Storie di monaci abruzzesi
La Marsica nel nuovo libro di Dacia Maraini «La ragazza di via Maqueda».
Giorgia si infila nel letto dell’albergo dalle lenzuola che sanno di detersivo. Ha due libri con sé. Ne apre uno ma si accorge che le pagine sono opache, i caratteri non si distinguono. Gira gli occhi verso la lampada di ferro battuto posata sul comodino. La luce è fioca, lunare. Basterebbe questo per capire che l’Italia non è un paese di lettori. In tutti gli alberghi succede la stessa cosa. Le lampadine da comodino non sono fatte per leggere ma per guardare l’ora sulla sveglia o al massimo per trovare il bicchiere con la mano addormentata. Prova a staccare il paralume di stoffa dalle perline rosa, ma è avvitato al di sotto della lampadina. Allora si rialza. Spegne la luce del comodino. Accende la lampada centrale. Con un asciugamano in mano per non scottarsi, svita la lampadina, cerca di tirare a sé il paralume rosso cupo, ma non ci riesce. Sembra saldato.
Prova con il tacco della scarpa a dare due colpi. Finalmente il paralume arrugginito si stacca. Lo appoggia sulla mensola, posa l’asciugamano in bagno, riavvita la lampadina e torna a letto dopo avere spento la luce centrale. Il libro, delizioso, di Gennaro Finamore racconta storie di monaci in Abruzzo. Giorgia lo apre, si accosta col cuscino alla fioca lampadina e prende a leggere. “Un contadino andò in fiera a comprare un asino...” Il suo pensiero viaggia con le parole. Gli basta una piccola spinta per incamminarsi da solo come se fosse su una strada in discesa. Vede il contadino che si avvia verso la fiera. Porta i pantaloni stretti sotto il ginocchio. Indossa una camicia pulita e stirata di fresco che tira ai polsi. Sembra essersi accorciata e ristretta su quel corpo di giovane uomo sposato da appena un anno che mangia regolarmente, dorme abbracciato alla sua donna e fa l’amore una volta alla settimana, forse il sabato.
Il corpo risente di questa nuova vita, così diversa da quella del ragazzo magrissimo a cui fino a un anno fa si potevano contare le costole sotto la canottiera. Porta una camicia giallina, un giubbetto di pelle, stinto e liso, color castagna appartenuto a suo padre e prima di lui a suo nonno. In testa un berretto malandato, anche quello proprietà di famiglia da forse una trentina d’anni. Giorgia ripensa a suo nonno, lo scultore gentile e spietato che la rimproverava continuamente. Quando andava a fargli visita dal collegio dove l’avevano chiusa per “imparare l’educazione”, lo trovava tutto vestito di bianco intento a curare le dalie che erano la sua passione. Dalie gialle, rosa, bianche, dalla corolla gonfia come la testa di un gatto.
Su cui lui si chinava con le mani lentigginose parlando loro amorosamente: «Ora vi tolgo qualche insetto, vi pulisco ben bene, avete sete? se avete sete vi do dell’acqua fresca, ma poi fate le brave, dormite». Quando scorgeva la nipotina, strizzava gli occhi grandi color nocciola e la apostrofava con ironia: «A quest’ora ti alzi piccola perdigiorno? avvicinati che ti insegno qualcosa sulle dalie». E quando si avvicinava l’afferrava per un braccio. Aveva mani di ferro e unghie sempre curate, su cui passava lo smalto trasparente. «Sei proprio brutta. Non capisco perché non hai preso da tua nonna che era bellissima. Hai la plica mongolica. Un vero difetto della natura. Tua nonna non aveva la plica mongolica. Ma mangi per lo meno? sei troppo magra, sembri un serpente non una bambina.»
Le fantasie si incrociano ai ricordi mentre legge. Il nonno si allontana brontolando mentre lo sguardo si sposta sul dorso del contadino che si dirige verso la valle. Ma cosa va a fare il contadino alla fiera? Cosa fa il contadino che va alla fiera, come suggerisce Finamore? Cammina sotto il sole abruzzese, in una giornata primaverile. Ogni tanto si tocca la tasca interna del giubbetto dove tiene i soldi che ha messo da parte faticosamente per comprare l’asino. Non può continuare a mandare la giovane moglie a prendere l’acqua al pozzo che è distante due chilometri da casa. Anche se Adelina non ha mai protestato, a dire la verità. Ha un modo di prendere su l’orcio, di appoggiarselo sulla testa, che è elegante e veloce nello stesso tempo.
Gli piace vederla partire con la cuccuma di rame sulla testa. Gli piace guardarla mentre arrotola la tela grezza per farne un cuscinetto e poi ci appoggia la cuccuma e si aggiusta su una gamba e sull’altra per trovare l’equilibrio. La cuccuma non è mai vuota. Dentro ci sta il vino della loro vigna che lungo la strada Adelina lascerà dalla suocera, per proseguire fino al pozzo e tornare con l’acqua. Finora Adelina è andata tutti i giorni alla fonte senza lamentarsi. Ma domani chissà. E comunque se ci sono i soldi sarà meglio prenderlo questo asino. Non solo per l’acqua, ma anche per il carbone, che bisogna andare a caricare in fondo al paese, e per la legna che ogni tre giorni bisogna raccogliere ai margini del bosco. Giorgia cammina con il giovane contadino. Entra nella sua testa, ne annusa i pensieri.
