Il Centro, foto dei nonni e nostalgia del futuro
Scalfari e Zatterin, l’Abruzzo che cambia e la vocazione di un quotidiano: portare nel nuovo tempo i valori e le radici del passato
Il primo direttore del Centro, Ugo Zatterin, in un sublime editoriale di insediamento che riletto oggi pare un romanzo realista di fine Ottocento (era invece “solo” il 1986, 38 anni fa) raccontava di aver conosciuto un Abruzzo magico, agro-pastorale e incantato, nei primi anni Cinquanta. Spiegava di essere stato guidato, nel suo viaggio, da un signore che si chiamava Ignazio Silone. Uomo fortunato.
Io sono arrivato nel 2024, ieri, in macchina, in una notte di fiamme alte e acre fumo nero. Ero solo, guidato da Google per evitare chiusure dovute ai roghi. Un altro tempo, un altro mondo. Tutto pare diverso. Tuttavia, non è così: lo spirito di Zatterin, e dei pionieri che con lui fondarono questo giornale dal nulla, è potentissimo e attuale un faro che ci guida ancora oggi.
Il primo direttore del Centro e gli altri fondatori sbarcarono nella redazione di Pescara per accendere la rotativa e raccontare – insieme – le radici antichissime e il futuro di una regione: una idea di sviluppo e di modernità possibile. I giornalisti di questo quotidiano si impegnarono, come se fosse per un censimento, nella ricerca di una nuova classe dirigente. Dove non era visibile la “inventarono”, come fanno i rabdomanti che cercano l’acqua soprattutto nei luoghi dove non si manifesta. Raccontarono i protagonisti grandi e piccoli della cultura e della politica, sempre fedeli al ruolo più antico della stampa: quello di cane da guardia del potere.
Ma torno al 1986: Zatterin in quei giorni aveva già un curriculum che faceva tremare i polsi: volto noto della primissima Rai, “vittima” prediletta del mitico Alighiero Noschese, a partire dal nasone che sembrava finto e caricaturale, soprattutto nell’originale. Noschese è il padre putativo di Maurizio Crozza, geniale come lui nel cogliere i dettagli grotteschi: di Zatterin rese celebre la chioma brizzolata, la frezza, che era un quarto di nobiltà di una Italia in bianco e nero che oggi rimpiango.
Zatterin entrò con il suo mezzobusto nella Storia della tv il giorno in cui apparve sulla Rai annunciando la chiusura delle Case Chiuse dopo l’approvazione della legge Merlin. Anche Eugenio Scalfari aveva (nella barba) una frezza che tutta l’Italia conosceva, e di Zatterin era amico fraterno: il Centro, dunque, nacque con due padri, e da neonato era un figlio minore di La Repubblica: ancora oggi la nostra grafica tradisce quel dna originario.
Ma Zatterin raccontava di aver scelto il nome del quotidiano per vocazione geografica e aspirazione professionale: il cuore del Paese, e l’equilibrio nel raccontare. Dopo un quarto di secolo riprese quel se stesso mezzobusto sulle Case Chiuse per criticarsi: «Diedi una notizia nascondendola. Che errore». Grande lezione autocritica.
Ieri abbiamo cercato negli archivi uno scatto che tenesse insieme questi due padri putativi, che oggi sono i nostri nonni. E dopo mezzo secolo, visto che quello non era tempo di selfie, ne abbiamo trovato uno solo: ma nella foto di gruppo, tra la barba di Eugenio e il nasone di Ugo, c’è la chioma inconfondibile di Enrico Berlinguer. Ci fossero stati anche il ciuffo iconografico di Aldo Moro, o i baffi sale e pepe di Giorgio Almirante, le lenti spesse di Ugo La Malfa e la frangia argentea precoce di Marco Pannella, avremmo avuto l’affresco di un’intera epoca.
Molti direttori, nei loro editoriali d’esordio, scrivono centinaia di righe e tracciano programmi per il millennio: ma il giornalismo si fa, e non si spiega. Dovrete leggerci. Per questo il mio editoriale oggi è una foto, questa. A noi basta dire che siamo ancora fedeli a quella missione: un giornale animato da valori di libertà, che rispetta le istituzioni, insegue la modernità, impazzisce per le dispute e i dibattiti (sui temi reali), che cerca la risposta più complessa ai problemi, ma resiste alle tentazioni semplificatrici, che vuole individuare la classe dirigente dell’Abruzzo futuro, ovunque si trovi oggi.
Questa non è più una regione agro-pastorale, ma non può perdere le sue radici. È la sede della più grande società di progettazione italiana, è una capitale di eccellenze gastronomiche raffinate, un presidio di insediamenti industriali di eccellenza, un nuovo avamposto dello stile (da ultimo grazie a Brunello Cucinelli, che ha scelto di venire qui). Scoprirete in queste pagine che non ho mai rimpianti, ma solo nostalgia. Del futuro.