il caso
L'Aquila, l'ex preside finito in cella: sei d'accordo o contrario?
Bearzi è in carcere, condannato per il crollo del Convitto Cotugno dell’Aquila, con tre giovani morti. Anche in città molti considerano la punizione eccessiva. La lettera di Mimmo Iovannitti: «Aveva creduto alle rassicurazioni con cui la commissione Grandi Rischi aveva tranquillizzato gli aquilani, eppure lui paga e tutti gli altri no»
L’AQUILA. Prima la mobilitazione del mondo della scuola a sostegno del ritorno in libertà del «suo preside», ora la richiesta di grazia – che verrà presto inviata al presidente della Repubblica – sottoscritta all’unanimità dalla giunta provinciale di Udine. E nel mezzo l’interrogazione di Sel, ai ministri competenti, volta ad ottenere un intervento legislativo per «stabilire una diversa e coerente attribuzione delle responsabilità sulla sicurezza degli edifici scolastici». La condanna definitiva a quattro anni e il conseguente arresto di Livio Bearzi, l’ex rettore del Convitto Cotugno dell’Aquila, nel cui crollo – il sei aprile del 2009 – morirono tre studenti (tutti minorenni) e altri due rimasero feriti, è ormai un caso nazionale. Per molti un problema di coscienza.
E anche all’Aquila, nella città devastata da quel terremoto, c’è chi si dice pronto a sostenere quella richiesta di clemenza per Bearzi. «Chiedere la grazia è un atto di assoluto buon senso, sempre nel rispetto della memoria delle vittime e dei familiari», ha detto il presidente del consiglio comunale Carlo Benedetti, appena qualche giorno dopo l’arresto del preside. Livio Bearzi, 58 anni, è stato arrestato il 10 novembre scorso e trasferito al carcere di Udine, dopo la conferma, da parte della Cassazione, della condanna a quattro anni di reclusione per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose. All’ex preside del Convitto sono state contestate la mancata ristrutturazione del vecchio edificio e l’assenza di un piano per la sicurezza. Con lui è stato condannato a 30 mesi anche il dirigente della Provincia dell’Aquila Vincenzo Mazzotta.
L’Associazione nazionale dei presidi, con un appello diretto al premier Renzi e ai ministri dell’Istruzione e della Giustizia, e la giunta provinciale di Udine, guidata da Pietro Fontanini, sta preparando la richiesta di grazia da presentare al presidente Mattarella. D'accordo a firmare la richiesta di grazia anche l'aquilano Mimmo Iovannitti, ex ufficiale degli Alpini che ha conosciuto Bearzi nella Scuola militare di Aosta. Ecco la sua lettera:
«Gentile direttore, condivido in pieno tutti i messaggi di appoggio che sono stati pubblicati mercoledì a favore della domanda di grazia da presentare al Presidente della Repubblica a favore del preside del Convitto Cotugno dell’Aquila, Livio Bearzi. Senza voler entrare nel merito della sentenza nel rispetto per il dolore che ha colpito le vittime ed i loro familiari, ritengo necessario evitare che a distanza di oltre 6 anni il sisma dell'aprile 2009 faccia una nuova vittima. Ho conosciuto Livio Bearzi nel 1982, nella Scuola Militare Alpina di Aosta, ed aveva già subito sulla sua pelle i due sisma del 1976 che avevano colpito la sua terra, il Friuli, e che lo avevano visto attivo nelle operazioni di soccorso nei territori più colpiti.
Poi, dopo il sisma del 2009, ho rivisto più volte Livio proprio nel container che ospitava il "Convitto" di cui era ancora responsabile. Era una persona proiettata alla rinascita dell'istituzione scolastica, perché ha sempre creduto che proprio dalla scuola poteva partire la rinascita della città dell'Aquila. Un dirigente responsabile ma segnato interiormente e profondamente dalla tragedia di cui era stato suo malgrado protagonista e dal ricordo dei tre giovani che non era riuscito a salvare. Mi raccontava che in quei giorni quegli stessi locali avevano ospitato anche i suoi familiari e il cruccio più grande era proprio dettato dal fatto che nei pochi mesi che aveva avuto a disposizione non aveva potuto mettere in opera gli interventi di messa in sicurezza del Convitto. Aveva creduto alle rassicurazioni con cui la commissione Grandi Rischi aveva tranquillizzato gli aquilani, eppure lui paga e tutti gli altri no. Tanti altri stanno lucrando sulla tragedia, ma sono a piede libero, mentre Livio Bearzi è in un carcere e da quasi 10 giorni la sua famiglia non riesce ad avere contatti con lui o potergli far pervenire almeno il materiale per l'igiene intima. Nel rispetto e nella speranza che la giustizia faccia il suo corso e trovi le reali responsabilità firmerò e mi impegnerò a far firmare, insieme agli altri ex ufficiali degli alpini del 107° corso AUC, la petizione per la richiesta della grazia».
Mimmo Iovannitti, L’Aquila