E’ questo il piacere perverso della lettura? entrare nella testa e nel corpo di uno sconosciuto, tastarne lo spirito, carpirne i pensieri? provare quali sapori ha in bocca? Il contadino a cui Finamore non dà un nome ma che lei chiamerà Bastiano, si guarda intorno. La strada sterrata si srotola sotto i piedi allenati al cammino. Com’è bella questa mattinata! Finamore non dice da dove viene il contadino. Ma Giorgia gli trova subito una casa. Immagina che abiti a Gioia dei Marsi, piccolo paese che lei conosce bene, distrutto dal terremoto del 1915.
Prova con il tacco della scarpa a dare due colpi. Finalmente il paralume arrugginito si stacca. Lo appoggia sulla mensola, posa l’asciugamano in bagno, riavvita la lampadina e torna a letto dopo avere spento la luce centrale. Il libro, delizioso, di Gennaro Finamore racconta storie di monaci in Abruzzo. Giorgia lo apre, si accosta col cuscino alla fioca lampadina e prende a leggere. “Un contadino andò in fiera a comprare un asino...” Il suo pensiero viaggia con le parole. Gli basta una piccola spinta per incamminarsi da solo come se fosse su una strada in discesa. Vede il contadino che si avvia verso la fiera. Porta i pantaloni stretti sotto il ginocchio. Indossa una camicia pulita e stirata di fresco che tira ai polsi. Sembra essersi accorciata e ristretta su quel corpo di giovane uomo sposato da appena un anno che mangia regolarmente, dorme abbracciato alla sua donna e fa l’amore una volta alla settimana, forse il sabato.
Il corpo risente di questa nuova vita, così diversa da quella del ragazzo magrissimo a cui fino a un anno fa si potevano contare le costole sotto la canottiera. Porta una camicia giallina, un giubbetto di pelle, stinto e liso, color castagna appartenuto a suo padre e prima di lui a suo nonno. In testa un berretto malandato, anche quello proprietà di famiglia da forse una trentina d’anni. Giorgia ripensa a suo nonno, lo scultore gentile e spietato che la rimproverava continuamente. Quando andava a fargli visita dal collegio dove l’avevano chiusa per “imparare l’educazione”, lo trovava tutto vestito di bianco intento a curare le dalie che erano la sua passione. Dalie gialle, rosa, bianche, dalla corolla gonfia come la testa di un gatto.
Su cui lui si chinava con le mani lentigginose parlando loro amorosamente: «Ora vi tolgo qualche insetto, vi pulisco ben bene, avete sete? se avete sete vi do dell’acqua fresca, ma poi fate le brave, dormite». Quando scorgeva la nipotina, strizzava gli occhi grandi color nocciola e la apostrofava con ironia: «A quest’ora ti alzi piccola perdigiorno? avvicinati che ti insegno qualcosa sulle dalie». E quando si avvicinava l’afferrava per un braccio. Aveva mani di ferro e unghie sempre curate, su cui passava lo smalto trasparente. «Sei proprio brutta. Non capisco perché non hai preso da tua nonna che era bellissima. Hai la plica mongolica. Un vero difetto della natura. Tua nonna non aveva la plica mongolica. Ma mangi per lo meno? sei troppo magra, sembri un serpente non una bambina.»
Le fantasie si incrociano ai ricordi mentre legge. Il nonno si allontana brontolando mentre lo sguardo si sposta sul dorso del contadino che si dirige verso la valle. Ma cosa va a fare il contadino alla fiera? Cosa fa il contadino che va alla fiera, come suggerisce Finamore? Cammina sotto il sole abruzzese, in una giornata primaverile. Ogni tanto si tocca la tasca interna del giubbetto dove tiene i soldi che ha messo da parte faticosamente per comprare l’asino. Non può continuare a mandare la giovane moglie a prendere l’acqua al pozzo che è distante due chilometri da casa. Anche se Adelina non ha mai protestato, a dire la verità. Ha un modo di prendere su l’orcio, di appoggiarselo sulla testa, che è elegante e veloce nello stesso tempo.
Gli piace vederla partire con la cuccuma di rame sulla testa. Gli piace guardarla mentre arrotola la tela grezza per farne un cuscinetto e poi ci appoggia la cuccuma e si aggiusta su una gamba e sull’altra per trovare l’equilibrio. La cuccuma non è mai vuota. Dentro ci sta il vino della loro vigna che lungo la strada Adelina lascerà dalla suocera, per proseguire fino al pozzo e tornare con l’acqua. Finora Adelina è andata tutti i giorni alla fonte senza lamentarsi. Ma domani chissà. E comunque se ci sono i soldi sarà meglio prenderlo questo asino. Non solo per l’acqua, ma anche per il carbone, che bisogna andare a caricare in fondo al paese, e per la legna che ogni tre giorni bisogna raccogliere ai margini del bosco. Giorgia cammina con il giovane contadino. Entra nella sua testa, ne annusa i pensieri.
E’ questo il piacere perverso della lettura? entrare nella testa e nel corpo di uno sconosciuto, tastarne lo spirito, carpirne i pensieri? provare quali sapori ha in bocca? Il contadino a cui Finamore non dà un nome ma che lei chiamerà Bastiano, si guarda intorno. La strada sterrata si srotola sotto i piedi allenati al cammino. Com’è bella questa mattinata! Finamore non dice da dove viene il contadino. Ma Giorgia gli trova subito una casa. Immagina che abiti a Gioia dei Marsi, piccolo paese che lei conosce bene, distrutto dal terremoto del 1915.