Un fungo causa la peste del gambero
Uccide i crostacei d’acqua dolce, gli esperti dello Zooprofilattico lo isolano
TERAMO. La chiamano peste del gambero. E’ la malattia che sta mettendo a rischio la sopravvivenza del gambero italico, il piccolo crostaceo d’acqua dolce che popola i fiumi montani e collinari italiani, in particolare d’Abruzzo e Molise. A causarla è l’Aphanomyces astaci.
Cioè un fungo, non patogeno per l’uomo.
Lo hanno scoperto gli esperti dell’Istituto zooprofilattico “Giuseppe Caporale” di Teramo isolando con tecniche particolari di ricerca il fungo-killer. Le analisi sono iniziate in Molise, lo scorso mese di agosto, quando nel fiume Trigno (in provincia di Isernia) e in alcuni affluenti si è registrata una diffusa mortalità del gambero.
Il crostaceo, quando ha sintomi sospetti, diventa apatico, perde la coordinazione dei movimenti ed ha le chele abbassate.
Un fenomeno che ha subito messo in allarme gli studiosi dell’istituto teramano i quali, grazie all’elevato know-how dei loro laboratori, attraverso l’analisi del Dna, sono riusciti per primi in Italia a trovare l’agente patogeno che causa la malattia.
Per impedire l’estinzione del gambero italico, attualmente in letargo, lo zooprofilattico di Teramo e altri enti hanno investito in Abruzzo e Molise oltre un milione di euro negli ultimi anni.
Sono stati realizzati tre centri di riproduzione di gamberi, ad Arsita (Teramo) e a Rocca di Mezzo e Capestrano, in provincia dell’Aquila.
In quello di Capestrano, unico finora attivo, sono allevati 70 gamberi sani capaci di riprodursi e ripopolare i corsi d’acqua.
Non esiste al momento una terapia per questa malattia, che si contrae facilmente, per esempio, spostando il piccolo crostaceo da un corso d’acqua all’altro oppure tramite stivali e attrezzatura infetta di pescatori.
Ecco perché gli esperti teramani, coordinati dal dottor Nicola Ferri, dopo aver svelato la diagnosi hanno avviato un piano di sorveglianza dei fiumi e di sensibilizzazione tra i frequentatori di essi visto che l’inquinamento è un fattore che danneggia fortemente il gambero.
La missione è quella di salvare questa specie protetta (non può essere pescata) che a livello scientifico è un delicato indicatore di qualità delle acque e gastronomicamente (anche in molte zone d’Abruzzo) viene apprezzata per la sua succulenza.
Cioè un fungo, non patogeno per l’uomo.
Lo hanno scoperto gli esperti dell’Istituto zooprofilattico “Giuseppe Caporale” di Teramo isolando con tecniche particolari di ricerca il fungo-killer. Le analisi sono iniziate in Molise, lo scorso mese di agosto, quando nel fiume Trigno (in provincia di Isernia) e in alcuni affluenti si è registrata una diffusa mortalità del gambero.
Il crostaceo, quando ha sintomi sospetti, diventa apatico, perde la coordinazione dei movimenti ed ha le chele abbassate.
Un fenomeno che ha subito messo in allarme gli studiosi dell’istituto teramano i quali, grazie all’elevato know-how dei loro laboratori, attraverso l’analisi del Dna, sono riusciti per primi in Italia a trovare l’agente patogeno che causa la malattia.
Per impedire l’estinzione del gambero italico, attualmente in letargo, lo zooprofilattico di Teramo e altri enti hanno investito in Abruzzo e Molise oltre un milione di euro negli ultimi anni.
Sono stati realizzati tre centri di riproduzione di gamberi, ad Arsita (Teramo) e a Rocca di Mezzo e Capestrano, in provincia dell’Aquila.
In quello di Capestrano, unico finora attivo, sono allevati 70 gamberi sani capaci di riprodursi e ripopolare i corsi d’acqua.
Non esiste al momento una terapia per questa malattia, che si contrae facilmente, per esempio, spostando il piccolo crostaceo da un corso d’acqua all’altro oppure tramite stivali e attrezzatura infetta di pescatori.
Ecco perché gli esperti teramani, coordinati dal dottor Nicola Ferri, dopo aver svelato la diagnosi hanno avviato un piano di sorveglianza dei fiumi e di sensibilizzazione tra i frequentatori di essi visto che l’inquinamento è un fattore che danneggia fortemente il gambero.
La missione è quella di salvare questa specie protetta (non può essere pescata) che a livello scientifico è un delicato indicatore di qualità delle acque e gastronomicamente (anche in molte zone d’Abruzzo) viene apprezzata per la sua succulenza.