Tre uomini armati assaltano la questura
Arrestati dopo aver ferito 4 agenti. Nelle case un arsenale di coltelli
La minaccia, annunciata al telefono come la più terribile delle profezie, diventa azione alle 6.50, mentre sta per sorgere il sole. Al telefono, una voce ha avvertito: «Vi spariamo come a quelli del Pilastro». L’ombra funesta della strage commessa a Bologna il 4 gennaio 1991 dal commando della Uno Bianca si allunga con l’ultimo scampolo di notte sulla questura, dove i poliziotti della squadra Volante si danno il cambio. È a quell’ora che scatta il piano: tre uomini armati di mannaia e pugnale scendono dall’auto lanciata a tutta velocità e bloccata contro il cancello di via Pesaro, varcano il recinto e si scagliano contro gli agenti.
A impugnare la mannaia da macellaio è un uomo di 42 anni, Pino Di Tommaso, commercialista di Cepagatti, mentre il coltello, raccontano i testimoni, è in mano ad Alessio Di Girolamo, 24 anni, il giovane di Pianella rinviato a giudizio con l’accusa di aver violentato una donna nel centro storico di Pescara il 10 giugno del 2006. «Pezzo di merda, che cazzo stai a fare? Ora ti buchiamo, siamo qui per occupare la questura», urlano all’agente di guardia. Assieme a loro c’è un ragazzo di Pianella incensurato, Roberto Colaiocco, 25 anni, che resta fermo a osservare la scena, finché Di Tommaso perde la mannaia e lui è pronto a raccoglierla. Nella sua camera, scopriranno più tardi i poliziotti durante la perquisizione, custodisce venti tra coltelli e armi da taglio di ogni genere, mentre Di Tommaso tiene nel soggiorno di casa una collezione di otto tra mannaie, pugnali e nunchaku, un’arma orientale costituita da due bastoni uniti da catena.
All’alba di un tranquillo lunedì di novembre si consuma, davanti al posto di guardia della questura di Pescara, un’aggressione a cui non esiste ancora una spiegazione esatta, che si conclude con un bilancio di quattro poliziotti feriti in modo lieve. Un’attacco che gli investigatori, sulla base degli elementi raccolti nelle pochissime ore che precedono la conferenza stampa convocata d’urgenza alle 13.30, motivano nell’unico modo possibile: l’abuso di alcol, senza escludere l’uso di sostanze stupefacenti, da parte di tre persone unite tra loro da legami ancora non chiari.
Il commercialista che raccontava in giro di essere un uomo ricchissimo e i due uomini che nei giorni scorsi avrebbe assoldato come guardie del corpo a 1300 euro al mese: tutti arrestati pochi minuti dopo il clamoroso tentativo di assalto al fortino di via Pesaro con l’accusa di tentato omicidio, resistenza a pubblico ufficiale e porto abusivo di armi. «Escludiamo al momento che ci possa essere dietro un disegno crimonoso più ampio» sono le prime parole di Stefania Greco, vice dirigente della Volante che parla alla stampa assieme a Leila Di Giulio, capo di gabinetto della questura. Ma le indagini sono solo all’inizio. Alle 18 di ieri i tre lasciano la camera di sicurezza per essere trasferiti nel carcere di San Donato, a disposizione del pm Andrea Papalia.
È passata mezzanotte da poco quando il gruppetto di amici entra in un locale notturno di Cepagatti. Ai poliziotti che poi raccoglieranno le loro testimonianze, i gestori e i clienti raccontano tutti la stessa cosa: attorno alle 3, i tre sono ubriachi. Per evitare guai, il personale della sicurezza interna, li invita ad andarsene, e i tre escono dal night senza protestare. Fuori, qualcuno li vede fumare una sigaretta, apparentemente tranquilli. Nessuno sa cosa accada nelle due ore successive, ma a partire dalle 5, Di Tommaso fa la prima di una serie di telefonate, una decina in tutto, ai carabinieri e alla polizia.
