La Madonna di Tangentopoli nel romanzo postumo di Zatterin
«L’apparizione» è il titolo del volume ambientato negli anni di Mani Pulite.
«Sono stato il direttore lottizzato di un telegiornale lottizzato in una Rai lottizzata». Tutto può dirsi di Ugo Zatterin, meno che non avesse il dono della schiettezza. Quando pronunciò quell’auto-accusa stava per assumere la direzione del Centro.
Era la tarda primavera del 1986 quando il giornalista veneziano sfogò, così, anni di rospi ingoiati (assunzioni, promozioni, veline politiche etc.), in un’intervista all’Espresso. Mancavano poche settimane a quel 3 luglio che vide in edicola la prima copia del nostro quotidiano.
Zatterin, veneziano, aveva 66 anni e aveva appena chiuso un’esperienza di sei anni come direttore del Tg2 della Rai, nominato a quell’incarico dal Psi, il Partito socialista italiano, a cui quel telegiornale spettava, in base alla spartizione politica dell’epoca (il Tg1 era della Dc, il Tg3 del Pci).
Ma Zatterin aveva alle spalle (oltre a quei sei anni da direttore) anche una lunga e gloriosa carriera di giornalista politico, prima nella carta stampata poi nella Rai, dagli esordi fino agli anni Sessanta.
La storia del costume italiano del dopoguerra riserva a Zatterin anche una nicchia particolare come l’autore di uno dei più grandi esercizi di acrobazia linguistica mai andati in onda: l’annuncio, in un’edizione del telegiornale unico Rai del 1958, dell’entrata in vigore della Legge Merlin sull’abolizione delle case chiuse. In obbedienza al puritanesimo della televisione dell’epoca, Zatterin riuscì a dare la notizia senza mai pronunciare parole come prostitute e case chiuse (né, meno che meno, casini o bordelli) che rappresentavano il core business della legge che portava la firma della senatrice socialista.
«I deputati», disse Zatterin, «hanno approvato (385 sì, 115 no) la famosa legge Merlin. L’Italia era l’unico Paese d’Europa in cui il problema sollevato dalla senatrice Merlin non fosse stato risolto, anche se di recente l’Onu aveva sollecitato l’Italia perché lo risolvesse... Insomma: il canto del cigno si avrà intorno a Ferragosto. Dopo questa data, gravissime pene penderanno sul capo di coloro che cercheranno di riorganizzare ciò che la senatrice Merlin ha voluto distruggere».
Un’elusività verbale, quella del futuro primo direttore del Centro, che stride con la franchezza politica di quell’atto di accusa, datato 1986, contro la politica spartitoria dei partiti, vissuta dall’interno e denunciata senza autoassoluzioni, in quell’autunno della Prima Republica, a cui, di lì a sei anni, le inchieste su Tangentopoli avrebbero posto termine.
Inizia nel 1998, sei anni dopo l’avvio dell’era di Mani Pulite, un romanzo a cui Zatterin si dedicò negli ultimi tempi della sua vita (conclusasi il 17 luglio 2000) e che oggi esce postumo per i tipi dell’editore Cavallo di ferro (234 pagine, 16 euro). «L’apparizione» - è questo il titolo del libro - rimanda subito all’incipit della storia, che rende obliqui omaggi a un classico italiano di fantapolitica come il «Berlinguer e il professore» scritto da un altro giornalista parlamentare, Gianfranco Piazzesi, e pubblicato nel 1974 come anonimo.
La storia è coinvolgente e ha una conclusione a sorpresa che è bene non rivelare, per serbare intatto il piacere della lettura. In una sera d’agosto del 1998 la Madonna appare a un ex parlamentare socialista smascherato da Mani Pulite, che sa contare solo i torti subiti e mai quelli fatti, che lascia andare in carcere un innocente e salvare, per soldi, il colpevole, disilluso dalla politica, ateo, e sposato con una donna appassionata di astrofisica e più miscredente di lui.
La Madonna gli appare e gli chiede di guardarsi indietro e di rimediare a un grande torto. Quale?, si chiede il protagonista e narratore della storia che ne ha fatti così tanti che non saprebbe dove cominciare la ricerca. Ciò nonostante questa ricerca lui la inizia davvero e si cala nei panni di investigatore privato della sua stessa vita, accettando il compito affidatogli dalla Vergine come la sua ultima sfida umana e politica.
