 76 per cento. Seguite dalle donne dei Paesi dell’Est Europa (10,5 per cento) e dei Paesi sudamericani (6,1 per cento). Agli operatori dei centri si rivolgono prima di tutto per un primo contatto (28%), poi per chiedere informazioni (27,8%), per una consulenza psicologica (27,4%), o legale (7,8%), e in percentuali inferiori ma significative anche per un aiuto economico (2,5%). Perché sono pronte a denunciare (1,6%), o hanno bisogno immediato di una casa perché il rischio di violenza è altissimo.
Una violenza che nel 34, 4% dei casi assume la dimensione psicologica, nel 32,8% è fisica, nel 19,5% economica. E poi ancora, il 7,4% si rivolge ai centri a seguito di violenze sessuali, e il 5,8% perché vittima di stalking.
Il dato che lascia interdetti è che gli autori della violenza sulle donne sono in larga parte mariti e conviventi (60,9%). «Per questo è più difficile denunciare», spiega Liliana Caravelli, responsabile del centro di Sulmona, «perché sono persone che appartengono alla sfera intima». Infatti, se non è il compagno, nel 17,3% è un ex partner, nel 9,2% è un familiare, nel 9,9% si tratta di un conoscente. Solo il 2,4% delle donne che ricorrono ai centri, hanno subito abusi da uno sconosciuto. L’incubo è tra le mura di casa, e le vittime raddoppiano se si pensa ai minori che ogni giorno assistono ad atti violenti sulle madri. Anche per loro lavorano gli operatori dei centri, psicologi, psicoterapeuti, consulenti legali. «Di solito la donna maltrattata, suo malgrado, non è un buon genitore», spiegano le responsabili dei centri, «a dirigere la famiglia è l’abusante. I minori che assistono alle violenze sono tanti e vanno aiutati».
©RIPRODUZIONE RISERVATA