L'EDITORIALE

Un popolo di santi, di poeti e di risparmiatori

Se dovessimo assegnare un premio ideale, nella giornata mondiale del risparmio, datecelo d’ufficio, e non discutiamone più

PESCARA. Ci immaginano (e ci raccontano) come un popolo di cicale, di pizza, di mandolino. Un paese di guitti estrosi, di avventurieri spregiudicati, di cavalieri (senza cavallo), di presidenti (senza squadra), di nobili decaduti (ovviamente senza feudo). Ci dipingono come una comunità popolata di sogni insani e megalomani, di passioni patologiche coltivate contro ogni idea di buonsenso. Ed ovviamente non è vero nulla. Siamo noi lacrime sangue (altro che i britannici), siamo noi calce e mattone, cuore e polmone, siamo tutti noi casa e bottega. Siamo noi mutui pagati e debiti che si onorano: quello che si respinge nella morale pubblica, si onora come un culto nella religione privata.

Se dovessimo assegnare un premio ideale, dunque, nella giornata mondiale del risparmio, datecelo d’ufficio, e non discutiamone più. Bello sarebbe capire come abbiamo fatto a fissare il record planetario del debito pubblico, ma anche quello di chi abita in case di proprietà (l’80% degli italiani), bello sarebbe scoprire il segreto di questa alchimia rovesciata per cui nei riti collettivi domina il calcio, nelle cerimonie dell’apparenza la poetica della seduzione e il sesso, mentre nella pratica vince sempre la salvifica cultura del salvadanaio. Provo a fare delle ipotesi: siamo sempre il paese dei guelfi e dei ghibellini, dei campanili e delle sezioni.

Siamo profeti e vittime del “particulare”, secondo Guicciardini. Nei comuni e nelle città l’Italia reale si declina per scudetti di squadre, gonfaloni dei comuni, campanili identitari: siamo un paese che non riesce mai a commuoversi per le bandiere della patria, e in cui persino i calciatori della Nazionale non riescono ad andare oltre la seconda strofa dell’inno di Novaro e Mameli. Ecco perché la nostra identità al grado zero è racchiusa in un cognome, in un numero civico, in un portone o una casa.

Risparmiamo perché lo Stato è debole, e perché pensi che dovrai provvedere per te. Risparmiamo perché domani non sai mai cosa può accadere, risparmiamo perché - come diceva Carlo Levi - siamo sempre “contadini o luigini” (molti contadini e pochi luigini). Anche quando ci affolliamo nelle metropoli, abbiamo nel sangue il dna dei costruttori, dei muri che si sollevano con sudore. Del tetto sopra la testa, dei soldi cuciti nel materasso. Un popolo di Santi e di Poeti. Ma soprattutto di Risparmiatori.

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