Ma la ricerca si trasforma in una discesa agli inferi della vita passata, tanto che il protagonista dell’“Apparizione” cerca di trovare riparo e conforto nella fede, confidando il suo travaglio interiore a due uomini di Chiesa. Questo viaggio interiore - che è anche un lungo scandaglio nella vita pubblica italiana del dopoguerra - approda a una conclusione granguignolesca.
Il romanzo è ricco di personaggi secondari che rimandano alla cronaca-storia italiana recente, come il Tiranno esiliato in Tunisia, o come il pubblico ministero in cerca di notorietà che vuole scoprire complotti e i finanziamenti, più o meno occulti, ai partiti. In una parola: Tangentopoli.
Al suo protagonista, Zatterin, attribuisce, inoltre, una consapevolezza dei meccanismi che regolano il rapporto fra stampa e potere che è profetica per la capacità di dipingere ciò che di lì a qualche anno sarebbe diventata la vita politica e pubblica italiana.
«L’indomani», dice il narratore dell’“Apparizione”, «il mio nome uscì sulle prime pagine, alcuni giornali vi avevano collocato il servizio intero, altri uno “strillo” bene in vista. Quasi ovunque la mia foto sulla porta di casa ricordava che faccia avesse l’ex deputato socialista tornato improvvisamente a far parlare di sé. La becera provocatrice ci aveva dunque provato, incurante delle mie minacce, e i suoi colleghi non avevano voluto essere da meno.
Sul suo giornale riferiva alcune ipotesi “che giravano con un certo seguito nel quartiere” circa la misteriosa persona a cui era apparsa la Madonna, per attribuire infine maggiore credibilità a quella che faceva il mio nome, noto abbastanza da meritare una particolare evidenza anche nel titolo. La mia smentita era riassunta in coda al servizio con poche parole, e appariva più che altro la reazione prevedibile di chi era stato colto con le mani nel sacco.
Tuttavia io non avrei querelato, perché ero abbastanza principe del foro da capire che non c’era reale diffamazione nell’attribuire a qualcuno la visione della Madonna e circa il falso ci sarebbe stato tanto da discutere».
«Insomma», aggiunge poco dopo il protagonista, «è molto frequente in questi casi dar fiato alle proprie trombe e finire suonati come i pifferi di montagna. Mi limitai a staccare il telefono e a rifiutare ogni ulteriore rapporto con la stampa. Chi tace acconsente? Al diavolo i proverbi. Dopo tutto, non ero accusato di tangenti o d’altre ruberie, le più temibili ipotesi di reato, com’è noto, per un ex socialista; ma di aver visto la Madonna. Rischiavo soltanto il ridicolo, così almeno mi illudevo».
Era la tarda primavera del 1986 quando il giornalista veneziano sfogò, così, anni di rospi ingoiati (assunzioni, promozioni, veline politiche etc.), in un’intervista all’Espresso. Mancavano poche settimane a quel 3 luglio che vide in edicola la prima copia del nostro quotidiano.
Zatterin, veneziano, aveva 66 anni e aveva appena chiuso un’esperienza di sei anni come direttore del Tg2 della Rai, nominato a quell’incarico dal Psi, il Partito socialista italiano, a cui quel telegiornale spettava, in base alla spartizione politica dell’epoca (il Tg1 era della Dc, il Tg3 del Pci).
Ma Zatterin aveva alle spalle (oltre a quei sei anni da direttore) anche una lunga e gloriosa carriera di giornalista politico, prima nella carta stampata poi nella Rai, dagli esordi fino agli anni Sessanta.
La storia del costume italiano del dopoguerra riserva a Zatterin anche una nicchia particolare come l’autore di uno dei più grandi esercizi di acrobazia linguistica mai andati in onda: l’annuncio, in un’edizione del telegiornale unico Rai del 1958, dell’entrata in vigore della Legge Merlin sull’abolizione delle case chiuse. In obbedienza al puritanesimo della televisione dell’epoca, Zatterin riuscì a dare la notizia senza mai pronunciare parole come prostitute e case chiuse (né, meno che meno, casini o bordelli) che rappresentavano il core business della legge che portava la firma della senatrice socialista.
«I deputati», disse Zatterin, «hanno approvato (385 sì, 115 no) la famosa legge Merlin. L’Italia era l’unico Paese d’Europa in cui il problema sollevato dalla senatrice Merlin non fosse stato risolto, anche se di recente l’Onu aveva sollecitato l’Italia perché lo risolvesse... Insomma: il canto del cigno si avrà intorno a Ferragosto. Dopo questa data, gravissime pene penderanno sul capo di coloro che cercheranno di riorganizzare ciò che la senatrice Merlin ha voluto distruggere».
