Il direttore prorogato 28 volte Maranella è un caso nazionale
Dopo la lettera-denuncia sul Centro, il fatto viene indicato come esempio su come l’ambiente subisce il disinteresse della politica. E il presidente Diaconale: «Vi spiego perché gli ho rinnovato l’incarico»
PESCARA. Diventa un caso nazionale la vicenda del direttore “facente funzioni” del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga il cui incarico è stato prorogato ventotto volte.
Dopo la lettera pubblicata dal Centro in cui un consigliere comunale di Castel del Monte, Bruno Dante, palesava l’assurdità della nomina, che avrebbe dovuto avere carattere provvisorio per ragioni di “necessità e urgenza” (a partire dal 2004), ma che per gli stessi motivi è diventata permanente, il caso è stato ripreso a tutta pagina dal Corriere della Sera trasformandolo in un esempio di come l’ambiente in generale sia avvolto dal disinteresse assoluto della politica nazionale e locale. E sia usato soltanto per soddisfare piccole clientele locali, e offrire qualche poltrona.
Il Corriere riprende anche la vecchia polemica che divampò in Abruzzo, ed ebbe eco sulla stampa nazionale, nel 2007 quando presidente del Parco fu nominato Arturo Diaconale, giornalista (abruzzese) che con con la gestione di un parco nazionale non c’entrava niente.
Anche Diaconale è rimasto da allora e con una lunga lettera spiega le ragioni che l’hanno spinto a firmare, a partire dal 2007, le proroghe al direttore pro tempore Marcello Maranella.
Anche in questo caso le spiegazioni affondano nell’inefficienza della politica locale perché Diaconale ricorda che il Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga non ha un Consiglio direttivo da quando lui si è insediato e che proprio il Consiglio direttivo, secondo lo statuto e la legge 394, deve proporre tre nomi – pescati da un apposito elenco – da sottoporre al ministero dell'Ambiente che poi fa la nomina.
Il Consiglio direttivo è nominato in parte dalla Comunità del Parco, formata dai sindaci dei 44 comuni presenti nell'area protetta ed in parte direttamente dai ministro dell'Ambiente.
«Come presidente posso sollecitare i rappresentanti dei Comuni ad indicare i nomi di loro competenza», scrive Diaconale, «ma a causa delle elezioni sfalsate che mutano in continuazione gli equilibri politici della Comunità le sue sollecitazioni rimangono spesso lettera morta. E posso anche emanare un bando per la formazione della terna dei candidati alla direzione tra quelli presenti nell'elenco dei direttori. Ma se lo faccio compie un atto che non avrà alcun effetto pratico. Perché l'albo dei direttori», aggiunge, «è in disuso da parecchi anni tanto da essere uno dei punti su cui si concentra la richiesta di modifica della legge. E, soprattutto, perché senza Consiglio direttivo nessuna terna può essere fissata ed inviata al ministero».
La conseguenza di questa situazione è che le proroghe si moltiplicano per impedire che gli Enti si paralizzino.
Proprio come è avvenuto nel Parco sotto il Gran Sasso. Spiega Diaconale: «Avendo trovato al mio arrivo un direttore nominato in precedenza e di cui conoscevo benissimo la storia e l'orientamento politico diverso dal mio ed avendone verificate la competenza e la capacità, non ho avuto mai alcuna esitazione a confermarlo nell'incarico per non perderne la preziosa professionalità. Io», sottolinea il presidente, «non ho mai privilegiato la logica dell'appartenenza ma solo quella della responsabilità».
Su chi ricade, allora, la colpa delle tante proroghe? «Può essere che qualche ministro abbia dimenticato o sottovalutato il problema. Ma l'esperienza ormai maturata mi spinge a rilevare come la colpa non sia solo delle persone ma di un sistema-ambiente regolato dalla legge 394 nato in maniera volutamente farraginosa e paralizzante. È la legge, allora, da correggere profondamente e , soprattutto, rapidamente».
In tutto questo permane la figura di Marcello Maranella, il direttore provvisorio-permanente. Il quale si dice danneggiato da questa situazione: perché?
«Non ho alcun beneficio delle proroghe e non sono io a volerle», ha risposto, «il problema è che si vogliono mettere in discussione anche le cose virtuose».
Però la legge dice che i nomi dei candidati vanno pescati da un albo: «Il mio nome nell’albo c’è, ora per esempio io ho tutte le idoneità».(a.mo.)
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