La prima chiamata arriva al 112: un uomo che si presenta come «il professor Di Tommaso di Cepagatti» chiede l’intervento dei militari: «Abbiamo bisogno dei carabinieri perché non fanno uscire due ragazze dal night, le mie guardie del corpo hanno bisogno di femmine». È solo l’inizio. Davanti all’atteggiamento degli operatori della centrale dei carabinieri, che pensano di trovarsi di fronte a un individuo farneticante, Di Tommaso moltiplica le chiamate e via via il tono diventa più aggressivo: «Ci facciamo giustizia da soli», avrebbe detto. Ma cerca anche di convincere i suoi interlocutori con la forza del suo presunto status: «Sono il più grande produttore di pannelli solari del mondo, ho un fatturato di 290 milioni» afferma. Nel corso della terza telefonata, interviene Di Girolamo che si qualifica come «la guardia del corpo» di Di Tommaso e chiede ancora l’intervento delle forze dell’ordine. Alle 5.15 viene fatta l’ultima telefonata al 112.
«Stiamo venendo lì, vi facciamo vedere le lacrime» dice la voce al telefono, e chiude. Passa poco più di mezz’ora e la centrale operativa del 113 riceve la prima telefonata. È una richiesta di intervento dai toni concitati. La seconda volta, però, il tono si inasprisce:«Bisogna fare un’azione contro i carabinieri, stiamo venendo armati a Pescara». Nelle due chiamate sucessive il bersaglio cambia: questa volta nel mirino c’è la polizia: «Dobbiamo fare un’esecuzione contro i poliziotti: vi spariamo come a quelli del Pilastro».
L’ultimo avvertimento arriva via telefono alle 6.30. Venti minuti dopo, una Citroen C6 lanciata a tutta velocità contro il cancello della questura frena di schianto e tre uomini entrano attraverso lo spazio lasciato per il passaggio pedonale. Uno ha la mannaia, un altro un grosso pugnale. Dentro il posto di guardia c’è un agente che li vede e lancia l’allarme al sottufficiale di turno, poi li affronta mentre arrivano in suo aiuto i colleghi delle Volanti impegnati nel cambio turno. Otto agenti contro tre uomini «violenti e aggressivi e psichicamente alterati», come vengono definiti.
Gridano, minacciano brandendo le armi: «Vi uccideremo tutti, dobbiamo assaltare la questura». I poliziotti cercano di bloccarli, è un corpo a corpo durissimo per strappare la mannaia e il coltello dalle mani dei tre uomini, finché gli agenti hanno la meglio. Quattro di loro finiscono in ospedale con lievi contusioni ed escoriazioni, ma guariranno in sette giorni. Gli arrestati sono in uno stato di alternazione psico-fisica tale da non potere escludere che abbiano assunto droghe, ma solo il pm potrà disporre gli accertamenti necessari per provarlo.
A impugnare la mannaia da macellaio è un uomo di 42 anni, Pino Di Tommaso, commercialista di Cepagatti, mentre il coltello, raccontano i testimoni, è in mano ad Alessio Di Girolamo, 24 anni, il giovane di Pianella rinviato a giudizio con l’accusa di aver violentato una donna nel centro storico di Pescara il 10 giugno del 2006. «Pezzo di merda, che cazzo stai a fare? Ora ti buchiamo, siamo qui per occupare la questura», urlano all’agente di guardia. Assieme a loro c’è un ragazzo di Pianella incensurato, Roberto Colaiocco, 25 anni, che resta fermo a osservare la scena, finché Di Tommaso perde la mannaia e lui è pronto a raccoglierla. Nella sua camera, scopriranno più tardi i poliziotti durante la perquisizione, custodisce venti tra coltelli e armi da taglio di ogni genere, mentre Di Tommaso tiene nel soggiorno di casa una collezione di otto tra mannaie, pugnali e nunchaku, un’arma orientale costituita da due bastoni uniti da catena.
All’alba di un tranquillo lunedì di novembre si consuma, davanti al posto di guardia della questura di Pescara, un’aggressione a cui non esiste ancora una spiegazione esatta, che si conclude con un bilancio di quattro poliziotti feriti in modo lieve. Un’attacco che gli investigatori, sulla base degli elementi raccolti nelle pochissime ore che precedono la conferenza stampa convocata d’urgenza alle 13.30, motivano nell’unico modo possibile: l’abuso di alcol, senza escludere l’uso di sostanze stupefacenti, da parte di tre persone unite tra loro da legami ancora non chiari.