Un’elusività verbale, quella del futuro primo direttore del Centro, che stride con la franchezza politica di quell’atto di accusa, datato 1986, contro la politica spartitoria dei partiti, vissuta dall’interno e denunciata senza autoassoluzioni, in quell’autunno della Prima Republica, a cui, di lì a sei anni, le inchieste su Tangentopoli avrebbero posto termine.
Inizia nel 1998, sei anni dopo l’avvio dell’era di Mani Pulite, un romanzo a cui Zatterin si dedicò negli ultimi tempi della sua vita (conclusasi il 17 luglio 2000) e che oggi esce postumo per i tipi dell’editore Cavallo di ferro (234 pagine, 16 euro). «L’apparizione» - è questo il titolo del libro - rimanda subito all’incipit della storia, che rende obliqui omaggi a un classico italiano di fantapolitica come il «Berlinguer e il professore» scritto da un altro giornalista parlamentare, Gianfranco Piazzesi, e pubblicato nel 1974 come anonimo.
La storia è coinvolgente e ha una conclusione a sorpresa che è bene non rivelare, per serbare intatto il piacere della lettura. In una sera d’agosto del 1998 la Madonna appare a un ex parlamentare socialista smascherato da Mani Pulite, che sa contare solo i torti subiti e mai quelli fatti, che lascia andare in carcere un innocente e salvare, per soldi, il colpevole, disilluso dalla politica, ateo, e sposato con una donna appassionata di astrofisica e più miscredente di lui.
La Madonna gli appare e gli chiede di guardarsi indietro e di rimediare a un grande torto. Quale?, si chiede il protagonista e narratore della storia che ne ha fatti così tanti che non saprebbe dove cominciare la ricerca. Ciò nonostante questa ricerca lui la inizia davvero e si cala nei panni di investigatore privato della sua stessa vita, accettando il compito affidatogli dalla Vergine come la sua ultima sfida umana e politica.
Ma la ricerca si trasforma in una discesa agli inferi della vita passata, tanto che il protagonista dell’“Apparizione” cerca di trovare riparo e conforto nella fede, confidando il suo travaglio interiore a due uomini di Chiesa. Questo viaggio interiore - che è anche un lungo scandaglio nella vita pubblica italiana del dopoguerra - approda a una conclusione granguignolesca.
Il romanzo è ricco di personaggi secondari che rimandano alla cronaca-storia italiana recente, come il Tiranno esiliato in Tunisia, o come il pubblico ministero in cerca di notorietà che vuole scoprire complotti e i finanziamenti, più o meno occulti, ai partiti. In una parola: Tangentopoli.
Al suo protagonista, Zatterin, attribuisce, inoltre, una consapevolezza dei meccanismi che regolano il rapporto fra stampa e potere che è profetica per la capacità di dipingere ciò che di lì a qualche anno sarebbe diventata la vita politica e pubblica italiana.
«L’indomani», dice il narratore dell’“Apparizione”, «il mio nome uscì sulle prime pagine, alcuni giornali vi avevano collocato il servizio intero, altri uno “strillo” bene in vista. Quasi ovunque la mia foto sulla porta di casa ricordava che faccia avesse l’ex deputato socialista tornato improvvisamente a far parlare di sé. La becera provocatrice ci aveva dunque provato, incurante delle mie minacce, e i suoi colleghi non avevano voluto essere da meno.
Sul suo giornale riferiva alcune ipotesi “che giravano con un certo seguito nel quartiere” circa la misteriosa persona a cui era apparsa la Madonna, per attribuire infine maggiore credibilità a quella che faceva il mio nome, noto abbastanza da meritare una particolare evidenza anche nel titolo. La mia smentita era riassunta in coda al servizio con poche parole, e appariva più che altro la reazione prevedibile di chi era stato colto con le mani nel sacco.
Tuttavia io non avrei querelato, perché ero abbastanza principe del foro da capire che non c’era reale diffamazione nell’attribuire a qualcuno la visione della Madonna e circa il falso ci sarebbe stato tanto da discutere».
«Insomma», aggiunge poco dopo il protagonista, «è molto frequente in questi casi dar fiato alle proprie trombe e finire suonati come i pifferi di montagna. Mi limitai a staccare il telefono e a rifiutare ogni ulteriore rapporto con la stampa. Chi tace acconsente? Al diavolo i proverbi. Dopo tutto, non ero accusato di tangenti o d’altre ruberie, le più temibili ipotesi di reato, com’è noto, per un ex socialista; ma di aver visto la Madonna. Rischiavo soltanto il ridicolo, così almeno mi illudevo».