TURNO DI NOTTE
La peste di Camus e il virus della paura
È nelle situazioni estreme che si valuta la stoffa di una persona e di una comunità intera. Come le guerre, le epidemie sono una di queste prove del limite che saggiano la nostra capacità di non abbandonarci all’irrazionale, di non piegarci alle seduzioni del pensiero magico. La diffusione del Coronavirus che sta mettendo in allarme il mondo non è, per il momento, una pandemia. Ma paura dell’ignoto e rifiuto del diverso si spandono con facilità e rischiano di ferire il senso stesso della vita in comune. Albert Camus, lo scrittore francese premio Nobel di cui ricorrono nel 2020 i 60 anni dalla morte, scrisse di questa paura, e del dilemma morale con cui essa ci costringe a fare i conti, nel romanzo “La peste”. La storia è quella di un’epidemia di peste nella città di Orano in Algeria in un momento imprecisato degli anni Quaranta, quelli della seconda guerra mondiale e del virus della violenza irrazionale che essa seminò nel mondo. “La peste” è un romanzo corale, polifonico, in cui personaggi di diversa estrazione culturale cercano di affrontare il dilemma morale del “che fare”. Il narratore della storia, il medico francese Bernard Rieux, ci dà un suggerimento non trascurabile: «Io mi sento più solidale coi vinti che coi santi. Non ho inclinazione, credo, per l'eroismo e per la santità. Essere un uomo, questo m'interessa».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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