L’ex manager marsicano che fa canne in bambù
Unico produttore italiano di attrezzi per la pesca a mosca, vende in tutto il mondo Due lauree e il lavoro in una multinazionale alle spalle: ora faccio ciò che mi piace
AVEZZANO. David, in Inghilterra, avrà presto il suo gioiello. Una canna in bambù per la pesca a mosca, con un mulinello in madreperla, anelli d’argento tenuti insieme dalla seta e tante altre finiture di pregio. Un gioiello, per quanti praticano uno sport che diventa passione, che arriverà dall’Abruzzo. Perché è qui che vive e lavora l’unico produttore italiano di queste speciali attrezzature.
L’artista è di Avezzano, ha 42 anni e si chiama Massimo Tirocchi. Una storia da raccontare quella di Tirocchi. Perché prima di diventare un rodmaker - letteralmente costruttore di canne - faceva il manager in una multinazionale. Massimo Tirocchi ha due lauree, una in Economia e l’altra in Sociologia, e lavorava tra Roma, Milano e Parigi. «Facevo una vita stressante» racconta «ripagata da un punto di vista economico, ma che non mi apparteneva. Ho lavorato come consulente aziendale in un settore di amministrazione e sviluppo dal 1996 al 2004. Poi ho sentito il richiamo delle radici e ho deciso di mollare tutto e tornare in Abruzzo».
Ad Avezzano, nella sua abitazione in centro, ha costruito un piccolo laboratorio. Lì dove il padre, un tempo, si dilettava nell’aeromodellismo. «Ho iniziato a pescare a 7 anni» prosegue Tirocchi «frequentavo il Liri a Canistro perché mia madre è originaria della Valle Roveto. Poi da adolescente ho scoperto la pesca a mosca. E per hobby ho iniziato a costruire canne. Le prime erano in grafite e le realizzavo nel laboratorio di mio padre dove erano appesi piccoli aerei». L’hobby dell’adolescente è diventata professione da adulto. Dopo avere frequentato un corso in Toscana, con l’associazione costruttori Ibra, ha iniziato il mestiere. «Altri, in Italia, costruiscono canne per hobby» afferma Tirocchi «io mi sono buttato in questa professione. Con tanti rischi ma buoni risultati». Le canne firmate Tirocchi finiscono in tutto il mondo. Vende la maggior parte dei prodotti negli Stati Uniti (l’80%) ma ha clienti sparsi anche in Olanda, Regno Unito, Norvegia Svezia, Lussemburgo e Argentina. Paesi dove la pesca a mosca ha una tradizione secolare. I contatti avvengono su Internet. «Costruisco dalle 15 alle 20 canne l’anno, tutti pezzi unici» riprende Massimo Tirocchi «per la lavorazione di un singolo pezzo ci vogliono dalle 60 alle 80 ore di lavoro. Sei settimane per la consegna. I prezzi? Variano dai mille ai duemila euro a canna, a volte qualcosa in più. Dipende molto dalle richieste del cliente».
Ma come nasce una canna da pesca in bambù? «Il bambù arriva dalla Cina, attraverso un importatore americano» spiega il rodmaker abruzzese «si tratta dell’Arundinaria amabilis conosciuto come Tonkino. Pianta eccezionale per caratteristiche meccaniche di elasticità e per la resistenza alla rottura. Il bambù si colora con la fiamma e poi si spacca per ottenere dei listelli. Ne occorrono diciotto per ogni canna, perché è previsto anche un cimino di ricambio. Per l’impugnatura preferisco il sughero portoghese, anche se alcuni clienti mi ordinano impugnature fatte con cortecce di betulle di Masur o col legno di olivo. L’impugnatura viene fermata con anelli in argento prodotti dall’orafo Valerio De Angelis. Quindi si assemblano i listelli, dopo una ulteriore lavorazione. Si lavora sui decimi di millimetro perché non può esserci il minimo errore. La canna va poi in un forno e cotta a temperature fra i 150 e i 190 gradi. Così il bambù cristallizza e diventa una sorta di fibra di vetro. Per il montaggio degli anelli utilizzo fili di seta giapponese. E il primo anello dove scorre la coda di topo, come da tradizione, deve essere in pietra d’agata. Alla fine c’è la verniciatura per proteggere la canna dall’umidità. Un’attrezzatura classica è lunga sette piedi, circa 2,14 metri, e pesa settanta, ottanta grammi. Costruisco canne tradizionali, per il piacere di pescare».
La prima settimana di marzo Tirocchi sarà in Patagonia. Il prossimo autunno ospiterà pescatori statunitensi a Castel di Sangro. «Il Sangro è l’unico fiume abruzzese che offre spazi per la pesca a mosca» conclude il costruttore di canne in bambù «qui manca la cultura, soprattutto nella gestione dei corsi d’acqua. Molti fiumi sono diventati discariche. E quando ospito pescatori stranieri mi vergogno. Ma questa è un’altra storia».
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