Natale vuol dire accoglienza
Perché è importante porsi in ascolto delle domande che non sono ripetizione di quanto già sei o conosci, ma vengono a te, sorprendenti o inquietanti, da altri? E’ l’altro a rivelare te a te stesso, perché con la sua diversità ti consente di scorgere il profilo della tua identità sullo sfondo oscuro della differenza. In questo senso, l’altro ci abita da sempre: siamo «ostaggi dell’altro» (Emmanuel Levinas).
Ciascuno ritrova se stesso in quanto scopre l’altro: perciò la prima parola di ogni essere umano è quella lanciata a chi gli/le ha dato la vita. Siamo debitori di noi stessi all’altro, così da poter affermare che la diversità dell’altro, se accolta ci genera alla verità di noi stessi, se rifiutata evidenzia una condizione di alienazione. La ragione profonda di questa forza salutare, esercitata su ognuno di noi dall’altro, sta nel fatto che la lotta con la morte, che è la vita, si compie e si vince veramente solo attraverso la domanda che l’altro suscita in te: «Il mio nome - scrive Edmond Jabès, il filosofo ebreo del ‘pensiero nomade’ - è una domanda e la mia libertà è nella mia propensione alle domande».
E’ nella potenza dell’interrogazione, nell’apertura che l’altro suscita in noi verso il nuovo e diverso da noi, che si rivela la trama di un’originaria, comune appartenenza, di un misterioso grembo materno, sorgivo e sempre fecondo di vita, da cui ci sentiamo insieme generati: «Mi hai donato il giorno perché non potevi donarmi se non ciò che sei. Madre, mi hai donato i giorni della mia morte. Da allora, vivo e muoio in te che sei amore. Da allora, rinasco dalla nostra morte» (Jabès).
L’interrogazione, che spinge oltre la soglia della nostra solitudine, è in grado di farci continuamente rinascere grazie al misterioso legame che essa segnala con l’origine di tutto ciò che esiste, con lo sfondo misterioso su cui si stagliano le esistenze nel mondo: proprio così essa è il dono, il pegno e la ferita dell’altro.L’accoglienza dell’altro diventa allora rigenerazione di sé, costruzione di un essere umano più autentico per colui che accoglie. Natale è questa nuova nascita, perché è l’annuncio del Dio che - totalmente Altro da noi - si fa vicino a noi per aprirci alla vita e donarci la verità su noi stessi.
Vivere Natale vuol dire allora accogliere le sfide dell’altro: la sfida del povero, la sfida del diverso, la sfida di Dio. Il povero ti sfida con la sua stessa esistenza: il suo bisogno è il suo diritto verso di te. Non è un concorrente o un nemico, ma un richiamo a essere te stesso uscendo dalle tue paure e dai tuoi egoismi, facendoti dono, condividendo.
Il volto del povero è oggi più che mai presente fra noi, non solo nelle forme tradizionali, ma anche nelle nuove povertà provocate dalla crisi economica, dalla perdita del lavoro, dalle ferite inflitte dalla tragedia del terremoto, dalle insicurezze della condizione di immigrato, soprattutto se clandestino. Non raccogliere la sfida rappresentata da queste povertà, non rispondere alle attese, che esse veicolano, renderebbe inutile, vuota ed esteriore ogni celebrazione di questo Natale.
Più che mai il Bambino che nasce ci chiama alla solidarietà responsabile, all’impegno concreto per la giustizia, a gesti inequivocabili di dono e di condivisione. La sfida dell’altro è però anche la sfida del diverso da te: Natale significa aprirsi a una nuova accoglienza delle opinioni altrui, della diversità dei punti di vista, delle esigenze e delle convinzioni.
Un sussulto di accoglienza e di rispetto appare necessario soprattutto nel campo della politica, per arginare l’imbarbarimento dei rapporti e suscitare nuove possibilità di servizio di tutti al bene comune, ciascuno nel ruolo che la volontà democratica gli ha assegnato. Questo stile di ascolto e di dialogo è un’urgenza che questo Natale sembra evocare più di altre. Ed infine, l’altro da accogliere è il Dio che viene: un aiuto a farlo lo ha offerto la Lettera ai cercatori di Dio, di recente pubblicata dai Vescovi italiani.
Essa parte dalle domande, che ci accomunano tutti, e propone la buona novella del Dio con noi con stile semplice e colloquiale. La diffusione enorme che sta avendo nelle sue varie edizioni è segno di un’attesa che c’era e che c’è nel cuore di tanti. Certo, come dice Platone, un libro - anche piccolo - «ha sempre bisogno dell’aiuto del padre, perché non è capace di difendersi e di aiutarsi da solo» (Fedro, 275 D - E).
La scrittura sprigiona la sua forza solo quando entra nel dialogo vivo della trasmissione orale, della testimonianza diretta, perché così educa a resistere all’oblio dell’umano che è in noi, che noi ritroviamo riconoscendoci appunto nell’altro. Aprirsi al divino Altro vuol dire allora anche questo: cercare i testimoni che ci parlino per esperienza di Lui.
Farlo è ancora un volto di questo Natale dell’accoglienza, così necessario per tutti: nella condivisione della speranza e dell’amore si fa strada l’incontro con l’Altro, nel segno del dialogo, del reciproco ascolto, dell’amicizia fra gli esseri umani, si apre la porta alla riserva di senso e di bellezza della fede nel Dio, che si è fatto uno di noi per amore di tutti.
