Intercettazioni hard, scontro accusa-difesa
Trifuoggi: rese pubbliche dai legali fuori dell'aula. L'avvocato di Del Turco: privacy violata
PESCARA. A neppure due anni dagli arresti che decapitarono la giunta regionale di centrosinistra, le intercettazioni "bollenti" fanno irruzione nel processo più importante d'Abruzzo, lo scuotono e attraverso pochi minuti di un intervento lungo due ore - quello in aula del procuratore Nicola Trifuoggi lunedì pomeriggio - lo proiettano di nuovo sulla ribalta nazionale, reso tanto attuale quanto incandescente dal riferimento a piccanti conversazioni telefoniche e ambientali.
Una ribalta inaspettata proprio nel momento in cui il Paese assiste a un rinnovamento d'imperio dello strumento intercettazioni e al varo di una legge che mutilerà il diritto d'informazione dei cittadini. L'inchiesta su tangenti e sanità in Abruzzo, che sulle conversazioni registrate di nascosto ha costruito solo una piccola parte dell'accusa, s'inserisce di colpo in questa delicata fase politica attraverso un centinaio di dialoghi a luci rosse, secondo i pm non sconosciuti alle difese, ma dall'effetto comunque dirompente.
Perché da un semplice brogliaccio - il documento di sintesi agli atti dell'avviso di conclusione delle indagini firmato a novembre dai pm Trifuoggi, Giampiero Di Florio e Giuseppe Bellelli - dove erano registrati semplicemente come «conversazioni intime», sono piombate nell'aula dell'udienza preliminare attraverso le parole pronunciate dal capo della procura di Pescara, costretto a fermarsi di fronte alle rimostranze dell'avvocato Giandomenico Caiazza, difensore di Ottaviano Del Turco, che ha abbandonato l'aula denunciando pubblicamente alla stampa l'ingresso di aspetti privati nel confronto processuale.
Lo scontro accusa-difesa, che ripartirà il 21 giugno, si è infiammato: per gli inquirenti, è stato il legale di Del Turco a volere rendere pubblico l'aspetto hard di telefonate altrimenti destinate a restare confinate nell'aula di udienza, a porte chiuse. Del Turco e Caiazza hanno replicato parlando di «dileggio personale» e di «pettegolezzi», rimbalzati ieri sulle pagine di alcuni quotidiani nazionali ("Libero" ha titolato: «Spuntano telefonate piccanti, il processo a Del Turco diventa gogna»).
Era davvero opportuno tirare fuori, in questo momento storico, conversazioni del genere? E qual è il loro peso processuale, ammesso che il gup Angelo Zaccagnini ne disporrà la trascrizione? Dal punto di vista degli inquirenti, rivelare in aula le telefonate hard di Del Turco e di un altro esponente della sua ex amministrazione (la cui difesa nulla ha rivelato alla stampa) è servito a dimostrare l'esistenza di «rapporti di favore» all'interno della Regione, testimoniato, ha detto Trifuoggi lunedì scorso, dall'utilizzo della «cosa pubblica come cosa propria». Il riferimento è all'affidamento - per decine di migliaia di euro - di quattro incarichi di consulenza ad amici di politici, tra cui le due donne protagoniste delle chiamate hard, secondo la procura tutt'altro che necessari. E' un film già visto quattro anni fa, quando il centrodestra era insorto accusando la giunta Del Turco di sperperare soldi pubblici con i contratti di collaborazione stipulati con un fotografo e un vignettista, estranei alle intercettazioni osè.
Ma che relazione ha, oggi, l'aspetto delle consulenze rispetto ai 15 milioni di euro di tangenti che l'imprenditore Vincenzo Angelini avrebbe versato in cambio di rimborsi d'oro per prestazioni extra budget? Dal punto di vista dell'accusa, è una goccia nel mare delle contestazioni che la procura muove a Del Turco e agli altri 33 imputati. Lo stesso vale per le chiamate hard effettuate con i telefonini della Regione. Che tutto questo abbia uno scarso peso processuale, lo dimostra il fatto che nessuna nuova accusa è stata formulata attraverso gli atti depositati due giorni fa in udienza. Né quella di abuso, conseguenza dei cosiddetti «rapporti di favore», né quella di peculato, legata all'uso dei telefoni dei servizio. Rilievi che la procura ha ritenuto di non muovere per non ingolfare il processo principale. Semmai, è la tesi degli inquirenti, è la dimostrazione di un sistema in voga nella Regione.
