Samp, dal lavoro sicuro ai tagli
Il dramma di 139 operai: «Quel posto sembrava meglio che in banca».
L’AQUILA. «Signor presidente, lei non può permettere che l’Abruzzo si lasci scappare questa fabbrica dal valore professionale enorme perché non è concepibile che un’azienda investa qui prima 4 milioni e mezzo e poi chiuda tutto e abbandoni 139 famiglie». Il dramma della Samputensili (Samp) arriva sul tavolo del governatore Chiodi alle 12,30 quando si apre l’incontro con la delegazione giunta da Ortona. Ci sono il sindaco Fratino, l’assessore, il presidente del consiglio comunale e i rappresentanti sindacali. Ma ci sono soprattutto loro, i lavoratori, i Franco, Alessandro, Mario e Paolo che rappresentano la storia di questa azienda con il suo, forse, ultimo paradosso.
Per capirlo occorre fare un salto all’indietro di 40 anni quando il gruppo Maccaferri apre lo stabilimento in contrada Alboreto, porta soldi e infonde fiducia. Al punto che a Ortona si dice che un posto alla Samp è più sicuro di un lavoro statale. L’azienda ha continuato a lavorare a mille. Lo stesso gruppo Maccaferri ci ha creduto fino a un anno mezzo fa quando ha deciso di investirci e di dotare lo stabilimento di uno fra i più innovativi impianti fotovoltaici per la cogenerazione di energia elettrica. Sotto la spinta di questi segnali e floridi auspici è trascorso anche l’ultimo Natale.
Dopo di che, all’improvviso, è calato il buio: cassa integrazione per 4 mesi e un piano aziendale che non sembra dare scampo poiché parla dell’azzeramento della forza lavoro con 139 esuberi. Per i tanti Mario, Paolo e Alessandro è l’inizio di un incredibile incubo che li ha già portati a salire sul tetto dello stabilimento e ad occupare la strada Marrucina in segno di protesta.
«E’ crollato tutto ciò che di buono è stato fatto in 40 anni», commentano desolati davanti al palazzo della Regione. «Ricordo che quando entrai in fabbrica per la prima volta l’amministratore delegato mi venne incontro, sorrise e disse: “benvenuto nella famiglia Samp”», accenna con nostalgia e un pizzico di rabbia Alessandro Seccia, 36 anni, di Ortona, con una lunga collezione di contratti a tempo alle spalle prima di conquistare il posto fisso. Oltre al dramma sociale che si prefigura per le 139 famiglie e che allarga lo squarcio che la crisi ha già inferto all’intero distretto di Ortona (Eni, la Jfg del gruppo Burani), il vuoto che lascerebbe la Samp sa di beffa per tutti quei lavoratori che hanno investito la loro professionalità e sono cresciuti con l’azienda.
Il caso di Dimitri Popescu può essere preso ad esempio: è un ingegnere elettrico che si trasferì con la moglie 18 anni fa dalla Romania proprio per entrare nell’allora florida, Samp. Oggi, a 57 anni, è qui con il cappellino da sole in testa e la voce dimessa: «Arrivai apposta in Italia, il primo stipendio fu di un milione 200mila lire, l’ultimo non si è distaccato di molto, circa mille 800 euro». Ora Dimitri non sa dove andare, e si rende conto che anche, se è un ingegnere specializzato, ha poche, scarse, possibilità di trovare un altro lavoro. Renzo D’Annibale è invece di Ortona, ha 50 anni e da venti ha seguito il controllo della qualità nella Samp.
Anche lui è laureato, ha moglie e due figli: «Dove vado? La Samp è la mia seconda famiglia, non so proprio dove alla mia età posso andare: l’Abruzzo non è mica l’Emilia Romagna, come ti giri c’è la crisi». Franco D’Attanasio, di anni ne ha 39 e parla di qualche spiraglio, forse, nella Val di Sangro. Intanto ha cominciato a tagliare come tutti le spese in famiglia: «Meno giorni fuori casa, niente ristoranti. In attesa», spera, «di un altro tipo di miracolo».
Per capirlo occorre fare un salto all’indietro di 40 anni quando il gruppo Maccaferri apre lo stabilimento in contrada Alboreto, porta soldi e infonde fiducia. Al punto che a Ortona si dice che un posto alla Samp è più sicuro di un lavoro statale. L’azienda ha continuato a lavorare a mille. Lo stesso gruppo Maccaferri ci ha creduto fino a un anno mezzo fa quando ha deciso di investirci e di dotare lo stabilimento di uno fra i più innovativi impianti fotovoltaici per la cogenerazione di energia elettrica. Sotto la spinta di questi segnali e floridi auspici è trascorso anche l’ultimo Natale.
Dopo di che, all’improvviso, è calato il buio: cassa integrazione per 4 mesi e un piano aziendale che non sembra dare scampo poiché parla dell’azzeramento della forza lavoro con 139 esuberi. Per i tanti Mario, Paolo e Alessandro è l’inizio di un incredibile incubo che li ha già portati a salire sul tetto dello stabilimento e ad occupare la strada Marrucina in segno di protesta.
«E’ crollato tutto ciò che di buono è stato fatto in 40 anni», commentano desolati davanti al palazzo della Regione. «Ricordo che quando entrai in fabbrica per la prima volta l’amministratore delegato mi venne incontro, sorrise e disse: “benvenuto nella famiglia Samp”», accenna con nostalgia e un pizzico di rabbia Alessandro Seccia, 36 anni, di Ortona, con una lunga collezione di contratti a tempo alle spalle prima di conquistare il posto fisso. Oltre al dramma sociale che si prefigura per le 139 famiglie e che allarga lo squarcio che la crisi ha già inferto all’intero distretto di Ortona (Eni, la Jfg del gruppo Burani), il vuoto che lascerebbe la Samp sa di beffa per tutti quei lavoratori che hanno investito la loro professionalità e sono cresciuti con l’azienda.
Il caso di Dimitri Popescu può essere preso ad esempio: è un ingegnere elettrico che si trasferì con la moglie 18 anni fa dalla Romania proprio per entrare nell’allora florida, Samp. Oggi, a 57 anni, è qui con il cappellino da sole in testa e la voce dimessa: «Arrivai apposta in Italia, il primo stipendio fu di un milione 200mila lire, l’ultimo non si è distaccato di molto, circa mille 800 euro». Ora Dimitri non sa dove andare, e si rende conto che anche, se è un ingegnere specializzato, ha poche, scarse, possibilità di trovare un altro lavoro. Renzo D’Annibale è invece di Ortona, ha 50 anni e da venti ha seguito il controllo della qualità nella Samp.
Anche lui è laureato, ha moglie e due figli: «Dove vado? La Samp è la mia seconda famiglia, non so proprio dove alla mia età posso andare: l’Abruzzo non è mica l’Emilia Romagna, come ti giri c’è la crisi». Franco D’Attanasio, di anni ne ha 39 e parla di qualche spiraglio, forse, nella Val di Sangro. Intanto ha cominciato a tagliare come tutti le spese in famiglia: «Meno giorni fuori casa, niente ristoranti. In attesa», spera, «di un altro tipo di miracolo».