Il commercialista che raccontava in giro di essere un uomo ricchissimo e i due uomini che nei giorni scorsi avrebbe assoldato come guardie del corpo a 1300 euro al mese: tutti arrestati pochi minuti dopo il clamoroso tentativo di assalto al fortino di via Pesaro con l’accusa di tentato omicidio, resistenza a pubblico ufficiale e porto abusivo di armi. «Escludiamo al momento che ci possa essere dietro un disegno crimonoso più ampio» sono le prime parole di Stefania Greco, vice dirigente della Volante che parla alla stampa assieme a Leila Di Giulio, capo di gabinetto della questura. Ma le indagini sono solo all’inizio. Alle 18 di ieri i tre lasciano la camera di sicurezza per essere trasferiti nel carcere di San Donato, a disposizione del pm Andrea Papalia.
È passata mezzanotte da poco quando il gruppetto di amici entra in un locale notturno di Cepagatti. Ai poliziotti che poi raccoglieranno le loro testimonianze, i gestori e i clienti raccontano tutti la stessa cosa: attorno alle 3, i tre sono ubriachi. Per evitare guai, il personale della sicurezza interna, li invita ad andarsene, e i tre escono dal night senza protestare. Fuori, qualcuno li vede fumare una sigaretta, apparentemente tranquilli. Nessuno sa cosa accada nelle due ore successive, ma a partire dalle 5, Di Tommaso fa la prima di una serie di telefonate, una decina in tutto, ai carabinieri e alla polizia.
La prima chiamata arriva al 112: un uomo che si presenta come «il professor Di Tommaso di Cepagatti» chiede l’intervento dei militari: «Abbiamo bisogno dei carabinieri perché non fanno uscire due ragazze dal night, le mie guardie del corpo hanno bisogno di femmine». È solo l’inizio. Davanti all’atteggiamento degli operatori della centrale dei carabinieri, che pensano di trovarsi di fronte a un individuo farneticante, Di Tommaso moltiplica le chiamate e via via il tono diventa più aggressivo: «Ci facciamo giustizia da soli», avrebbe detto. Ma cerca anche di convincere i suoi interlocutori con la forza del suo presunto status: «Sono il più grande produttore di pannelli solari del mondo, ho un fatturato di 290 milioni» afferma. Nel corso della terza telefonata, interviene Di Girolamo che si qualifica come «la guardia del corpo» di Di Tommaso e chiede ancora l’intervento delle forze dell’ordine. Alle 5.15 viene fatta l’ultima telefonata al 112.
«Stiamo venendo lì, vi facciamo vedere le lacrime» dice la voce al telefono, e chiude. Passa poco più di mezz’ora e la centrale operativa del 113 riceve la prima telefonata. È una richiesta di intervento dai toni concitati. La seconda volta, però, il tono si inasprisce:«Bisogna fare un’azione contro i carabinieri, stiamo venendo armati a Pescara». Nelle due chiamate sucessive il bersaglio cambia: questa volta nel mirino c’è la polizia: «Dobbiamo fare un’esecuzione contro i poliziotti: vi spariamo come a quelli del Pilastro».
L’ultimo avvertimento arriva via telefono alle 6.30. Venti minuti dopo, una Citroen C6 lanciata a tutta velocità contro il cancello della questura frena di schianto e tre uomini entrano attraverso lo spazio lasciato per il passaggio pedonale. Uno ha la mannaia, un altro un grosso pugnale. Dentro il posto di guardia c’è un agente che li vede e lancia l’allarme al sottufficiale di turno, poi li affronta mentre arrivano in suo aiuto i colleghi delle Volanti impegnati nel cambio turno. Otto agenti contro tre uomini «violenti e aggressivi e psichicamente alterati», come vengono definiti.
Gridano, minacciano brandendo le armi: «Vi uccideremo tutti, dobbiamo assaltare la questura». I poliziotti cercano di bloccarli, è un corpo a corpo durissimo per strappare la mannaia e il coltello dalle mani dei tre uomini, finché gli agenti hanno la meglio. Quattro di loro finiscono in ospedale con lievi contusioni ed escoriazioni, ma guariranno in sette giorni. Gli arrestati sono in uno stato di alternazione psico-fisica tale da non potere escludere che abbiano assunto droghe, ma solo il pm potrà disporre gli accertamenti necessari per provarlo.