La Luna a ritmo di jazz
«Quella notte di 40 anni fa, al primo Festival di Pescara».
Un parco Le Naiadi invaso dai televisori, una ventina di musicisti americani che condividono con 4-500 pescaresi una delle notti più magiche del Novecento, il primo Festival estivo di jazz in Europa. E’ riassumibile così la notte tra il 20 e il 21 luglio 1969. Alle 4,57 del 21 luglio (quando a Washington erano ancora le 22,57 del 20 luglio) l’uomo compì il primo passo sulla Luna. Quell’uomo si chiamava Neil Armstrong. Ironia della sorte lo stesso cognome della più grande stella del jazz. «Era l’ultima serata del Festival di Pescara», spiega Lucio Fumo, fondatore del primo festival estivo in Europa, ricordando quella notte di 40 anni fa, «e sinceramente avevamo paura che il pubblico disertasse la serata per concentrarsi sull’allunaggio dell’Apollo 11.
Allora, già dalle sere precedenti, annunciammo che avremmo provveduto a mettere dei televisori nel parco per permettere a tutti di vedere quel momento storico in diretta tv. Oggi può far sorridere, ma quaranta anni fa non era, tecnicamente, una cosa semplicissima. Dove adesso c’è la piscina c’era un prato nel quale facemmo posizionare una ventina di televisori. C’era un nostro consigliere, Giuseppe Ricci, che vendeva hi fi, o meglio apparecchi tv, sulla Tiburtina, e ci aiutò lui». Come organizzaste quella magica sera? «Partiamo col dire che il programma prevedeva due gruppi stranieri, l’Albert Nicholas e Jean Luc Ponty quartet e la Maynard Ferguson big band. Prima di loro c’era la New Dixieland sound di Marcello Rosa. Ricordo che il più elettrizzato era Albert Nicholas.
C’era Jean Luc Ponty che era poco più di un ragazzino (aveva 27 anni, ndr). Noi avevamo previsto dei tavolini all’aperto per far mangiare gli artisti dopo la serata. Allora dentro Le Naiadi c’era pure un ristorante». Cosa le disse Nicholas? «Era folgorato. Mi disse: “Questa è una cosa talmente bella che per me è la più importante della mia vita. Io ho girato in tutto il mondo, ho suonato dappertutto ma l’emozione di questo momento è superiore a tutto”. Mi fece una grande impressione perché io avevo 33 anni e lui una settantina. Vedere questo grande artista così emozionato mi colpì moltissimo». Ma l’allunaggio ci fu nella tardissima nottata. Cosa avete fatto nel frattempo? «Allora i concerti non erano come adesso, quando le star arrivano impacchettate dai manager, dalle guardie del corpo, impossibili da avvicinare.
Erano tempi completamente diversi. Il concerto, con i tre set, finì intorno all’1,30 le 2 di notte. Poi facemmo mangiare gli artisti in quel bellissimo parco, con i tavolini tra i salici piangenti e i televisori accesi. Ma anche il pubblico, almeno 4-500 persone, rimase lì con noi. E gli artisti non è che si tiravano indietro. Facevano autografi, rimanevano volentieri a parlare con le persone. Oggi è assolutamente impensabile. Adesso, nei contratti ti chiedono di rigore l’hotel a 5 stelle, la jacuzzi in bagno e l’acqua minerale della loro marca preferita. Allora Jean Luc Ponty, Maynard Ferguson, rimasero tutti là, tutti a vedere l’allunaggio da Pescara. E la mattina dopo se ne tornarono in albergo da soli, a piedi, su una strada non asfaltata, a pochi metri dall’ingresso delle Naiadi c’era l’hotel Sund. Se penso che anche Duke Ellington ci ha dormito mi vengono i brividi». Ma voi eravate già emozionati per la prima edizione del Festival, no? «Eh come no? Eravamo molto eccitati per questo festival che avevamo creato a Pescara.
La prima edizione era stata aperta dal pianista Bill Evans e dal quintetto di Philly Joe Jones. Le serate erano presentate da Adriano Mazzoletti, un grande jazzofilo, famoso per le sue conduzioni radiofoniche». La coincidenza del primo uomo sulla Luna che si chiama Armstrong fu una specie di buon auspicio per voi? «Sì, forse sì. Mi ricordo che Nicholas fece una battuta su questo fatto. Anche se Amstrong, Louis intendo, è stato uno dei pochi che non abbiamo potuto far venire al Pescara Jazz perché morì poco dopo (nel 1971)». Il Festival Jazz di Pescara ha compiuto 40 anni, ma va avanti, naturalmente. «Beh sì, la storia continua. Il Festival ha compiuto 40 anni anche se già nella prima stagione della Società del teatro e della musica, nel 1966/67, facemmo venire a suonare a Pescara Duke Ellington.
