Rapini: il progetto Ocse cambia il Patto
Il direttore di Abruzzo sviluppo: occupiamoci di temi di alto profilo
PESCARA. «E' dovuta venire l'Ocse a ricordarci che il problema dell'Aquila è il problema di tutto l'Abruzzo, mentre qui continuiamo a giocare ai campanilismi, dimenticandoci che, come numero di abitanti, siamo poco più di un quartiere di Roma».
Nello Rapini è il direttore di Abruzzo sviluppo, la società in house della Regione a cui il governatore Gianni Chiodi ha affidato l'incarico di coordinare e raccordare i vari soggetti del Patto per lo sviluppo dell'Abruzzo, l'accordo fra parti sociali e produttive e Regione firmato il 14 aprile dell'anno scorso. L'Ocse a cui si riferisce Rapini è l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che - con l'università di Gröningen in Olanda - ha messo a punto il progetto «L'Abruzzo verso il 2030: sulle ali dell'Aquila», presentato, lo scorso fine settimana nel capoluogo, alla presenza del premier Mario Monti e del ministro alla Coesione territoriale, Fabrizio Barca. Lunedì scorso, i vertici regionali di Confindustria hanno chiesto che entrasse a far parte dei lavori del Patto proprio quel progetto che delinea una strategia di possibile sviluppo economico e sociale per L'Aquila e per tutto l'Abruzzo.
Rapini, che cosa cambia per il Patto dello svilupoo dopo la presentazione del progetto Ocse?
«Quel progetto conferma ciò che era emerso nell'ultima riunione della consulta del Patto, il 28 febbraio scorso. Cioè l'intenzione di far sì che il Patto si occupi di temi di alto profilo, disegnando startegie di medio e lungo periodo per lo sviluppo dei territori. Spesso abbiamo sbagliato a portare, all'interno di questo strumento, discussioni di natura più contingente. L'Ocse sposa l'idea originaria del Patto che, però, deve essere anche uno strumento operativo e, quindi, riempire di contenuti il quadro di riferimento indicato da quel progetto».
La proposta di Confindustria di inserire il progetto Ocse nel Patto per l'Abruzzo va nella direzione da lei indicata?
«Non vedo quel progetto come uno strumento del Patto. La strategia dello sviluppo futuro della regione delineata dall'Ocse è, secondo me, la conferma della necessità che abbiamo di utilizzare quadri di riferimento di respiro molto alto».
Sì ma i contenuti da mettere nel Patto per l'Abruzzo dove sono?
«Ce li dobbiamo mettere noi. Obiettivamente facciamo un po' fatica a lavorare in questo modo. Non nascondo il fatto che i gruppi di lavoro che abbiamo creato vanno avanti con difficoltà».
Perché?
«C'è una disabitudine culturale a lavorare per progetti anziché per risorse. In questa regione siamo stati abituati, da sempre, ad avere le risorse e a usarle nel contesto di riferimento. Qui, invece, bisogna usare le risorse per cambiare il contesto. Non è facile».
Che n'è stata della richiesta di accelerare i tempi per dare concretezza al Patto avanzata nell'ultima riunione della consulta?
«Sull'accelerazione sono d'accordo fino a un certo punto. Si possono accelerare i tempi ma in presenza di progetti e idee. E' inutile spendere per spendere. Non dobbiamo pensare di poter calare sul territorio risorse che poi si disperderanno. Questo terreno, l'Abruzzo, è ormai arido. Quindi, prima di seminare, va costruito un buon impianto di irrigazione. Accelerare i tempi dipende un po' da tutti i soggetti del Patto. Si fa spesso l'errore di dare tutta la colpa alla politica, quando, invece, è tutto il sistema di rappresentanza che è disabituato a cambiare passo in termini di progettualità. In questi mesi ho notato un atteggiamento molto positivo da parte dei sindacati. Le associazioni imprenditoriali, invece, si muovono ancora in ordine sparso».
Il ministro Barca ha chiesto a Chiodi di incontrare il Patto, il prossimo 17 aprile, partecipando in Abruzzo a una sessione straordinaria della consulta. C'è già un'agenda di questo incontro?
«No. Dobbiamo ragionarci. Il progetto Ocse ormai ha creato un precedente. Nell'agenda ci sono naturalmente i Fas. Barca è ministro della Coesione territoriale, e i Fas sono lo strumento principe della coesione territoriale».
Il 14 aprile sarà trascorso un anno dalla firma del Patto: che bilancio ne trae?
«Un bilancio negativo per i risultati raggiunti: si poteva fare molto di più. Il bilancio è, invece, estremamente positivo se si guarda al fatto che il Patto è un luogo in cui stiamo tutti imparando a stare insieme e a elaborare un nostro ruolo in rapporto allo sviluppo economico dell'Abruzzo. I risultati del Patto si vedranno solo fra qualche anno, forse neppure in questa legislatura regionale».
L'Abruzzo può aspettare tutto questo tempo?