Replica la difesa: quelle chiamate a luci rosse costituiscono solo un attacco violento alla privacy. Ben diverso peso è destinato ad assumere, invece, il riferimento di Trifuoggi (la cui requisitoria è stata registrata su disposizione del gup) a un terzo politico coinvolto, che - dalle telefonate hard intercettate - avrebbe mantenuto l'amante con uno "stipendio" di 2500 euro mensili, insostenibile rispetto al reddito dichiarato. Per la procura, la prova di una disponibilità di contanti, quelli che Angelini avrebbe versato per favorire le sue cliniche.
Una ribalta inaspettata proprio nel momento in cui il Paese assiste a un rinnovamento d'imperio dello strumento intercettazioni e al varo di una legge che mutilerà il diritto d'informazione dei cittadini. L'inchiesta su tangenti e sanità in Abruzzo, che sulle conversazioni registrate di nascosto ha costruito solo una piccola parte dell'accusa, s'inserisce di colpo in questa delicata fase politica attraverso un centinaio di dialoghi a luci rosse, secondo i pm non sconosciuti alle difese, ma dall'effetto comunque dirompente.
Perché da un semplice brogliaccio - il documento di sintesi agli atti dell'avviso di conclusione delle indagini firmato a novembre dai pm Trifuoggi, Giampiero Di Florio e Giuseppe Bellelli - dove erano registrati semplicemente come «conversazioni intime», sono piombate nell'aula dell'udienza preliminare attraverso le parole pronunciate dal capo della procura di Pescara, costretto a fermarsi di fronte alle rimostranze dell'avvocato Giandomenico Caiazza, difensore di Ottaviano Del Turco, che ha abbandonato l'aula denunciando pubblicamente alla stampa l'ingresso di aspetti privati nel confronto processuale.
Lo scontro accusa-difesa, che ripartirà il 21 giugno, si è infiammato: per gli inquirenti, è stato il legale di Del Turco a volere rendere pubblico l'aspetto hard di telefonate altrimenti destinate a restare confinate nell'aula di udienza, a porte chiuse. Del Turco e Caiazza hanno replicato parlando di «dileggio personale» e di «pettegolezzi», rimbalzati ieri sulle pagine di alcuni quotidiani nazionali ("Libero" ha titolato: «Spuntano telefonate piccanti, il processo a Del Turco diventa gogna»).
Era davvero opportuno tirare fuori, in questo momento storico, conversazioni del genere? E qual è il loro peso processuale, ammesso che il gup Angelo Zaccagnini ne disporrà la trascrizione? Dal punto di vista degli inquirenti, rivelare in aula le telefonate hard di Del Turco e di un altro esponente della sua ex amministrazione (la cui difesa nulla ha rivelato alla stampa) è servito a dimostrare l'esistenza di «rapporti di favore» all'interno della Regione, testimoniato, ha detto Trifuoggi lunedì scorso, dall'utilizzo della «cosa pubblica come cosa propria». Il riferimento è all'affidamento - per decine di migliaia di euro - di quattro incarichi di consulenza ad amici di politici, tra cui le due donne protagoniste delle chiamate hard, secondo la procura tutt'altro che necessari. E' un film già visto quattro anni fa, quando il centrodestra era insorto accusando la giunta Del Turco di sperperare soldi pubblici con i contratti di collaborazione stipulati con un fotografo e un vignettista, estranei alle intercettazioni osè.
Ma che relazione ha, oggi, l'aspetto delle consulenze rispetto ai 15 milioni di euro di tangenti che l'imprenditore Vincenzo Angelini avrebbe versato in cambio di rimborsi d'oro per prestazioni extra budget? Dal punto di vista dell'accusa, è una goccia nel mare delle contestazioni che la procura muove a Del Turco e agli altri 33 imputati. Lo stesso vale per le chiamate hard effettuate con i telefonini della Regione. Che tutto questo abbia uno scarso peso processuale, lo dimostra il fatto che nessuna nuova accusa è stata formulata attraverso gli atti depositati due giorni fa in udienza. Né quella di abuso, conseguenza dei cosiddetti «rapporti di favore», né quella di peculato, legata all'uso dei telefoni dei servizio. Rilievi che la procura ha ritenuto di non muovere per non ingolfare il processo principale. Semmai, è la tesi degli inquirenti, è la dimostrazione di un sistema in voga nella Regione.
Replica la difesa: quelle chiamate a luci rosse costituiscono solo un attacco violento alla privacy. Ben diverso peso è destinato ad assumere, invece, il riferimento di Trifuoggi (la cui requisitoria è stata registrata su disposizione del gup) a un terzo politico coinvolto, che - dalle telefonate hard intercettate - avrebbe mantenuto l'amante con uno "stipendio" di 2500 euro mensili, insostenibile rispetto al reddito dichiarato. Per la procura, la prova di una disponibilità di contanti, quelli che Angelini avrebbe versato per favorire le sue cliniche.
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