Trump sceglie il nuovo segretario di Stato: è Pompeo l’abruzzese
Con un tweet il presidente lo nomina al posto di Tillerson, Gina Haspel prima donna a guidare la Cia. Con il falco italo-americano l’amministrazione Usa vira a destra
WASHINGTON. Brusca virata a destra dell'amministrazione Usa dopo l'ennesimo terremoto alla Casa Bianca, dove le porte sembrano girevoli come quelle di un Trump hotel. Via la colomba Rex Tillerson, al vertice della segreteria di Stato arriva il falco Mike Pompeo, bisnonni materni originari di Caramanico Terme (Pescara), rimpiazzato a sua volta da un altro falco: Gina Haspel che, previa conferma al Senato, sarà la prima donna a guidare la Cia, dopo che Trump l'aveva già nominata numero due nonostante la macchia delle torture, waterboarding compreso, contro sospetti membri di Al-Qaida. «Questione di chimica», ha spiegato Trump, che pur ringraziando il «very good man Rex» ha ammesso che hanno «mentalità diverse» ed erano «in disaccordo su varie cose», a partire dall'Iran. Mentre con Pompeo, ex deputato conservatore di origini italiane che gli serve il briefing di intelligence quotidiano, «siamo sulla stessa lunghezza d'onda» e «farà un fantastico lavoro». «Con la sua leadership Trump ha reso l'America più sicura», lo ha ringraziato Pompeo. Tillerson è stato silurato dopo 14 mesi in modo umiliante, via Twitter. Lo aveva preavvisato venerdì scorso il capo dello staff della Casa Bianca, John Kelly, costringendolo a interrompere il suo tour diplomatico in Africa. «Aveva tutta l'intenzione di restare», ha assicurato un suo portavoce, Steve Goldstein. «Il segretario non ha parlato al presidente e non è al corrente del motivo» del licenziamento, ha aggiunto. Trump lo ha chiamato a cose fatte solo ieri, dall'Air Force One, come ha rivelato un teso e amareggiato Tillerson in una dichiarazione pubblica dove ha fatto prevalere l'interesse di stato dando priorità ad una «transizione morbida», senza cedere a polemiche. Ora delegherà le sue responsabilità al vice John Sullivan e a fine mese se ne andrà, tornando alla vita privata. Eppure l'uscita di Tillerson era nell'aria da mesi, tanto che gli era stato affibbiato come soprannome «Rexit». Troppi i motivi di contrasto fra Trump e l'ex numero uno di ExxonMobil, un outsider della diplomazia progressivamente isolato e contraddetto pubblicamente dallo stesso presidente. Al tycoon dava fastidio il suo stile felpato troppo establishment. Ma i conflitti veri erano sui dossier più delicati. Tillerson era per restare nell'accordo di Parigi sul clima e in quello sul nucleare iraniano. Era contro lo spostamento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme. Si era visto sconfessare via Twitter sulla linea del dialogo con la Corea del Nord («spreca il suo tempo») e poi è stato tenuto all'oscuro quando Trump ha deciso di raccogliere l'invito di Kim. Aveva preso le distanze dalle dichiarazioni razziste di Trump dopo i fatti di Charlottesville e gli aveva dato del «deficiente» (moron), salvo poi smentire in modo vago.
Un terremoto che, secondo il Nyt, promette altre scosse. Nel mirino, anche il ministro della Giustizia Jeff Sessions.