Bruno Forte,
arcivescovo di Chieti-Vasto
Ciascuno ritrova se stesso in quanto scopre l’altro: perciò la prima parola di ogni essere umano è quella lanciata a chi gli/le ha dato la vita. Siamo debitori di noi stessi all’altro, così da poter affermare che la diversità dell’altro, se accolta ci genera alla verità di noi stessi, se rifiutata evidenzia una condizione di alienazione. La ragione profonda di questa forza salutare, esercitata su ognuno di noi dall’altro, sta nel fatto che la lotta con la morte, che è la vita, si compie e si vince veramente solo attraverso la domanda che l’altro suscita in te: «Il mio nome - scrive Edmond Jabès, il filosofo ebreo del ‘pensiero nomade’ - è una domanda e la mia libertà è nella mia propensione alle domande».
E’ nella potenza dell’interrogazione, nell’apertura che l’altro suscita in noi verso il nuovo e diverso da noi, che si rivela la trama di un’originaria, comune appartenenza, di un misterioso grembo materno, sorgivo e sempre fecondo di vita, da cui ci sentiamo insieme generati: «Mi hai donato il giorno perché non potevi donarmi se non ciò che sei. Madre, mi hai donato i giorni della mia morte. Da allora, vivo e muoio in te che sei amore. Da allora, rinasco dalla nostra morte» (Jabès).
L’interrogazione, che spinge oltre la soglia della nostra solitudine, è in grado di farci continuamente rinascere grazie al misterioso legame che essa segnala con l’origine di tutto ciò che esiste, con lo sfondo misterioso su cui si stagliano le esistenze nel mondo: proprio così essa è il dono, il pegno e la ferita dell’altro.L’accoglienza dell’altro diventa allora rigenerazione di sé, costruzione di un essere umano più autentico per colui che accoglie. Natale è questa nuova nascita, perché è l’annuncio del Dio che - totalmente Altro da noi - si fa vicino a noi per aprirci alla vita e donarci la verità su noi stessi.
Vivere Natale vuol dire allora accogliere le sfide dell’altro: la sfida del povero, la sfida del diverso, la sfida di Dio. Il povero ti sfida con la sua stessa esistenza: il suo bisogno è il suo diritto verso di te. Non è un concorrente o un nemico, ma un richiamo a essere te stesso uscendo dalle tue paure e dai tuoi egoismi, facendoti dono, condividendo.
Il volto del povero è oggi più che mai presente fra noi, non solo nelle forme tradizionali, ma anche nelle nuove povertà provocate dalla crisi economica, dalla perdita del lavoro, dalle ferite inflitte dalla tragedia del terremoto, dalle insicurezze della condizione di immigrato, soprattutto se clandestino. Non raccogliere la sfida rappresentata da queste povertà, non rispondere alle attese, che esse veicolano, renderebbe inutile, vuota ed esteriore ogni celebrazione di questo Natale.
Più che mai il Bambino che nasce ci chiama alla solidarietà responsabile, all’impegno concreto per la giustizia, a gesti inequivocabili di dono e di condivisione. La sfida dell’altro è però anche la sfida del diverso da te: Natale significa aprirsi a una nuova accoglienza delle opinioni altrui, della diversità dei punti di vista, delle esigenze e delle convinzioni.
Un sussulto di accoglienza e di rispetto appare necessario soprattutto nel campo della politica, per arginare l’imbarbarimento dei rapporti e suscitare nuove possibilità di servizio di tutti al bene comune, ciascuno nel ruolo che la volontà democratica gli ha assegnato. Questo stile di ascolto e di dialogo è un’urgenza che questo Natale sembra evocare più di altre. Ed infine, l’altro da accogliere è il Dio che viene: un aiuto a farlo lo ha offerto la Lettera ai cercatori di Dio, di recente pubblicata dai Vescovi italiani.
Essa parte dalle domande, che ci accomunano tutti, e propone la buona novella del Dio con noi con stile semplice e colloquiale. La diffusione enorme che sta avendo nelle sue varie edizioni è segno di un’attesa che c’era e che c’è nel cuore di tanti. Certo, come dice Platone, un libro - anche piccolo - «ha sempre bisogno dell’aiuto del padre, perché non è capace di difendersi e di aiutarsi da solo» (Fedro, 275 D - E).
La scrittura sprigiona la sua forza solo quando entra nel dialogo vivo della trasmissione orale, della testimonianza diretta, perché così educa a resistere all’oblio dell’umano che è in noi, che noi ritroviamo riconoscendoci appunto nell’altro. Aprirsi al divino Altro vuol dire allora anche questo: cercare i testimoni che ci parlino per esperienza di Lui.
Farlo è ancora un volto di questo Natale dell’accoglienza, così necessario per tutti: nella condivisione della speranza e dell’amore si fa strada l’incontro con l’Altro, nel segno del dialogo, del reciproco ascolto, dell’amicizia fra gli esseri umani, si apre la porta alla riserva di senso e di bellezza della fede nel Dio, che si è fatto uno di noi per amore di tutti.
Bruno Forte,
arcivescovo di Chieti-Vasto