ANCONA
Cantieri navali, maxi frode fiscale anche in Abruzzo
Inchiesta della guardia di finanza su riciclaggio e auto-riciclaggio, coinvolti 14 imprenditori per false fatture da 131 milioni euro e 153 lavoratori irregolari
ANCONA. La guardia di finanza di Ancona ha scoperto una maxi frode fiscale e contributiva che ha convolto una fitta rete di imprese tra Marche, Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Lombardia e Toscana, molte delle quali vere e proprie «cartiere», con interessi economici nel settore della cantieristica navale nel porto di Ancona. Individuati 153 lavoratori irregolari per i quali sono stati omessi il versamento dei contributi e delle ritenute Irpef e 131 milioni di euro di fatture false con la conseguente evasione dell'Iva per 28 milioni di euro e 66 milioni di euro di base imponibile segnalata per il recupero a tassazione.
Il bilancio dell'operazione Shipyard (cantiere navale) è di 30 persone denunciate per frode fiscale, riciclaggio e auto-riciclaggio, tra i quali 14 imprenditori che operano ad Ancona. Per cinque di loro, il giudice dell'udienza preliminare (gup) ha già disposto il giudizio e si è già tenuta la seconda udienza dibattimentale al Tribunale di Ancona, in composizione collegiale. Per gli altri denunciati, è stata fissata la data dell'udienza preliminare. Altri indagati hanno visto le loro posizioni stralciate con trasferimento del fascicolo ai Tribunali di Bologna, Monza e Prato. L'operazione è stata avviata sulla base di una specifica attività di analisi delle imprese operanti nell'ambito dei sub appalti di Fincantieri spa, risultata estranea ai fatti di indagine.
Le fiamme gialle hanno analizzato le numerose imprese operanti nell'ambito dell'area portuale «a seguito della differente impostazione della catena produttiva della Fincantieri spa, con il maggiore ricorso a ditte in appalto e conseguente riduzione dell'organico dei lavoratori diretti, all'inizio delle indagini di poco superiori alle 600 unità, rispetto alle oltre 2mila degli operai delle ditte appaltatrici». I finanzieri hanno studiato i rapporti tra oltre 250 aziende, con particolare attenzione ai «gruppi di imprese» che orbitavano negli ambienti di lavoro della cantieristica navale, di Ancona, Marghera (Venezia), Monfalcone (Gorizia), Livorno, Muggiano (La Spezia) e Sestri (Genova) e di Fiume (Croazia), individuando, grazie al coordinamento della procura di Ancona, un sistema incentrato su un consorzio che era in grado di presentare normalmente l'offerta più vantaggiosa alle richieste di preventivo di Fincantieri. Il consorzio delegava poi l'esecuzione dei lavori alle consorziate e provvedeva alla fatturazione al committente, sulla base dello stato avanzamento lavori (Sal). Ma sette delle aziende consorziate, in Abruzzo, Marche, Campania e Toscana, sono risultate amministrate da prestanome e prive di qualunque struttura: emettevano fatture per operazioni inesistenti (per importi pari a 131 milioni di euro in 4 anni), utilizzate da altre 12 consorziate, che riuscivano a maturare illecitamente crediti Iva inesistenti, usati per le compensazioni con altre imposte.
Le società cartiere, dopo aver accumulato debiti per oltre 16 milioni di euro nei confronti degli enti assicurativi e previdenziali (soprattutto Inps) e dell'erario, cessavano l'attività per essere sostituite da nuove imprese costituite ad hoc. Alcune di queste ditte avevano sede legale e amministrativa nello studio di un consulente fiscale di Scafati (Salerno), segnalato ai fini della normativa antiriciclaggio: la sede era lontana dal luogo ove effettivamente si esercitava l'attività d'impresa con l'obiettivo di spostare la competenza dei controlli e rendere difficoltosa l'individuazione del sistema di frode. Altre irregolarità riguardavano la mano d'opera impegnata, soprattutto operai bengalesi.
I datori di lavoro, nel formare la busta paga, inserivano considerevoli importi per trasferte (non documentate), che non sono assoggettate a imposta, al posto della dicitura «salari e stipendi» in modo da sottrarsi all'obbligo impositivo: 153 le posizioni irregolari individuate. Attraverso il massiccio ricorso a fatture false, grazie al vantaggio concorrenziale derivante dall'evasione contributiva e fiscale connessa all'impiego di manodopera irregolare, gli organizzatori riuscivano a fornire le prestazioni lavorative richieste dal mercato a prezzi inferiori rispetto alla media del settore.