Facebook, scandalo dei dati: Zuckerberg sotto accusa
L’Unione europea e Londra convocano il fondatore del network coinvolto nello scandalo di dimensione globale. Il sospetto è che l'uso di dati sensibili vada oltre il caso Cambridge Analytica
NEW YORK. «Where is Zuck?», dov'è Zuck?. È la domanda che tutti si fanno in queste ore. Ore in cui Facebook continua ad affondare in Borsa e il suo guru si ostina a tacere su quello che oramai ha assunto i contorni di un vero e proprio scandalo globale. Perché il sospetto è che, al di là del caso di Cambridge Analytica, i dati di centinaia di milioni di utenti siano stati dati in pasto a molte altre aziende senza scrupoli. Almeno fino al 2015, quando sono state cambiate le regole di policy. Quello di Mark Zuckerberg, a oltre 48 ore dallo scoppio della bufera, è dunque un silenzio assordante. Ma sembra difficile possa durare ancora a lungo: da Londra gli è stato recapitato un mandato a comparire davanti a una commissione parlamentare del Parlamento britannico, mentre a Washington si è mossa la Federal Trade Commission, che ha aperto un'indagine sul caso della Cambridge Analytica anche alla luce dei suoi rapporti con la campagna di Donald Trump. Pure Bruxelles incalza, con il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che ha a sua volta invitato Zuckerberg a riferire agli eurodeputati. Mentre in Italia l'Agcom ha inviato a Facebook una specifica richiesta di informazioni circa «l'impiego di dati per finalità di comunicazione politica da parte di soggetti terzi». Finora il gruppo californiano si è limitato ad affidare la sua prima reazione ad una scarna dichiarazione: poche parole per definire «inaccettabile» l'eventualità che i dati di 50 milioni di utenti raccolti dalla Global Service Research (Gsr) e venduti alla Cambridge Analytica non siano stati ancora distrutti. Ed è difficile che Zuckerberg, così come il direttore generale di Menlo Park, Sheryl Sandberg, si decidano a spiegare cos'è successo prima di conoscere i risultati dell'indagine che hanno affidato ad un'azienda di esperti informatici. È probabile però che il fondatore di Facebook rompa il silenzio venerdì, in occasione di un'assemblea di tutti i dipendenti convocata più che altro per tranquillizzare l'ambiente. Tutti gli occhi insomma sono puntati su Zuck, che dopo gli anni dell'irresistibile ascesa si trova per la prima volta ad affrontare una crisi dalle conseguenze imprevedibili. Intanto nelle ultime due sedute di Wall Street ha dovuto assistere a un tracollo del suo titolo, con almeno 35 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato andati in fumo solo nella giornata di lunedì. E un altro 5% lasciato sul terreno nell'ultima seduta, trascinando con sé anche Twitter, che è arrivato a perdere quasi il 10%. Per Zuckerberg sono almeno 5 miliardi di dollari della sua ricchezza personale svaniti nel nulla, con uno scivolone al quinto posto nella classifica dei Paperoni stilata da Bloomberg, alle spalle di Jeff Bezos, Bill Gates, Warren Buffet e Amancio Ortega. Ma i danni peggiori a questo punto rischiano di essere quelli d'immagine. Perché se Zuckerberg e Sandberg da oltre 48 ore tacciono, a parlare sono altri manager ed ex manager che stanno mettendo in imbarazzo i vertici del gruppo. Alex Stamos, capo della sicurezza, nonostante la smentita starebbe per dimettersi a causa di «disaccordi interni», dopo mesi di polemiche proprio sul fronte di una gestione accusata di essere troppo lassista sul fronte dei dati personali. «Zero, non c'era assolutamente nessun controllo sui programmatori esterni», racconta Sandy Parakilas, che dal 2011 al 2012 è stato il massimo responsabile per le indagini sulle violazioni dei dati: «Una volta che le informazioni lasciavano i nostri server non c'era alcun tipo di controllo e nessun tipo di conoscenza su che fine queste facessero».
Di questo e altro vorranno sapere a Londra, Washington e Bruxelles. Eppure nel 2015 Zuckerberg, preso atto che qualcosa non andava, aveva fatto retromarcia sulla strategia delle «porte aperte» a tutti gli sviluppatori esterni. Una strada che ha dimostrato di essere piena di insidie, tanto che Zuck - ribattezzato «Mister Fix» - promise di mettere a posto tutte le criticità. Probabilmente troppo tardi. Dall'altra parte dell'Oceano, intanto, il cda di Cambridge Analytica ha sospeso l'amministratore delegato Alexander Nix «con effetto immediato, in attesa di un'indagine indipendente e completa».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Di questo e altro vorranno sapere a Londra, Washington e Bruxelles. Eppure nel 2015 Zuckerberg, preso atto che qualcosa non andava, aveva fatto retromarcia sulla strategia delle «porte aperte» a tutti gli sviluppatori esterni. Una strada che ha dimostrato di essere piena di insidie, tanto che Zuck - ribattezzato «Mister Fix» - promise di mettere a posto tutte le criticità. Probabilmente troppo tardi. Dall'altra parte dell'Oceano, intanto, il cda di Cambridge Analytica ha sospeso l'amministratore delegato Alexander Nix «con effetto immediato, in attesa di un'indagine indipendente e completa».
©RIPRODUZIONE RISERVATA