Troppi debiti insoluti Si moltiplicano le aste giudiziarie

Auto e utensili riempiono il deposito dell’Istituto vendite Sempre più difficile trovare acquirenti dei beni confiscati

PESCARA. Le bare sono ancora lì, invendute chissà da quanto. Di si curo erano in deposito dal nostro ultimo reportage sulle aste giudiziarie e nessuno le ha volute. Un articolo, certo, non di forte appeal, nonostante sia utile a una grossa fetta di consumatori. Ma il fatto che sia rimasto lì ha una sua valenza, e non solo simbolica: il deposito dell’Istituto vendite giudiziarie d’Abruzzo (la sede è a Pescara in via Arrone, 17) è sempre più pieno di beni pignorati, nonostante le aste vengano svolte con cadenza regolare. La crisi e il conseguente aumento dei pignoramenti e le difficoltà burocratiche nella gestione delle vendite sono le cause principali dell’aumento delle merci in giacenza.

PIÙ PIGNORAMENTI. Il numero di pignoramenti è cresciuto di gran lunga in Abruzzo. Secondo una stima recente, in provincia di Teramo sono quasi raddoppiate, nell’arco di un anno, le procedure esecutive pendenti in tribunale. In molti casi si tratta di pignoramenti mobiliari e immobiliari, in un’area che racchiude una fetta molto importante per l’economia abruzzese, specie per il numero di aziende che ne fanno parte. Ma l’aumento di procedure riguarda soprattutto la gente comune: non solo imprenditori in crisi o disoccupati, ma anche dipendenti o pensionati.

Gente che si trova in difficoltà nel dover fare a fronte di un pagamento – magari imprevisto – oppure subisce il fascino dell’acquisto in “comode” rate a tasso zero, senza però fare i conti con il bilancio mensile. Si arriva così a collezionare debiti e, quando la situazione sfugge di mano, il creditore può avviare la procedura esecutiva che porta al sequestro di alcuni beni personali. Secondo la legge, il valore dei beni da pignorare deve superare il 50% di quello del credito avanzato. Ad esempio, se c’è un debito di 1.000 euro, vengono pignorati oggetti e mezzi per 1.500.

LE STIME.Vengono sottoscritte da un ufficiale giudiziario ma possono essere affidate a un perito. Questo orienta la fase successiva delle aste. «Sarebbe consigliabile fare una stima di vendita reale dei beni pignorati», spiega Domenico Franceschelli, ai vertici dell’Istituto abruzzese di vendite giudiziarie, insieme al fratello Pardo. «Ad esempio, una tv a colori a schermo piatto rischia di venire valutata a prezzo pieno, anche 2-3mila euro. Ma la stima non tiene conto del fatto che l’elettrodomestico deve essere pagato subito, senza possibilità di rateizzare e neanche di effettuare controlli o prove tecniche». In altre parole si acquista a scatola chiusa, a proprio rischio e pericolo, senza nessuna garanzia né al momento né in futuro. Di qui, una stima di 500-600 euro consente una vendita più agevole in sede di asta. Spesso, è proprio un valore eccessivo attribuito ai beni a renderli “invendibili”.

COME FUNZIONA. Alla prima asta (detta primo incanto), il prezzo base dei beni mobili è quello attribuito nel verbale di pignoramento. Successivamente si procede al ribasso progressivo in percentuale e via dicendo. Le aste più interessanti sono quelle in cui il prezzo base è vicino a zero. «CHI OFFRE DI PIÙ?». Quelle scene da “C’era una volta il West” che si ripetono ogni venerdì alla sede dell’Ivg di via Arrone. Si vende di tutto, dai vestiti agli utensili per cucina, fino ai mobili e agli elettrodomestici, prima di passare agli automezzi. Qualche volta si ha a che fare anche con animali. In sala, clienti di tutti i tipi. Gente che ha il fiuto degli affari, persone attirate dalla prospettiva di risparmiare e c’è qualcuno che ha anche l’attitudine da “Porta Portese”.

Certo, un lavoro importante per gli addetti dell’ufficio è quello di arginare chi “gioca sporco”, speculando o ripulendo il denaro. Per questo le norme sono ferree: si può pagare in contanti solo fino a 1.000 euro, per cifre più alte bisogna staccare un assegno.

PARCO AUTO. Fa impressione vedere il parco auto pieno di mezzi, dalle utilitarie alle Jaguar. C’è persino un muletto da lavoro. «Tutta roba invenduta», spiega Franceschelli, «Spesso, qui a Pescara siamo penalizzati dall’impossibilità di applicare una consuetudine, ancora in uso nel resto d’Abruzzo e d’Italia, che è quella di consentire una dilazione del pignoramento al debitore che si mette d’accordo con l’avvocato del creditore, impegnandosi a estinguere il debito, pagando 100 euro al mese e chiedendo e sgongiurando il sequestro. Magari a un fornaio che vive del pane venduto, può tornare utile poter disporre del proprio forno.

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