Presidente, faccia come Zeman

di Sergio Baraldi

Sostiene il deputato del Pdl Filippo Piccone che bisogna aiutare Chiodi. I lettori ricorderanno che il nostro giornale da oltre due mesi ammonisce che le emergenze dell’Abruzzo sono troppo gravi per non avere una politica e una società capaci di fare squadra e di cooperare. Il che non esclude la competizione di leader, partiti, schieramenti per il dopo. Ma il punto è: Chiodi vuole farsi aiutare? Credo che l’on. Piccone converrà: è piuttosto difficile aiutare un presidente che spesso sembra voler fare da solo. L’intervista che pubblichiamo oggi sembra confermarlo.

Tuttavia, il giornale degli abruzzesi mette l’interesse dei cittadini davanti a tutto. Allora, eccoci pronti a rispondere all’appello per quello che può fare un giornale. Noi suggeriremmo a Chiodi di riflettere sulla lezione di Zeman che, in poche settimane, ha rivoluzionato una squadra e la sta portando al successo. Che cosa ci insegna Zeman? Che si può cambiare mentalità e vincere. A mio avviso, anche Chiodi deve cambiare gioco, se vuole far vincere la squadra dell’Abruzzo. Il rebus della sua presidenza si può sintetizzare in questo passaggio: cambiare lui per cambiare la regione. Da presidente di uno schieramento a presidente di tutti. E’ una svolta, perché comporta un mutamento di cultura. Il presidente di tutti non definirebbe il segretario della Cgil, Di Cesare, difensore d’interessi particolari, perché in questo modo Chiodi si autonomina tutore d’interessi parziali visto che esclude tanti lavoratori e pensionati rappresentati dalla Cgil.

E il presidente di tutti non spiega che andrà avanti anche senza gli imprenditori. Un presidente di centrodestra senza l'impresa? Il dilemma di Chiodi riflette il problema di fondo dell'intera Regione: l'Abruzzo è a un bivio. Dovrebbe affidarsi di meno all'aiuto di Roma, troppo condizionata dalla scarsità di risorse. E forse dovrebbe ragionare su come contare di più sulle proprie forze.

La crisi è molto pesante, il prossimo anno sarà difficile come sanno aziende e sindacati. Le finanze dello Stato sono messe a dura prova, non è detto che le manovre siano finite e, comunque, quando la gente comincerà a pagare se ne accorgerà amaramente. I cittadini abruzzesi rischiano di dovere versare il prezzo per la leggerezza del governo nazionale, che ha rimandato per anni decisioni, per avere fatto e disfatto come una tela di Penelope una manovra discussa, per non avere tagliato a sufficienza la spesa pubblica e aumentato le tasse, per non avere puntato sulla crescita. Ritardi e errori che costeranno miliardi e il conto lo pagheremo noi cittadini non certo la politica, se non quando si arriverà al voto. A questo spettacolo poco serio, vogliamo aggiungere i rinvii, le scelte mancate, i pasticci abruzzesi? Alle illusioni del "ghe pensi mi" berlusconiano vogliamo sovrapporre quello del centrodestra abruzzese?

Gli imprenditori hanno lanciato un ammonimento: o il patto del lavoro cambia oppure ne escono. E' strano che i sindacati, reduci da uno sciopero, abbiano criticato il presidente Angelucci. Forse avrebbero potuto aggiungere: lasciamo anche noi uno spettacolo inutile. Non si avverte il bisogno d'incontri che producono poco. Gli imprenditori ne stanno prendendo atto, non per sottrarsi alla collaborazione, ma per passare dalle parole ai fatti, per rilanciare il patto. Quell'accordo può essere un laboratorio importante se si adatta alla nuova situazione economica e sociale: però occorre cambiare strategia, rivedere modi e tempi d'intervento.

Sul parco della costa teatina abbiamo visto l'assessore regionale Febbo sostenere che il parco non lo vuole. C'è una legge che lo prevede, ma l'assessore non lo vuole. Sono scoppiate le polemiche, si sono sollevano le proteste, Chiodi è stato contestato e sembrava correggere il suo assessore: la Regione non è contro il parco. Oggi, nell'intervista, Chiodi sembra frenare, sostenendo che devono pronunciarsi i comuni.

Il pasticcio continua, rimpallano le responsabilità, e i nostri governanti rischiano di diventare il problema invece di essere la soluzione. E che dire dei soldi per il Sud? Il progetto risale ad alcuni anni fa, ma per il centrodestra l'Abruzzo non deve partecipare. Eppure quel progetto rappresenta una delle poche programmazioni strategiche varate in Italia. Ma l'Abruzzo ha deciso di rimanere fuori. Fuori da che cosa? Soprattutto da una scelta: il collegamento tra Tirreno e Adriatico, che dovrebbe essere la nostra risorsa strategica. A nord Marche e Umbria stanno realizzando un collegamento veloce con Roma e il Lazio, saltando l'Abruzzo; a Sud Puglia e Campania si organizzeranno per fare sempre più la medesima cosa. E l'Abruzzo quale ruolo gioca?

