Strage di Barcellona, caccia al terrorista in fuga. Terza vittima italiana
Younes Abouyaaqoub di 22 anni sarebbe il conducente del furgone della Rambla: secondo la polizia è in fuga in Francia. Morta anche l'italo-argentina Carmen Lopardo
BARCELLONA. Una gigantesca caccia all'uomo sta interessando in queste ore la Spagna e anche la Francia. Non è finito infatti l’incubo della Catalogna dopo l'attentato di Barcellona: il terrorista in fuga potrebbe essere quello che due giorni fa, sulla Rambla, guidava il furgone che ha ucciso 14 persone e ne ha ferite 126. Si tratta di Younes Abouyaaqoub, 22 anni, residente a Ripoll. Secondo la polizia spagnola il terrorista sarebbe in fuga in Francia.
Il nome dell’autista del mini van è al centro di un vero e proprio giallo: per tutta la giornata di ieri si è detto fosse Moussa Oukabir il conducente assassino. Quando quest’ultimo è stato riconosciuto tra i morti dell’azione di Cambrils, però, sono sorti i dubbi: è sempre lui? A quel punto sono partite voci e notizie incontrollate. Nella notte è stata confermata la morte di Carmen Lopardo, 80 anni, da più di 60 residente in Argentina, originaria della provincia di Potenza. Dopo Bruno Gulotta di Legnano e Luca Russo di Bassano del Grappa è la terza vittima italiana. In una nota, il ministero degli Esteri argentino ha trasmesso le condoglianze «alla famiglia della signora Carmen Lopardo, 80 anni, cittadina italiana residente nel nostro paese da più di 60 anni». Oggi a Madrid ci sarà una riunione della commissione incaricata di valutare se innalzare il grado d’allerta in Spagna. A Barcellona, invece, è previsto un corteo contro il terrorismo.
Intanto proseguono le indagini sulla cellula islamista formata da giovanissimi marocchini. La prima certezza a cui approda l’inchiesta spagnola sugli attacchi a Barcellona e Cambrils: dopo aver investito e massacrato i passanti, due furgoni sarebbero dovuti esplodere, potentissime autobombe tra le persone in fuga. Le vittime potevano essere centinaia. E allora bisogna ripartire da quella casa, per raccontare la ferocia invasata della «cellula catalana», questa dozzina di ragazzi per lo più d’origine marocchina, dai 18 ai 30 anni, alcuni nati in Spagna, cresciuti col calcio e l’orgoglio del «rap arabo». La villetta di Alcanar, alle 23.37 di mercoledì, la sera prima degli attentati, salta in aria. Un boato. Nelle abitazioni della zona piovono pezzi di mattoni, bulloni, tondini di ferro. Cinque feriti nella casa attigua, tra cui i figli dell’uomo al quale i «tre arabi» (così lui li descrive) erano andati a presentarsi. Nella notte tra mercoledì e giovedì, dunque, la polizia spagnola ha in mano alcuni elementi che potrebbero far scattare l’allerta. Perché tra le macerie, scavando, scoprono prima un cadavere, poi un ragazzo ferito, e soprattutto molte bombole di gas (più di 100). All’inizio l’esplosione viene però trattata solo come un incidente, al massimo legata a un gruppo di balordi, o piccoli trafficanti di droga.
Mentre ancora si scava tra le macerie della casa, alle 4 e mezza di giovedì pomeriggio, una ruspa che smuove una trave provoca un altro botto. È la certezza che l’incidente non era dovuto a una fuga di gas, e che lì dentro non c’erano trafficanti di droga. Ma ormai è tardi: mezz’ora dopo, uno dei due furgoni noleggiati qualche giorno prima inizia a falciare i passanti sulle Ramblas di Barcellona. E così iniziano a chiarirsi ruoli e progetto: a guidare la cellula jihadista era proprio il gruppetto di Alcanar, quello dei più esperti, incaricati della fase più delicata della preparazione dell’attentato. Quando esplode la casa, i «soldati» rimangono senza guida. I furgoni non possono diventare bombe; sanno che la polizia inizierà a lavorare sul morto e il ferito (ieri nella casa è stato trovato anche un secondo cadavere, non identificato). Non c’è più tempo, così parte l’attacco, immediato e scomposto. E forse non è un caso che il primo ad entrare in azione sia il più giovane e più furioso, il 18enne Moussa Oukabir. Un secondo furgone viene ritrovato a Vic, a Nord, verso la Francia, come se servisse per fuggire; un uomo rimane accoltellato a morte in un’auto che scappava appena fuori città, potrebbe essere stato «sequestrato» e ammazzato dal fuggiasco delle Ramblas. Viene fermato il fratello di Moussa, 28 anni, e così emerge il secondo gruppetto della cellula, quello di Ripoll, altro paese nei dintorni di Barcellona. Ad Alcanar viene messo in arresto il ferito nell’esplosione della sera prima. Nel capoluogo le ambulanze raccolgono morti e feriti. Le autostrade sono blindate dalla polizia. Ma i jihadisti corrono, probabilmente a fine pomeriggio sono già saliti in cinque su un’Audi A3 nera. È il nucleo più duro, quello più convinto di ammazzare ancora: è composto dai fratelli Mohamed e Omar Hychami, Said Aallaa, Moussa Oukabir e Hussein Abouyaaqoub. All’una e 10 l’Audi arriva come un razzo nella rotonda sul lungomare di Cambrils, piccolo centro turistico 120 chilometri a Sud di Barcellona. Provano a investire i poliziotti davanti al circolo nautico. Non ci riescono e l'auto si ribalta: sarà la loro fine. Scendono a fatica dalla macchina, mentre i poliziotti li raggiungono. Hanno coltelli, un’ascia, finte cinture esplosive. Hanno già travolto cinque persone (una morirà). Provano ad aggredire i passanti. Un poliziotto (secondo alcune versioni sarebbe una donna) ne abbatte quattro. Uno s’allontana e sfregia una signora. Poi le pallottole lo piegano a terra. E così i terroristi morti sono in tutto sette, quattro arrestati, due ricercati. Tredici giovanissimi terroristi, ovvero i componenti della cellula catalana.