Lui suonò al teatro Massimo, che allora aveva ancora circa duemila posti (recentemente è stato ristrutturato e adesso la sala più grande ospita mille poltrone, ndr). Fu proprio dopo il successo di quella serata che De Sisto, dell’Azienda di soggiorno, mi disse: “Dobbiamo fare un grande festival d’estate a Pescara”. E io gli risposi “Ma come? A luglio? Ma se non si fa niente in tutta Europa?” Ha avuto ragione lui».
Allora, già dalle sere precedenti, annunciammo che avremmo provveduto a mettere dei televisori nel parco per permettere a tutti di vedere quel momento storico in diretta tv. Oggi può far sorridere, ma quaranta anni fa non era, tecnicamente, una cosa semplicissima. Dove adesso c’è la piscina c’era un prato nel quale facemmo posizionare una ventina di televisori. C’era un nostro consigliere, Giuseppe Ricci, che vendeva hi fi, o meglio apparecchi tv, sulla Tiburtina, e ci aiutò lui». Come organizzaste quella magica sera? «Partiamo col dire che il programma prevedeva due gruppi stranieri, l’Albert Nicholas e Jean Luc Ponty quartet e la Maynard Ferguson big band. Prima di loro c’era la New Dixieland sound di Marcello Rosa. Ricordo che il più elettrizzato era Albert Nicholas.
C’era Jean Luc Ponty che era poco più di un ragazzino (aveva 27 anni, ndr). Noi avevamo previsto dei tavolini all’aperto per far mangiare gli artisti dopo la serata. Allora dentro Le Naiadi c’era pure un ristorante». Cosa le disse Nicholas? «Era folgorato. Mi disse: “Questa è una cosa talmente bella che per me è la più importante della mia vita. Io ho girato in tutto il mondo, ho suonato dappertutto ma l’emozione di questo momento è superiore a tutto”. Mi fece una grande impressione perché io avevo 33 anni e lui una settantina. Vedere questo grande artista così emozionato mi colpì moltissimo». Ma l’allunaggio ci fu nella tardissima nottata. Cosa avete fatto nel frattempo? «Allora i concerti non erano come adesso, quando le star arrivano impacchettate dai manager, dalle guardie del corpo, impossibili da avvicinare.
Erano tempi completamente diversi. Il concerto, con i tre set, finì intorno all’1,30 le 2 di notte. Poi facemmo mangiare gli artisti in quel bellissimo parco, con i tavolini tra i salici piangenti e i televisori accesi. Ma anche il pubblico, almeno 4-500 persone, rimase lì con noi. E gli artisti non è che si tiravano indietro. Facevano autografi, rimanevano volentieri a parlare con le persone. Oggi è assolutamente impensabile. Adesso, nei contratti ti chiedono di rigore l’hotel a 5 stelle, la jacuzzi in bagno e l’acqua minerale della loro marca preferita. Allora Jean Luc Ponty, Maynard Ferguson, rimasero tutti là, tutti a vedere l’allunaggio da Pescara. E la mattina dopo se ne tornarono in albergo da soli, a piedi, su una strada non asfaltata, a pochi metri dall’ingresso delle Naiadi c’era l’hotel Sund. Se penso che anche Duke Ellington ci ha dormito mi vengono i brividi». Ma voi eravate già emozionati per la prima edizione del Festival, no? «Eh come no? Eravamo molto eccitati per questo festival che avevamo creato a Pescara.
La prima edizione era stata aperta dal pianista Bill Evans e dal quintetto di Philly Joe Jones. Le serate erano presentate da Adriano Mazzoletti, un grande jazzofilo, famoso per le sue conduzioni radiofoniche». La coincidenza del primo uomo sulla Luna che si chiama Armstrong fu una specie di buon auspicio per voi? «Sì, forse sì. Mi ricordo che Nicholas fece una battuta su questo fatto. Anche se Amstrong, Louis intendo, è stato uno dei pochi che non abbiamo potuto far venire al Pescara Jazz perché morì poco dopo (nel 1971)». Il Festival Jazz di Pescara ha compiuto 40 anni, ma va avanti, naturalmente. «Beh sì, la storia continua. Il Festival ha compiuto 40 anni anche se già nella prima stagione della Società del teatro e della musica, nel 1966/67, facemmo venire a suonare a Pescara Duke Ellington.
Lui suonò al teatro Massimo, che allora aveva ancora circa duemila posti (recentemente è stato ristrutturato e adesso la sala più grande ospita mille poltrone, ndr). Fu proprio dopo il successo di quella serata che De Sisto, dell’Azienda di soggiorno, mi disse: “Dobbiamo fare un grande festival d’estate a Pescara”. E io gli risposi “Ma come? A luglio? Ma se non si fa niente in tutta Europa?” Ha avuto ragione lui».