«Ci abbiamo messo 25 anni a distruggere questa regione, aspettare qualche mese in più non credo che sia un problema. Ciò che conta veramente è che riusciamo a cambiare la nostra cultura dello sviluppo del territorio».
Nello Rapini è il direttore di Abruzzo sviluppo, la società in house della Regione a cui il governatore Gianni Chiodi ha affidato l'incarico di coordinare e raccordare i vari soggetti del Patto per lo sviluppo dell'Abruzzo, l'accordo fra parti sociali e produttive e Regione firmato il 14 aprile dell'anno scorso. L'Ocse a cui si riferisce Rapini è l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che - con l'università di Gröningen in Olanda - ha messo a punto il progetto «L'Abruzzo verso il 2030: sulle ali dell'Aquila», presentato, lo scorso fine settimana nel capoluogo, alla presenza del premier Mario Monti e del ministro alla Coesione territoriale, Fabrizio Barca. Lunedì scorso, i vertici regionali di Confindustria hanno chiesto che entrasse a far parte dei lavori del Patto proprio quel progetto che delinea una strategia di possibile sviluppo economico e sociale per L'Aquila e per tutto l'Abruzzo.
Rapini, che cosa cambia per il Patto dello svilupoo dopo la presentazione del progetto Ocse?
«Quel progetto conferma ciò che era emerso nell'ultima riunione della consulta del Patto, il 28 febbraio scorso. Cioè l'intenzione di far sì che il Patto si occupi di temi di alto profilo, disegnando startegie di medio e lungo periodo per lo sviluppo dei territori. Spesso abbiamo sbagliato a portare, all'interno di questo strumento, discussioni di natura più contingente. L'Ocse sposa l'idea originaria del Patto che, però, deve essere anche uno strumento operativo e, quindi, riempire di contenuti il quadro di riferimento indicato da quel progetto».
La proposta di Confindustria di inserire il progetto Ocse nel Patto per l'Abruzzo va nella direzione da lei indicata?
«Non vedo quel progetto come uno strumento del Patto. La strategia dello sviluppo futuro della regione delineata dall'Ocse è, secondo me, la conferma della necessità che abbiamo di utilizzare quadri di riferimento di respiro molto alto».
Sì ma i contenuti da mettere nel Patto per l'Abruzzo dove sono?
«Ce li dobbiamo mettere noi. Obiettivamente facciamo un po' fatica a lavorare in questo modo. Non nascondo il fatto che i gruppi di lavoro che abbiamo creato vanno avanti con difficoltà».
Perché?
«C'è una disabitudine culturale a lavorare per progetti anziché per risorse. In questa regione siamo stati abituati, da sempre, ad avere le risorse e a usarle nel contesto di riferimento. Qui, invece, bisogna usare le risorse per cambiare il contesto. Non è facile».
Che n'è stata della richiesta di accelerare i tempi per dare concretezza al Patto avanzata nell'ultima riunione della consulta?
«Sull'accelerazione sono d'accordo fino a un certo punto. Si possono accelerare i tempi ma in presenza di progetti e idee. E' inutile spendere per spendere. Non dobbiamo pensare di poter calare sul territorio risorse che poi si disperderanno. Questo terreno, l'Abruzzo, è ormai arido. Quindi, prima di seminare, va costruito un buon impianto di irrigazione. Accelerare i tempi dipende un po' da tutti i soggetti del Patto. Si fa spesso l'errore di dare tutta la colpa alla politica, quando, invece, è tutto il sistema di rappresentanza che è disabituato a cambiare passo in termini di progettualità. In questi mesi ho notato un atteggiamento molto positivo da parte dei sindacati. Le associazioni imprenditoriali, invece, si muovono ancora in ordine sparso».
Il ministro Barca ha chiesto a Chiodi di incontrare il Patto, il prossimo 17 aprile, partecipando in Abruzzo a una sessione straordinaria della consulta. C'è già un'agenda di questo incontro?
«No. Dobbiamo ragionarci. Il progetto Ocse ormai ha creato un precedente. Nell'agenda ci sono naturalmente i Fas. Barca è ministro della Coesione territoriale, e i Fas sono lo strumento principe della coesione territoriale».
Il 14 aprile sarà trascorso un anno dalla firma del Patto: che bilancio ne trae?
«Un bilancio negativo per i risultati raggiunti: si poteva fare molto di più. Il bilancio è, invece, estremamente positivo se si guarda al fatto che il Patto è un luogo in cui stiamo tutti imparando a stare insieme e a elaborare un nostro ruolo in rapporto allo sviluppo economico dell'Abruzzo. I risultati del Patto si vedranno solo fra qualche anno, forse neppure in questa legislatura regionale».
L'Abruzzo può aspettare tutto questo tempo?
«Ci abbiamo messo 25 anni a distruggere questa regione, aspettare qualche mese in più non credo che sia un problema. Ciò che conta veramente è che riusciamo a cambiare la nostra cultura dello sviluppo del territorio».
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