Marco De Paolis e donne in lutto per le vittime di una strage nazifascista

MAGISTRATO ANTISTRAGI

"Così abbiamo perseguito i crimini dei nazifascisti"

Sul Centro in edicola l'intervista al procuratore generale militare De Paolis su 16 anni di attività d’indagine: «I fascicoli insabbiati nel 1960 riemersi nel processo Priebke: agire fu un dovere»

L'AQUILA. Sedici anni di indagini sulle stragi nazifasciste. Le racconta Marco De Paolis, 64 anni, attuale procuratore generale militare presso la Corte Militare d’Appello di Roma ha scritto di recente il libro “Caccia ai nazisti” che è una sintesi del suo lavoro e della sua carriera professionale.

De Paolis, quando era procuratore militare alla Spezia, dal 2002 al 2008 e a Roma fino al 2018, ha istruito più di cinquecento procedimenti penali per crimini di guerra. È stato pubblico ministero per le stragi nazifasciste di Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, Cefalonia. Ha ottenuto il rinvio a giudizio di 79 nazisti, fatto celebrare 17 processi contro i responsabili di 2.601 omicidi che hanno portato, in primo grado, a 57 condanne all’ergastolo.

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Il Centro oggi pubblica una lunga intervista al procuratore generale militare della quale proponiamo uno stralcio.

Dottor De Paolis, perché nell’immediato Dopoguerra non ci fu la caccia ai nazisti?

«Le stragi nazifasciste in Italia causarono dal settembre 1943 al maggio 1945 oltre ventimila vittime. Un numero molto elevato a fronte del quale nel primo Dopoguerra furono celebrati soltanto una quindicina di processi, cinque di essi importanti tra cui il processo a Walter Reder, Herbert Kappler, Josef Strauch. Alla fine degli anni Cinquanta questa iniziale pagina giudiziaria si interruppe e rimase tutto fermo fino alla metà degli anni Novanta del secolo scorso».

Di chi furono le indagini nell’immediato Dopoguerra?

«Prevalentemente le indagini furono degli alleati che all’epoca avevano i servizi investigativi. Ci furono poi alcuni commissariati e le stazioni dei carabinieri che indagarono. Ci fu anche la collaborazione di servizi dell’esercito, ma direi che la gran parte degli atti proveniva dalle investigazioni alleate».

Nel 1960 molte di quelle inchieste furono insabbiate.

«Il 14 gennaio del 1960 l’allora procuratore generale militare presso il tribunale supremo militare, Enrico Santacroce, firmò 695 decreti tutti uguali con la dicitura “archiviazione provvisoria”. Questi fascicoli, che contenevano notizie di reato in numero molto più elevato di 695, furono illecitamente mandati in archivio, illecitamente perché non poteva farlo quell’organo giudiziario, cioè il procuratore generale militare che non aveva una competenza diretta sulle indagini di primo grado. Dal punto di vista sostanziale poi non si poteva archiviare senza prima aver completato o addirittura senza aver dato avvio alle indagini su quelle stragi. Quindi fu un vero e proprio insabbiamento».