L'ambasciatore Usa: "Gli immigrati sono un’occasione per ripopolare l’Abruzzo interno"
Phillips in visita all’Aquila: "La Germania insegna, i profughi possono portare freschezza e nuove idee. La vostra regione è beautiful, poco affollata e a un’ora da Roma, ma dovete farla conoscere meglio"
L’AQUILA. Parla a voce bassa, con l’accento della sua Pennsylvania, ma le cose che dice colpiscono nel segno e sono tutt’altro che banali. In visita all’Aquila, per un incontro con i vertici della Regione Abruzzo e dell’ateneo locale, l’ambasciatore americano in Italia John Phillips ha rilasciato un’intervista esclusiva al Centro, lanciando una proposta precisa per il rilancio dell’Abruzzo e incoraggiando l’azione del «giovane primo ministro» Matteo Renzi. Phillips, i cui nonni emigrarono dal nostro Paese ai primi del ’900 americanizzando il cognome originario, Filippi, è stato per molti anni uno degli avvocati più in vista di Washington, protagonista di cause miliardarie contro potenti multinazionali, ed è molto vicino al presidente Barack Obama, che gli affidò l’importante ambasciata di Villa Taverna poco meno di tre anni fa, il 14 giugno del 2013. Anche la moglie di Phillips, Linda Douglass, ha collaborato con il presidente come portavoce per la controversa riforma sanitaria ed è una giornalista molto nota negli Usa.
Come giudica dal suo osservatorio la situazione economica italiana?
«Per ripartire dovete mettere le imprese nelle condizioni di investire, con una burocrazia più snella e una giustizia più veloce. Alcuni presupposti ci sono: il costo del lavoro, per esempio, è più basso che in Germania, eppure nella classifica degli investimenti americani in Europa siete solo all’ottavo posto, mentre avreste le potenzialità per essere al secondo o al terzo. Ma le imprese bisogna andarsele a cercare, non aspettare che arrivino qui, magari creando per loro uno sportello unico che faciliti le cose. Ci sono regioni che lo stanno facendo bene, come la Toscana, l’Emilia e il Piemonte e ci sono società di consulenza specializzate in questo. Dovete saper “vendere” l’Abruzzo».
Pensa che il governo stia facendo le cose giuste?».
«Sì, mi sembra che Matteo Renzi sia stia muovendo bene, con le sue riforme, ma ci vuole tempo, anche sotto un altro aspetto che considero molto importante».
Quale, Ambasciatore?
«La stabililità politica. Ho calcolato che nel periodo in cui noi americani abbiamo avuto 12 presidenti, voi avete avuto 68 primi ministri e non a caso la durata del governo Renzi, due anni finora, viene ritenuta quasi un record...».
Che prospettive vede per l’Abruzzo?
«Io credo che abbiate davanti una grande opportunità accogliendo con intelligenza i profughi che stanno arrivando in Italia. L’Abruzzo ha tanti borghi nell’interno che si sono spopolati e tra questi migranti ci sono persone giovani, scolarizzate, che potrebbero portare freschezza di idee e voglia di fare. Guardate che cosa sta facendo la Germania, che ha deciso di accogliere un milione di profughi anche per sostenere con forze nuove la sua economia. E c’è un’esperienza anche in Italia a cui dovreste guardare con interesse».
Quale?
«E’ la storia di Sutera, il paesino siciliano che stava morendo e che è rinato grazie al fatto che il Comune ha messo gratuitamente a disposizione un alloggio per ogni nucleo familiare. Se ne sono occupati anche i grandi giornali americani, come TIME o il New York Times ».
Perché i nostri borghi non hanno il successo turistico, anche presso il pubblico americano, che hanno i borghi della Toscana?
«L’Abruzzo è beautiful, bellissimo, è a un’ora di macchina da Roma, quindi accessibilissimo e per di più non è overcrowded, affollatissimo come le mete turistiche tradizionali, come Firenze o Venezia. E’ appealing, attrattivo, ma sconosciuto e dovete farlo conoscere, sui siti e sulle riviste specializzate americane, organizzando visite in loco. E puntare anche ai pensionati americani, che potrebbero ritirarsi qui invece che in Messico o in Costarica».
La storia è piena di emigrati abruzzesi che hanno avuto successo negli Usa: pensa che sia ancora un’opportunità praticabile?
«Incontro spesso i ragazzi italiani e mi colpisce la diffusa volontà di andarsene dall’Italia, una volta finiti gli studi. C’è un grande scoraggiamento, frustrazione per la mancanza di opportunità, ma l’obiettivo dev’essere di tenere i talenti in Italia, cercando di ricostruire un “sense of place”, un senso di appartenenza».
Ma come trattenerli?
«Dando loro la possibilità di creare nuove imprese, di investire su se stessi, favorendo il venture capital. Certo, tutto questo comporta l’assunzione di un rischio, ma a questo può corrispondere un ritorno importante. Però torniamo al tema della burocrazia: in Estonia puoi aprire un’impresa in 18 minuti, un po’ come da noi negli States, qui i tempi ancora troppo lunghi».
C’è un abruzzese che ha avuto grande successo negli Stati Uniti, Sergio Marchionne, capo di Fiat-Chrysler, che cosa ne pensa?
«Sono un fan di Sergio».
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