Riammessa la lista di Chiodi, al voto in cinque
Il centrodestra tira un sospiro di sollievo: «Cene con Berlusconi in ogni provincia».
L’AQUILA. Alle 17,35 l’incubo per il centrodestra abruzzese è finito. La lista regionale del candidato presidente Gianni Chiodi è stata riammessa alla competizione elettorale dai magistrati che domenica ne avevano decretato «l’esclusione con riserva». Nulla da fare, invece, per “Alleanza federalista Lega Nord” e “Per il bene comune”. L’Ufficio elettorale centrale presso la Corte d’Appello dell’Aquila ha ritenuto, infatti, non sanabili - neppure dalle integrazioni prodotte ieri mattina - gli errori contenuti nella documentazione allegata ai due listini.
Ora il popolo del centrodestra gioisce e Gianni Chiodi, che ieri sera ha tenuto una conferenza stampa in piazza Montecitorio a Roma con Cicchitto e Brunetta, annuncia: «Il premier Berlusconi mi sosterrà in campagna elettorale con cene in tutte le province: vuole avere un contatto diretto con la gente». Berlusconi ha anche assicurato a Chiodi che sarà vicino all’Abruzzo e che sosterrà il risanamento della regione.
Ma la giornata era iniziata carica di fibrillazione per il centrodestra. Il salone davanti alle stanze riservate alla presidenza della Corte d’Appello ha cominciato a riempirsi alle 9. Con Max Di Pasquale e il senatore Filippo Piccone, responsabili della presentazione del listino “sospeso”, tutto lo stato maggiore del Popolo della libertà accompagnato da uno staff di legali, gli stessi che da domenica sera - e fino a notte fonda - hanno lavorato alle controdeduzioni da produrre ai magistrati.
Una corsa contro il tempo per evitare che lo scivolone delle firme “irregolari” potesse trasformarsi in un «patatrac senza rimedio». Alle 10 meno qualche minuto sono cominciate le audizioni. Alle 10.35 la chiamata più attesa. A varcare la soglia della stanza dei magistrati Augusto Pace, Alfonso Grimaldi e Romano Gargarella, una nutrita delegazione del Pdl, composta - oltre che da Di Pasquale e Piccone - dai legali Pietro Referza e Benigno D’Orazio, a cui si sono poi aggiunti i due consiglieri di Vasto e Teramo che, in qualità di pubblici ufficiali, hanno certificato parte delle firme contestate.
E mentre la delegazione era ancora “sotto esame”, nel salone oltre ai tanti esponenti del Pdl si sono visti anche politici e amministratori del centrosinistra. Tra questi la presidente della Provincia Stefania Pezzopane, che ha atteso l’arrivo del leader dell’Idv Antonio Di Pietro (accompagnato dal senatore Alfonso Mascitelli) che per una decina di minuti ha movimentato la scena e attirato l’attenzione di giornalisti e fotografi. L’audizione del Pdl è durata quasi un’ora. Poi è cominciata la lunga estenuante attesa.
Accanto a Piccone, apparso provato dalla responsabilità dell’errore e forse per questo sostenuto da tanti “amici” celanesi, Andrea Pastore, Giuseppe Tagliente, Ricardo Chiavaroli, Giuliano Grossi, Gianfranco Giuliante, Paolo Tancredi. E con loro tanti esponenti e candidati sia del Pdl che delle altre liste collegate a Chiodi. Tutti lì, appesi alla speranza di poter “archiviare” il rischio di venir esclusi dalla competizione elettorale del 30 novembre e del primo dicembre.
Alle 13 è arrivato anche Teodoro Buontempo, candidato presidente de “La Destra”. Nessuno tra i suoi ex alleati è andato a salutarlo. Tra lui e gli altri il gelo e le tante feroci accuse degli ultimi giorni. Critiche ripetute anche lì. «Il popolo del centrodestra non merita di essere rappresentato da questi pasticcioni.
Questa è una pessima classe dirigente» ha tuonato Buontempo, che ha anche annunciato di voler attendere la decisione dei magistrati per poter poi decidere sul ricorso. Ma intanto, con il passare delle ore, l’ansia e la tensione sono diventate quasi palpabili. Volti tirati, musi lunghi e tanta stanchezza tanto che qualcuno si è persino addormentato sprofondato nelle poltrone della sala d’attesa.
Poi intorno alle 16, l’umore nel salone è cambiato. I volti tirati hanno lasciato il posto ai sorrisi. E non sono mancati buffetti e pacche rassicuranti sulle spalle. Ma è stato necessario attendere ancora una novantina di minuti per avere l’ufficialità della notizia evidentemente già trapelata. Piccone e Di Pasquale sono rimasti nell’ufficio di presidenza 2-3 minuti, giusto il tempo per notificargli le decisioni dei magistrati.
All’uscita quel pollice alzato di Di Pasquale è stato eloquente più di ogni parola. I due sono stati accolti da un applauso liberatorio. Abbracci, sorrisi distesi, persino qualche lacrima e un «Viva Piccone». I magistrati hanno controllato solo parte delle 267 firme “ritenute irregolari”. Un controllo che si è fermato quando il numero delle firme valide (quelle per le quali sono state accolte le giustificazioni portate) si è fermato a quota 1.750, ovvero 5 in più di quelle previste.
«Un travaglio inutile, dovuto forse a decisioni prese in maniera affrettata dalla commissione elettorale», ha commentato Piccone. «Resta il rammarico per la brutta immagine che dell’abruzzo hanno offerto i ben noti giustizieri da strapazzo». «Nonostante l’inquietante presenza di Di Pietro» ha detto Andrea Pastore «i magistrati hanno dimostrato di avere una tempra ben diversa da quella dell’ex pm molisano».
«Eravamo fiduciosi» ha commentato il senatore Fabrizio Di Stefano ammettendo la presenza di «formalismi non ottemperati, ma poi sistemati. Resta comunque il fatto che sarebbe stato meglio evitare questo strascico polemico». Per Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori Pdl, «quel che resta è il clima di caccia alle streghe che sta trasformando la lotta politica in Abruzzo in una corrida fatta di sospetti e denunce». Soddisfatto da Roma Chiodi: «La Regione non ha bisogno di atteggiamenti distruttivi».