L'Abruzzo che dovrebbe essere il corridoio naturale tra centro e sud, la porta- piattaforma di Roma verso l'Adriatico, verso i Balcani? Rimane fuori. Fuori anche dai soldi. Secondo voi, questa è strategia? Vi sareste offesi, amici lettori, se per entrare in un progetto che prevede finanziamenti di miliardi avreste dovuto partecipare al piano per il Meridione? L'elenco potrebbe continuare con i fondi Fesr che l'Abruzzo in parte rischia di perdere, forse oltre 40 milioni, come ha denunciato il nostro giornale. Soldi ai quali le imprese e i lavoratori abruzzesi hanno diritto. Ha ragione la Cgil: se quei fondi spariscono, ci sono dirigenti regionali che devono essere chiamati a rispondere dei danni.

Chiodi non ha molto tempo per decidere. Lui dice di avere davanti due anni e mezzo, ma sa bene che, prima della fine del prossimo anno, la sua legislatura in pratica sarà finita. Si tratta di capire se la sua concezione della politica resta quella della mediazione nella speranza di ottenere qualcosa e poi affermare che ha risolto la situazione da solo; oppure vuole far sua con coerenza la concezione della politica come bene comune. In questo caso, dovrebbe cambiare stile. Forse potrebbe avviare un processo decisionale che poggi di più su un network in cui diversi attori partecipino alle scelte e inventino nuove soluzioni. Con la politica come mediazione, Chiodi rischia di rimanere chiuso nel recinto del centrodestra, di giocare in difesa sotto il peso dalle emergenze accumulate sul suo tavolo e delle nomine a commissario che invece di dargli potere gli tolgono oggettivamente tempo e spazio per pensare e decidere strategicamente. Chi troppo gestisce, alla fine poco gestisce.

Con lui è il centrodestra che deve cambiare bussola: davvero non si accorge che il declino di Berlusconi è probabilmente inarrestabile? L'on. Piccone dice che vorrebbe fare una riunione di tutti i parlamentari abruzzesi per fare più gioco di squadra in Parlamento. Ottima idea, lo faccia: chi glielo impedisce? Il discorso non esime l'opposizione da un'analisi del suo ruolo. E' probabilmente vero che il clima d'opinione nazionale descritto dai sondaggi favorisce il centrosinistra, ma pensa di prevalere alle prossime elezioni per sostituire una logica di scambio con un'altra logica di scambio? O crede che una forza di governo temporaneamente all'opposizione abbia la responsabilità di disegnare un progetto per il futuro? Che debba dare speranza? La politica abruzzese nel suo complesso è sollecitata a uscire dalla cultura della negoziazione, che prevede che i partecipanti si dividano la posta in gioco, per aprire una fase nuova in cui prevalgano interessi comuni, valori condivisi, l'identità della comunità.

Noi facciamo il tifo per una politica che guardi al modello Zeman, una politica che non abbia paura di spendersi per il bene comune e voglia vincere. Le occasioni per segnare un cambio di marcia non mancano.

Il Patto per il lavoro può essere riformato e rilanciato. Nel patto sono presenti le nostre università, ma sembrano lasciate come in sonno. Valorizziamole, mettiamole al centro di un processo di elaborazione d'idee e progetti per la crescita. Sia questo un primo segnale della nuova consapevolezza della società: scegliere l'innovazione come campo strategico per la "fabbrica Abruzzo".

Le buone conoscenze di Chiodi a Palazzo Chigi sono certamente utili, ma il problema è che rimangono un requisito insufficiente, se latita una visione che ridefinisca la posizione dell'Abruzzo. Una seconda occasione riguarda l'amministrazione pubblica e le risorse. Chiodi ha fatto bene a chiudere alcuni enti. Non per il taglio dei costi, che si ridurrà a poco se tutte le strutture poi passano alla Regione. L'operazione è utile per il messaggio che contiene: l'inizio del tempo della sobrietà. Ma questo dovrebbe essere il punto di partenza.

Chiodi dovrebbe agire in profondità, potrebbe ristrutturare la spesa per recuperare, nei tempi più brevi possibili, risorse da investire sulla crescita. Privatizzare, liberalizzare, tagliare: secondo il vicepresidente del Consiglio D'Amico ci sono 3 miliardi da salvare per l'Abruzzo. L'Abruzzo può permettersi una Regione con 1800 dipendenti? E' chiaro che potremmo recuperare anche lì risorse. Presidente, ha già chiuso le forbici nel cassetto?

Nello stesso tempo, occorre trasformare la struttura regionale in una macchina che non solo costi meno, ma sia più efficiente, in grado di rispondere velocemente ai bisogni della società. Chiodi vuole essere il presidente della burocrazia inefficiente o dei cittadini e delle imprese che ne sopportano il costo? On. Piccone dove sono le riforme promesse?

Infine, non possiamo illuderci che lo Stato nazionale abbia tante risorse da distribuire, mentre cresce il peso della sovranità europea. Sarebbe necessario dotarsi subito di una cabina di regia efficiente in grado di accedere ai finanziamenti europei e di utilizzarli pienamente. La strategia serve non solo per fare dell'Abruzzo una questione nazionale, ma per inserirci nella scacchiera europea dove cresce l'attenzione per regioni e macroregioni prossime destinatarie dei fondi.

Chiodi può assumere con coraggio la guida dell'innovazione politica. Per farlo deve parlare a tutti in nome di un'idea di bene comune. Il fattore tempo è decisivo: l'Abruzzo non può dedicarsi alle chiacchiere. Giochiamo all'attacco, presidente.

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